Nilde Iotti

Leonilde Iotti nacque a Reggio Emilia nel 1920.

Il padre era un attivista socialista, perseguitato poi, durante il regime fascista, a causa del suo impegno sindacale.
Malgrado le disagiate condizioni economiche della famiglia Nilde potè iscriversi all’Università Cattolica di Milano: "Ma per anni indossai il cappotto rovesciato di mio padre".

Rimasta orfana di padre nel '34, riuscì a proseguire gli studi perché la madre, in un periodo in cui le donne erano relegate al focolare domestico, iniziò a lavorare.

Durante gli studi Nilde abbandonò il cattolicesimo e quando scoppiò la guerra si iscrisse al PCI; dopo l'8 settembre entrò a far parte della Resistenza, divenendo responsabile dei Gruppi di Difesa della Donna di Reggio Emilia, che avevano l'obiettivo di mobilitare, attraverso un'organizzazione capillare e clandestina, donne di età e condizioni sociali differenti, per far fronte ai gravi problemi, soprattutto di natura economica e sociale, provocati dalla guerra.

Alle elezioni del 2 giugno 1946 (quelle svoltesi contemporaneamente al Referendum), in cui per la prima volta le donne italiane esercitarono il diritto di voto, la ventiseienne Nilde Iotti fu eletta al Parlamento.
"Robusta, alta, i capelli sciolti sulle spalle, il manifesto desiderio di imparare a fare il deputato", Nilde conobbe Palmiro Togliatti, capo carismatico del PCI, in un ascensore di Montecitorio e da questo incontro seguì una relazione sentimentale, che seppe resistere a tutti gli attacchi, soprattutto all’interno del Partito, perché Togliatti era sposato.

Nilde, dapprima come semplice deputato, poi come membro dell'Assemblea Costituente, attraverso la sua sensibilità e la sua cultura istituzionale, diede prova di uno spiccato talento politico. Ella stessa definì quella nell'Assemblea Costituente, come "la più grande scuola politica a cui abbia mai avuto occasione di partecipare, anche nel prosieguo della mia vita politica".

Iotti entrò a far parte anche della "Commissione dei 75", alla quale fu assegnato il compito di redigere la bozza della Costituzione repubblicana, da sottoporre al voto dell'intera Assemblea: come membro della Commissione Iotti svolse la relazione sulla Famiglia: auspicando il superamento dello Statuto Albertino con una nuova carta costituzionale, che si occupi dei diritti della famiglia, del tutto ignorati dallo Statuto, peraltro disapplicato durante i 20 anni di fascismo, invita l'Assemblea a voler regolare con leggi il diritto familiare. Caposaldo della nuova Costituzione deve essere dunque il rafforzamento della famiglia: "L'Assemblea Costituente deve inserire nella nuova Carta Costituzionale l'affermazione del diritto dei singoli, in quanto membri di una famiglia o desiderosi di costruirne una ad una particolare attenzione e tutela da parte dello Stato."

Altro punto centrale della Relazione in esame riguarda la posizione della donna: "Uno dei coniugi, la donna, era ed è tuttora legata a condizioni arretrate, che la pongono in stato di inferiorità e fanno sì che la vita familiare sia per essa un peso e non fonte di gioia e aiuto per lo sviluppo della propria persona. Dal momento che alla donna è stata riconosciuta, in campo politico, piena eguaglianza, col diritto di voto attivo e passivo, ne consegue che la donna stessa dovrà essere emancipata dalle condizioni di arretratezza e di inferiorità in tutti i campi della vita sociale e restituita ad una posizione giuridica tale da non menomare la sua personalità e la sua dignità di cittadina."
Durante il regime fascista il femminismo storico era stato spazzato via e secondo la politica sociale di Mussolini "il lavoro costituisce per la donna non una meta, bensì una tappa della sua vita, da risolversi, prima possibile, con il rientro nell'ambiente domestico": la Relazione della Iotti, quindi, scritta quando le donne italiane si erano appena affacciate sulla scena politica, costituì un tentativo molto avanzato di rinnovamento democratico, non solo sul piano strettamente politico e giuridico, ma soprattutto dal punto di vista culturale.
La relazione insiste sull'importanza del'emancipazione che può derivare dal lavoro: la nuova Costituzione pertanto dovrà assicurare il diritto al lavoro "senza differenza di sesso."
Altro elemento oggetto di studio da parte della giovane parlamentare e che rappresenterà, nel corso delle successive legislature uno dei suoi impegni politici di maggiore rilievo, fu l'annosa questione dell'indissolubilità del matrimonio: Nilde è assolutamente contraria ad inserire nella Costituzione il principio dell'indissolubilità "considerandolo tema della legislazione civile". Infine, la Relazione focalizza la propria attenzione sulla maternità, non più intesa come "cosa di carattere privato", bensì come "funzione sociale" da tutelare.
Uno degli articoli di maggiore impatto innovativo della proposta costituente riguardò il principio dell'uguaglianza giuridica dei coniugi, che quindi assumono eguali diritti e doveri nei confronti dei figli, dopo che il Codice Rocco aveva concepiva le donne come "beni" sui quali il padre prima ed il marito poi, esercitavano assoluta autorità.

Forte dell'esperienza maturata nella Costituente, Nilde proseguì la propria attività politica a favore dei diritti delle categorie più disagiate (le donne in primo luogo), sia in Parlamento, sia all'interno del PCI, dove ottenne pieno riconoscimento solo dopo la morte di Togliatti.

Nel corso di mezzo secolo Nilde fu promotrice della legge sul diritto di famiglia (1975), della battaglia sul referendum per il divorzio (1974) e per la legge sull'aborto (1978).

Dal 1979 al 1992 ricoprì la carica di Presidente della Camera, e nel 1997 venne eletta Vicepresidente del Consiglio d'Europa.
Morì due anni dopo.