Dalla fine degli anni '60 ad oggi, in Guatemala la guerra ha ucciso qualcosa come 120.000 persone ( Rigoberta parla di 150mila), oltre 40.000 desaparecidos, 100.000 bambini resi orfani e 250.000 rifugiati all'estero. Rigoberta Menchù è quindi cresciuta tra discriminazione, violenze, sfruttamento, povertà. E forse proprio questa tragedia le ha dato la forza di opporsi e dedicare la sua vita ai diritti umani. Fin da bambina segue i genitori nelle proteste contro l'esercito, riesce a entrare nella politica della comunità dove organizza un sindacato, studia e impara lo spagnolo. A vent'anni è costretta a fuggire in Messico, dove però continua la sua protesta non violenta per il riconoscimento dei diritti degli indigeni. Partecipa a centinaia di convegni e conferenze stampa in Europa e negli Stati Uniti. Nel 1983, dopo l'incontro con la giornalista francese Elisabeth Burgos, la sua storia diventa un libro di enorme successo, Mi chiamo Rigoberta Menchù, e Rigoberta diventa "portavoce internazionale dei popoli indigeni", prima del Guatemala e dal 1992, anno del Nobel, degli indigeni di tutto il mondo. Con i soldi del Premio istituisce un fondo intitolato a suo padre, con il quale finanzia la costruzione della Fondazione Rigoberta Menchù per i diritti umani. Inizia così a spostarsi in tutto il mondo e parla in qualsiasi posto la vogliano ascoltare, da piccole assemblee cittadine fino al Consiglio Generale delle Nazioni Unite. Nel 1996, grazie alla sue pressioni sul governo del Guatemala contribuisce alla ratifica di un cessate il fuoco nel paese. L'Onu istituisce una commissione d'inchiesta: il rapporto finale confermerà quanto raccontato negli anni da Rigoberta Menchù: il governo, con il sostegno di servizi segreti stranieri, statunitensi in particolare, aveva compiuto il genocidio dei Maya. La Fondazione In Guatemala poche persone possono votare (30/35%), questo perchè il diritto di voto si ottiene solo iscrivendosi alle liste elettorali e lo si può fare solo nella propria città natale. Molti contadini emigrati dalle campagne espropriate non possono permettersi il viaggio, altri, non hanno nemmeno un documento di identità La conquista del diritto di voto è una delle battaglie che porta avanti la Fondazione Menchù, assieme all'organizzazione del "turismo ecologico" in Guatemala, la gestione di 40 centri sanitari e la costruzione di una Università Maya per i giovani che - dichiara Rigoberta Menchù - "hanno diritto alla conoscenza, alla tecnologia, alla scienza. Solo cosi' si può garantire ai popoli indigeni una partecipazione reale". La Fondazione organizza anche borse di studio per ragazzi che studiano all'estero. Attualmente 180 di loro si stanno laureando in medicina a L'Avana, a Cuba. "I poveri non sono mendicanti" Molti esperti di Africa come Latouche ritengono che "il semplice aiuto umanitario allunghi l’agonia dell’Africa", occidentalizzandola. Lei cosa ne pensa? Sono d’accordo. Non èsufficiente regalare fondi per il mio paese o per il continente africano, è necessario rafforzare le organizzazioni locali, è importante dare dignità alle persone che vivono lì. Non esiste una ricchezza sufficiente a dare assistenza a tutti i poveri del mondo. Inoltre, si creerebbe una dipendenza che trasforma la popolazione in vittime. E non è opportuno convertire un popolo in vittime. Questo è quello che abbiamo vissuto anche noi. Sentirsi vittime elimina l’autostima, distrugge la leadership locale, le persone perdono la loro cultura e non valorizzano il loro patrimonio spirituale e culturale. Non bisogna limitarsi all’assistenza: i poveri non sono mendicanti. Devono mantenere la loro dignità. C’è un altro aspetto, poi, che normalmente non si considera. I governanti che ci sono in questi paesi, spesso sono caratterizzati da corruzione, anche se a volte vengono definiti "democratici".Il sistema elettorale è in crisi in Africa. Si discute molto, a livello mondiale, sulle proteste, le marce, gli scioperi. Alcuni pensano che questi strumenti possono debilitare lo Stato e la governabilità. Ma anche bloccare l’iniziativa di un popolo vuol dire limitare la governabilità, visto che prima o poi i problemi esplodono. Bisogna appoggiare i popoli perché rafforzino le loro iniziative di protesta e non bisogna limitarle. Se non soltanto l’assistenza, come intervenire allora nella tragedia africana? E qual è il ruolo che possono avere le Ong (Organizzazioni non governative)? Bisogna avere un equilibrio tra l’aiuto ufficiale e l’aiuto non governativo. Dobbiamo rafforzare la leadership e le organizzazioni locali. E le Ong possono essere un ostacolo, quando queste ultime si sostituiscono agli attori locali. C’è il rischio che le Ong portino settarismo, divisione e si trasformino in intermediari. E questi ultimi che siano governativi o non governativi sono negativi. Dobbiamo tornare ad avere un equilibrio, è l’unica possibilità per ottenere l’approvazione della comunità locale. Il ruolo delle missioni cattoliche? Devono rispettare le culture. Un errore molto grave commesso dalla Chiesa cattolica è stato quello di omogeneizzare le persone, un fenomeno negativo da tutti i punti di vista, poiché vuol dire andare contro la natura umana, contro la diversità. Quindi è il momento che la Chiesa rispetti le differenza culturali, linguistiche, ma anche la spiritualità delle persone. Altrimenti continuano ad essere dei colonizzatori. L’Africa è devastata dall’Aids. Ma i brevetti dei farmaci impediscono la produzione di farmaci generici. Gli altri sono cari. Come uscirne? Credo che il tema dei brevetti sia interessantissimo. L’Aids e le gravi malattie sono state trasformate in un business per le multinazionali. Invece di democratizzare il prezzo delle medicine, queste diventano sempre più care. Si tratta di una contraddizione rispetto alla preservazione della vita. Alcune multinazionali chiedono soldi per la ricerca e trasformano il farmaco in uno strumento di profitto. Ma se si democratizzasse l’uso della scienza medica, tutti i malati avrebbero accesso ai farmaci. Abbiamo cento farmacie in Guatemala che vendono farmaci generici: più riusciamo a far utilizzare i generici e più i prezzi si riducono. Si guadagna ugualmente anche se i prezzi sono inferiori perché se ne vendono una maggiore quantità. Purtroppo con il pretesto dei costi di ricerca si lucra sulla vita umana. l'Unità, 25 novembre 2005 |