Virginia Woolf

Adeline Virginia Stephen nacque a Londra nel 1882 ed ebbe un'educazione molto tradizionale in un tipico ambiente vittoriano. Nel 1895, in seguito alla morte della madre, ebbe il primo di molti esaurimenti nervosi. Nel racconto autobiografico Moments of Being riportò che lei e la sorella Vanessa Bell subirono abusi sessuali da parte dei fratellastri George e Gerald Duckworth.
Dopo la morte del padre (Sir Leslie Stephen, un noto editore e critico letterario), avvenuta nel 1904, si trasferì con la sorella a Bloomsbury: proprio qui nacque il primo nucleo del circolo intellettuale noto come Bloomsbury Group, in cui si discuteva di arte, letteratura, politica, all'insegna di una forte critica al rigido moralismo tipico della società inglese del tempo, impermeata di vittorianesimo.

Cominciò a scrivere nel 1905, inizialmente per il supplemento letterario del Times. Nel 1912 sposò Leonard Woolf, un teorico della politica. Il suo primo libro, The Voyage Out, fu pubblicato nel 1915.

Nel 1920 iniziò una relazione con la scrittrice Vita Sackville-West che celebrò nel romanzo Orlando edito nel 1928, biografia immaginaria della sua bella, giovane e aristocratica amica attraverso le reincarnazioni del protagonista Orlando, nella quale esplorò i temi dell’ambiguità sessuale.
Scrisse anche opere di carattere socio-politico: nel 1929 con Una stanza tutta per sé (presupposto indispensabile perchè una donna possa scrivere è avere del denaro ed una stanza tutta per sé. Del denaro perchè le donne sono sempre state povere sia materialmente che culturalmente, ed una stanza tutta per sé, per avere la giusta concentrazione e non essere distolte dalla scrittura) e nel 1938 con Tre ghinee, in cui affrontò il tema del bisogno d’indipendenza economica delle donne e le conseguenze negative di una società maschilista.

Il 28 marzo 1941 si riempì le tasche di sassi e si annegò nel fiume Ouse, non lontano da casa.

Così lasciò scritto al marito: "Carissimo. Sono certa che sto impazzendo di nuovo. Sono certa che non possiamo affrontare un altro di quei terribili momenti. Comincio a sentire voci e non riesco a concentrarmi. Quindi faccio quella che mi sembra la cosa migliore da fare. Tu mi hai dato la più grande felicità possibile. Sei stato in ogni senso tutto quello che un uomo poteva essere. So che ti sto rovinando la vita. So che senza di me potresti lavorare e lo farai, lo so... Vedi non riesco neanche a scrivere degnamente queste righe... Voglio dirti che devo a te tutta la felicità della mia vita. Sei stato infinitamente paziente con me. E incredibilmente buono. Tutto mi ha abbandonata tranne la certezza della tua bontà. Non posso continuare a rovinare la tua vita. Non credo che due persone avrebbero potuto essere più felici di quanto lo siamo stati noi."


Opere

1913 La crociera
1919 Kew gardens
1920 Giorno e notte
1922 La stanza di Giacobbe
1924 Mr. Bennett e Mrs. Brown
1925 Il lettore comune
1925 La signora Dalloway
1927 Gita al faro
1928 Orlando
1929 Una stanza tutta per sè
1931 Flush, vita di un cane
1931 Le onde
1932 Lettore comune (seconda edizione)
1937 Gli anni
1938 Le tre ghinee

pubblicati postumi:

1941 Tra un atto e l'altro
1953 Diario di una scrittrice

Letizia Paolozzi

Leggere Virginia Woolf con gli occhi di una donna di oggi


Canto del mondo reale. Virginia Woolf. La vita nella scrittura è un saggio di Liliana Rampello su Virginia Woolf, la più grande scrittrice inglese del '900. Ma è anche qualcosa di più. Di diverso. Giacché l'autrice si sposta continuamente dalle apparecchiature e dai metodi "scientifici" dei critici professionali anche se tiene conto - eccome - della mole impressionante di studi che hanno accompagnato l'opera della scrittrice. Subito dopo, aggiungo che dei tanti studi l'autrice si serve per controllare la giustezza di un percorso. Senza abbandonare per questo il tracciato che ha deciso di seguire.

E qual è questo tracciato? Quello del "lettore comune" (The Common Reader è il titolo finto umile che la Woolf usò per la prima e la seconda serie di raccolte di saggi). Un "lettore comune" come siamo molte e molti di noi quando entriamo dentro un testo. E vi aderiamo e cerchiamo un nostro filo di interpretazione. Di riconoscimento.

Rampello, appunto, si riconosce nella Woolf. Ne dipana la felicità del lavoro creativo (con La signora Dalloway, Al Faro oppure i testi più politici: Una stanza tutta per sé, Tre ghinee e le migliaia di lettere, i diari). Ne mette in rilievo l'educazione sentimentale raggiunta attraverso la mondanità letteraria e quel gruppo (Virginia, la sorella Vanessa, Lytton Strachey, E. M. Forster, J. M. Keynes, i critici d'arte Clive Bell, Roger Fry) di ironici, snob, diabolici inventori di battute velenose che, dal quartiere dove molti tra loro abitavano, fu battezzato Bloomsbury.

"La politica dell'amicizia" praticata in quel gruppo diede alla Woolf il gusto della libertà. Una libertà che la convinse a portare nella scrittura "una scienza della vita quotidiana" capace di saldare le relazioni che la legavano agli altri e al mondo. Anche rispetto alla difesa di comportamenti omosessuali, oggetto di scandalo per i moralisti dell'epoca.

Naturalmente, fu aiutata dall'intelligenza. Dalla grazia con la quale descrisse le avventure di Flush, giovane spaniel color rame, costretto per devozione canina alla poetessa Elizabeth Barrett a dimenticare la sua libertà. Dal tocco lieve della "biografia" Orlando, dove il protagonista vive dal '500 al '900 e da maschio si trasforma in femmina. Senza che, per questo, trionfasse l'androginia o la complementarietà dei sessi.
L'eccezionale bellezza le diede una mano: indimenticabile il profilo con la crocchia di capelli scivolata sul collo, il naso dritto, le labbra morbide. L'ambiente in cui era cresciuta, dove il padre Leslie Stephen, intellettuale tardovittoriano, lasciava che i figli e le figlie leggessero tutti i libri che volevano, e il matrimonio con Leonard Woolf le permisero di muoversi con agio, di ascoltare le voci dell'esperienza. Quel sapere che le permetteva di descrivere il passaggio del tempo, il vibrare dei colori, il sospiro dell'aria salina, il trascolorare della luce, lo spettacolo, il "gran gelo" o l'avventura di Londra.

E l'agire delle donne. Intanto, nelle forme politiche pubbliche. Pensò che fosse meglio, per il suo sesso, guardare di sbieco ai cosiddetti "Grandi Eventi". Nel diario del 1940 scriverà: «Tutto fumo questa guerra. Una vecchia signora che si aggiusta il cappello possiede maggiore concretezza».

Queste cose mette in rilievo Liliana Rampello, con un'operazione nella quale evita lo specialismo di molta critica inglese e americana della Woolf. La psicoanalisi la maneggia con parsimonia; in effetti, le frequenti crisi depressive, l'avanzare della follia, il suicidio nelle acque del fiume Ouse hanno finito per schiacciare l'opera della scrittrice sui buchi neri della sua vita.

Per il ritmo del racconto, si potrebbe accostare Canto del mondo reale al film di Alina Marazzi Un'ora sola ti vorrei, con quel montaggio capace di dare consistenza alla figura della madre morta suicida. Solo che qui, nelle manovre di avvicinamento ai testi della scrittrice, l'autrice sceglie di seguire l'"amore per la vita" di Virginia Woolf. Mettendo in discussione il richiamo luttuoso che, negli anni Settanta, ci fece guardare alla scrittrice come interprete eccelsa del dolore che le donne spesso provano di fronte alla fatica dell'esistenza.
Rampello è una femminista. Si rende conto che in tante abbiano trovato le radici del nostro femminismo in quei romanzi o saggi o lettere. Tuttavia, cerca un altro percorso. Quello della scrittrice che non intendeva rinunciare alla "differenza" dell'essere donna. Anche se diffidava della guerra tra i sessi. E non era confortata certo dalla presenza di giganti suoi contemporanei: da Lawrence a Joyce con il suo "grande, orribile libro" (la definizione si riferisce all'Ulisse).

Convinta che l'essere umano è identità e differenza, ne deduceva che noi siamo qui, su questa terra da uomini e da donne. In altalena tra debolezza e forza, ammirazione e distacco, vanità e ironia, ragione e sentimento. Osservava "la magnifica ossessione" degli uomini, la gelosia e il possesso. Decisi a "sposarne una perché non possa sposare un altro". Annotava l'inspiegabile protezione che le donne dedicano al sesso maschile. Perché la Woolf non ignorava la complicità femminile nei confronti della cultura patriarcale. E però, ammettere che «gli uomini sanno come e cosa si deve dire, e a loro ci si affida per deferenza nei confronti del misterioso accordo che loro e non le donne intrattenevano con le leggi dell'universo», secondo voi è segno di complicità?

Non avrebbe mai buttato a mare il matrimonio. Per la signora Ramsey una donna non sposata perde la parte migliore della vita giacché "l'intimità stessa è conoscenza".
Secondo un antico addestramento, il sesso femminile svolge un lavoro di civiltà che consiste nella "comprensione degli esseri umani". Le relazioni sostengono questo lavoro di civiltà. E quando cambiano, cambia la letteratura, la politica, la religione, il comportamento. Di questo primato delle relazioni Rampello è grata alla Woolf. Di qui una critica condotta con gli occhiali dell'oggi, si direbbe in linguaggio giornalistico. Con gli occhi di una donna di oggi, suggerisco io.

da Liberazione