LA DONNA SI DIFENDE
Gli attentati a Gerusalemme, la quindicenne stuprata sulla metropolitana di Londra, i massacri in Algeria, l’albergo per extracomunitari incendiato dai naziskin: queste, e tante altre, le immagini di violenza che quotidianamente vediamo in televisione. Da quando i telecronisti americani, a metà degli anni sessanta, hanno iniziato a riprendere sistematicamente le scene della guerra del Vietnam, gli schermi televisivi sono diventati, ogni giorno di più, e per tutti noi, il palcoscenico privato su cui si rappresentano la morte e la brutalità. E, naturalmente, il genocidio viene sempre descritto come “orribile”, l’assassinio è “feroce”, la violenza sessuale è “ignobile”. [1] In questo libro non avrebbe senso riprendere il dibattito (peraltro ancora irrisolto) in cui sono da tempo impegnati gli studiosi dei mass media: è giusto o no riportare questo tipo di immagini? Le visioni di morte e di atti sanguinari aiutano a sviluppare una coscienza non-violenta, o, al contrario, influiscono pericolosamente sui soggetti più deboli sotto il profilo psicologico? Né, tantomeno, voglio intervenire sul tema, ben più antico e complesso, relativo alle origini della violenza umana, e alle ragioni (genetiche, ambientali, psichiche) del suo continuo riprodursi. Qui intendo solo prendere atto che essa fa parte dell’esistenza: talvolta ci coinvolge direttamente, anche in forme terribili, spesso, per fortuna, ci sfiora soltanto. Certo è che in alcune sue manifestazioni la violenza può essere contrastata: se addirittura delle guerre sono state fermate dal grido di pace di popoli interi, sovente anche il singolo individuo può riuscire, controllando la propria aggressività latente, perlomeno a evitare un conflitto impostato sull’irrazionale bisogno di prevalere. Pensiamo, molto semplicemente, a quando una discussione si trasforma in litigio: non vi è più l’obiettivo comune di ricercare la soluzione di un contrasto, resta unicamente lo scontro polemico, [2] lo scambio di accuse, il vuoto dell’intelligenza. Non è violenza, questa? E, più in generale, non sono forme di violenza la discriminazione razziale, il sessismo, l’ingiustizia sociale, l’integralismo religioso, la mancanza di rispetto verso i bambini? Ma, ripeto, qui voglio occuparmi di un argomento assai più circoscritto, la violenza che si manifesta sotto forma di aggressione alle donne (è implicito che nella pressoché totalità dei casi ciò avviene ad opera di uomini). [3] In realtà anche questo particolare tipo di violenza è riconducibile a questioni di portata molto ampia (prima fra tutte: la cultura plurimillenaria basata sul dominio maschile), e aveva certamente ragione Daniela Bönsch [4] nel rilevare che non è certo sul piano tecnico-fisico che il problema può essere risolto e che in ogni caso vi è un abisso tra lo stupro e i lividi subiti per uno scippo. Si può anche obiettare come l’idea stessa di autodifesa (che in qualche modo significa opporre violenza a violenza) sia tipicamente maschile, e infatti per molto tempo numerosi gruppi femministi hanno rifiutato questo approccio, perché ciò avrebbe significato accettare implicitamente, una volta di più, la subalternità della donna rispetto alla cultura, anche corporea, del maschio [5]. Resta il fatto che ogni giorno, soprattutto nelle città, molte donne subiscono (nel senso che non sono fisicamente in grado di scoraggiare o respingere) violenze, di vario genere, sia dal punto di vista dell’entità materiale del danno ricevuto sia da quello dell’oltraggio psicologico e morale. L’estrema difficoltà a reperire dati attendibili [6] non consente di fornire valutazioni quantitative, tuttavia credo di non essere troppo lontano dal vero nell’affermare che nella maggioranza dei casi la donna non è riuscita a opporsi efficacemente. Tornerò più avanti sui motivi di ciò, che sono di vario tipo, ma questa semplice considerazione mi pare che non renda del tutto inutile il tentativo di esporre in un manuale pratico alcune tecniche adatte ad affrontare situazioni difficili. In effetti esistono in commercio moltissimi libri (tradotti o di autori italiani) sulle varie arti marziali, e anche alcuni manuali sulle tecniche di autodifesa, e in appendice vi è una bibliografia coi testi più significativi: ma la prima categoria di volumi si rivolge in particolare a chi già pratica questo tipo di discipline, e la seconda affronta genericamente l’argomento, troppo spesso proponendo tecniche anche efficaci ma decisamente complicate, e in ogni caso senza curare la specificità riguardante le donne. [7] Non ho semplicemente cercato di attingere qua e là dalle varie arti marziali, ma, con molta modestia, ho voluto riportare in modo divulgativo alcune indicazioni ricavate “distillando” gli insegnamenti più semplici del karate e di altre discipline. Anche se, diceva Bertolt Brecht, “la semplicità è difficile a farsi”. Con l’aiuto prezioso, anzi, indispensabile, di un vero esperto in arti marziali, ho dunque cercato di offrire alcuni spunti pratici a chi intenda dotarsi almeno di una preparazione minima rispetto a situazioni più o meno violente. Sia chiaro: esattamente come non potrete imparare a sciare leggendo un manuale, né questo libro né nessun altro vi consentiranno di risolvere positivamente qualsiasi imprevisto. Qui potrete solo farvi un’idea di come combinare alcune tecniche fondamentali con la consapevolezza di voi stesse: quest’ultima (basata sulla crescita culturale, sul controllo del corpo, sull’equilibrio mentale) è un vostro problema, e solo a voi spetterà di decidere se affrontarlo da sole, o collettivamente, o in collaborazione con un’altra persona. Sul piano strettamente tecnico il discorso è ancora più semplice: labor improbus omnia vincit, scriveva Virgilio. La fatica senza risparmio vince tutte le difficoltà. Solo questo è il segreto per imparare a costruire il vostro futuro: se vi affidate a chi, consulente o astrologo, vi promette risultati formidabili in pochi giorni o col minimo sforzo, e cercate in questo libro La Soluzione Contro Tutti I Cattivi, lasciate perdere. Viceversa, potrete cominciare ad allenarvi seguendo le semplici indicazioni di questo manuale, e con un po’ d’impegno vedrete che rapidamente ci sarà in voi una sicurezza nuova, fatta di tranquillità e di forza. Avrete già raggiunto un risultato molto importante: alcune forme di violenza (perlomeno quelle che più frequentemente potrebbero coinvolgervi) non saranno più qualcosa di totalmente ignoto e imprevedibile, che procura angoscia, rabbia, panico, e, in ultima analisi, impotenza. Certo, resteranno decisamente pericolose, ma comincerete ad avere una possibilità di cavarvela. È il primo passo, decisivo. Dopo, se lo vorrete, potrete proseguire questa prima esperienza e cercare la vostra strada. Il libro è articolato in 4 sezioni, corredate da numerose fotografie e illustrazioni: 1. Conoscere la violenza. Non serve a nulla apprendere una tecnica, e magari esercitarsi mille volte, se prima non s’impara a riconoscere il pericolo e ad affrontarlo con consapevolezza. 2. Preparare il corpo. Forse tra qualche anno diverrete delle temibili combattenti, ma per adesso accontentatevi (e, vi garantisco, non è poca cosa), dopo che vi siete allenate psicologicamente, di acquisire quel minimo di preparazione fisica necessaria per affrontare un aggressore. 3. Tecniche fondamentali. Esistono svariate centinaia di colpi, parate, leve, ecc.: tra queste le più semplici ed efficaci, suddivise a seconda della situazione specifica che può verificarsi. 4. Arti marziali: orgoglio e pregiudizio. Si sono dette un’infinità di sciocchezze per esaltare l’ imbattibilità dei “veri uomini” (appunto) che praticano queste discipline, o, viceversa, per dipingere come esaltati e fanatici tutti quelli che si occupano di arti marziali. Una rapida panoramica su questo strano mondo, qualche modesto consiglio e alcune istruzioni per l’uso. Comunque, vorrei anticipare subito quelle che mi sembrano le indicazioni fondamentali rispetto all’eventualità che dobbiate utilizzare questo libro: 1. La prima cosa è valutare il pericolo, non sottovalutandolo mai e non facendovi prendere dal panico; mantenere il sangue freddo è assolutamente essenziale. 2. Non incattivite l’aggressore (che sarà quasi sempre agitato, magari più di voi) con comportamenti sprezzanti o urlando inutilmente; assumete piuttosto un atteggiamento remissivo, che potrà favorire l’effetto-sorpresa [8] della vostra reazione. 3. Elaborare immediatamente una strategia non significa mettersi a “ripassare” mentalmente le tecniche, ma entrare all’istante in uno stato di quiete psicofisica da cui emerga naturalmente l’azione difensiva. 4. Niente eroismi: non siete 007 che disarma sempre chi gli punta una pistola alla schiena o un coltello alla gola. 5. Se presumibilmente siete in condizione d’inferiorità fisica, non opponete forza a forza, ma assecondate l’azione avversaria (tirate se spinge, spingete se tira): già questo ne ridurrà la pericolosità e vi metterà nella condizione ottimale per una reazione efficace. 6. L’equilibrio e la mobilità, basati sulle gambe, sono fondamentali per ogni tecnica. 7. Utilizzate tutto il corpo per difendervi e attaccare, e nel modo più semplice: rispetto alle varie tecniche illustrate qui, se non siete sicure non esitate a lasciar perdere e a ricorrere a un forte colpo sul naso [9] o a una ginocchiata nei genitali. 8. Commisurate la vostra reazione alla gravità dell’attacco, ma non abbiate paura “di far male”: un colpo deve far male, e possibilmente risolvere subito il problema, [10] altrimenti è controproducente. 9. Non fate cose inutili (strattoni, movimenti sconclusionati, colpi alla cieca, ecc.) con l’unico risultato di sprecare energie e peggiorare la situazione. 10. Se il vostro colpo va a buon fine, non crediate di essere al sicuro: state in guardia e continuate ad agire, colpendo o scappando.
B. Bertolucci, Ultimo tango a Parigi
NOTE [1] Più di un secolo fa, Flaubert, nel suo Dizionario dei luoghi comuni, ironizzava acutamente sull’evidente banalità delle parole piene di sdegno con cui la stampa descriveva i fatti di sangue.
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