È inutile dire che oggi il metro di giudizio del pluralismo e dell'antagonismo verso il sistema è tutt'altro, tra gli scienziati sociali e politici. Ecco forse perché il fenomeno della sinistra alternativa attira una così scarsa (per non dire nessuna) attenzione. È il contrario di quanto avviene nei confronti dei verdi, che pure occupano un'area per tanti aspetti contigua alla sinistra radicale, e di quanto avviene nei confronti della stessa destra radicale, dall'altro lato, che è stata oggetto negli ultimi anni di numerosi studi e ricerche. Eppure, diversi segni starebbero a indicare che l'evoluzione della sinistra alternativa non sia meno originale e promettente. Questa evoluzione è anche estremamente complessa, perché in essa confluiscono esperienze e culture assai eterogenee e perché prende strade distinte e in parte separate da paese a paese. Interpretarla in maniera corretta non è quindi un compito facile, specialmente per un breve articolo come questo, tanto più che esso rappresenta una prima approssimazione, quasi il progetto, di una ricerca pienamente in corso. Spero che serva comunque a fissare i punti rilevanti e a fornire gli elementi essenziali per proseguire in maniera proficua, suscitando qualche riflessione e qualche interesse nei lettori. 1. Il gruppo parlamentare La data cruciale per la nascita della nuova sinistra alternativa europea è, naturalmente, l'annus mirabilis 1989. Con il crollo del sistema sovietico, infatti, comincia a prendere forma un raggruppamento di forze che non sono socialdemocratiche, ma che nello stesso tempo non trovano più nella denominazione e nell'identità comunista l'elemento principale di riferimento e di convergenza. Tale fenomeno, che ha trovato un importante punto di coagulo nel gruppo confederale della "Sinistra unita europea/Sinistra verde nordica" (GUE/NGL) del parlamento europeo, è la somma di differenti sviluppi nazionali e di culture politiche per niente omogenee, cosicché risulta difficile, se non impossibile, darne una caratterizzazione unitaria. In ogni caso, quel che si può dire è che esso non può essere ridotto a un adattamento neocomunista né alla semplice somma dei reduci del comunismo con forze differenti, come pure alcune circostanze lascerebbero pensare. Da questo punto di vista, in via preliminare può essere interessante soffermarsi a esaminare, seppur rapidamente, proprio la conformazione e la storia del gruppo parlamentare europeo. A Strasburgo il gruppo della GUE/NGL, fondato nel 1994, è oggi - dopo le elezioni del 1999 - il quinto per consistenza numerica. Certo, i suoi 42 deputati, pari al 6,7% del totale, non sono molti, né possono essere determinanti. Ma bisogna tener conto del fatto che essi sono inseriti in un'assemblea molto frammentata, in cui solo due gruppi, quello popolare (37%) e quello socialista (29%), hanno una dimensione veramente significativa: nessun altro raggiunge la soglia dell'8% e nessun altro copre come rappresentanza tutti i 15 paesi dell'Unione Europea. In fin dei conti, lo stesso gruppo dei Verdi, che pure viene spesso preso ad esempio di crescente peso politico e quantitativo, è composto da 48 deputati (7,7%), ma solo grazie all'apporto determinante di 10 esponenti di liste regionaliste. Anche la rappresentanza della GUE/NGL ha avuto una crescita continua, per quanto non repentina, fino a raccogliere 14 partiti provenienti da 10 dei 15 stati membri dell'UE. Il gruppo comunista, che ne è stato il predecessore, aveva raggiunto il suo massimo storico nel 1984, alla fine della prima legislatura europea, con l'11% (48 deputati), e comunque non ha mai raccolto adesioni al di fuori della tradizionale area di insediamento, che coincide con i 5 paesi dell'Europa meridionale e ha sempre avuto il suo fulcro nell'Italia e nella Francia (Lange e Vannicelli 1981; Timmerman 1981). Pur non essendo ormai più riconducibile all'appartenenza comunista, la nuova sinistra alternativa europea diventerebbe un oggetto indecifrabile se non si tenesse conto di questa sua origine e della crisi di lunga data del comunismo europeo occidentale (Boggs 1982; Bull 1995). Il paradosso è che le vicende del gruppo sono legate, in un modo o nell'altro, al destino del PCIi, vale a dire di un partito che non ha poi avuto praticamente niente a che fare con il nuovo raggruppamento. Quest'ultimo nasce quindi dalla rottura del gruppo comunista, ma non ne è in alcun modo il prodotto automatico. La rottura avviene nel 1989, per iniziativa del PCIi, dando luogo alla formazione di due gruppi parlamentari distinti. Il primo, unito intorno agli italiani, comprende l'Izquierda Unida spagnola, il partito comunista greco dell'interno (di orientamento eurocomunista; dal 1992 si chiamerà Synaspismos) e il partito socialista popolare danese (Sf-Socialistisk Folkeparti). Il secondo si stringe invece intorno al PCF e raccoglie i comunisti greci dell'esterno (KKE) e quelli portoghesi (PCP). La linea di demarcazione non potrebbe essere più netta, almeno a prima vista: da una parte i riformisti, meno legati all'Urss e più favorevoli all'integrazione europea, dall'altra gli ortodossi. Senonché l'iniziativa del PCI dimostra presto il suo corto respiro, finendo per servire al trasbordo di questa forza nel gruppo socialdemocratico 1. Dopo il crollo del Muro di Berlino e la trasformazione del PCI in PDS, che fa cadere ogni ostacolo per l'adesione di quest'ultimo all'Internazionale socialista, il gruppo ha esaurito la sua funzione e si scioglie. Da qui prende le mosse il processo di riaggregazione che porta alla formazione, nel 1994, all'inizio della nuova legislatura, del gruppo confederale della GUE/NGL, che raccoglie sia il gruppo degli ortodossi (PCF, PCP e KKE), sia gli orfani del PCE (Izquierda Unida, Synaspismos e gli scissionisti italiani di Rifondazione comunista), sia - a partire dal gennaio 1995, quando l'UE si allarga ai paesi nordici e all'Austria - una nuova componente, denominatasi "Sinistra Verde Nordica" (NGL-Nordic Green Left), che comprende il Partito della Sinistra (Västenpartiet) svedese, l'Alleanza di Sinistra (Vasemmistolitto) finlandese e - di nuovo - il Sf danese 2. TAB. 1. I rappresentanti al Parlamento europeo per gruppo politico e per stato, 2000 (in %) Legenda: GUE/NGL=Sinistra unita europea/Sinistra verde nordica; Verdi/Reg.=Federazione europea dei partiti verdi/Alleanza libera europea; PSE=Partito socialista europeo; LDRE=Liberali democratici e riformatori europei; PPE=Partito popolare europeo; UEN=Unione per un'Europa delle Nazioni; EDD=Europa di Democrazie e Diversità; n.a.=non affiliati.2. Le elezioni del 1999 Dopo le elezioni del 1999 il GUE/NGL passa da 34 (provenienti da 8 stati) a 42 deputati (10 stati) e, oltre a confermare la rappresentanza dei precedenti partiti, si arricchisce della presenza della PDS (Partei des Demokratischen Sozialismus) tedesca, di un terzo partito greco (Dikki-Dimokratiko Kinoniko Kinima), del PdCI di Cossutta (dopo la scissione da RC) e, in posizione di membri "associati", dell'alleanza di estrema sinistra francese (Lutte ouvrière-Ligue Communiste Révolutionnaire). Inoltre, pur essendo privi di una rappresentanza nel parlamento europeo, cooperano formalmente con il gruppo l'Akel cipriota e il partito socialista di sinistra norvegese. Per provenienza nazionale, la rappresentanza più folta in assoluto risulta quella francese (11 deputati), ma in termini relativi lo è quella greca (7 su 25). Nei dieci paesi da cui provengono i rappresentanti della GUE/NGL, la sinistra alternativa ha in media il 1% dei voti, con un massimo del 21% in Grecia e un minimo del 5% in Olanda (vedi la Tab. 2). In questi stessi paesi la socialdemocrazia ha raccolto mediamente il 26% dei voti, mentre i verdi sono stati presenti solo in sei di essi, ottenendovi una media intorno al 9% (che diventa l'8% se calcoliamo anche la Spagna, da cui hanno aderito al gruppo verde 4 liste regionaliste). In effetti, la scarsa sovrapposizione della presenza della sinistra alternativa e dei verdi può essere significativa di una certa contiguità del loro bacino elettorale. A parte le ragioni di storia e cultura politica nazionale, non deve essere un caso che in ben 9 paesi su 15 dell'UE sia presente solo una delle due componenti non socialdemocratiche della sinistra, riscuotendovi peraltro risultati particolarmente lusinghieri: penso in specie ai paesi dove è assente la sinistra alternativa, e cioè all'Austria, al Belgio, alla Gran Bretagna, all'Irlanda e al Lussemburgo (vedi la Fig. 1). Inoltre, spesso negli stessi paesi in cui il rapporto di forze tra le due componenti è decisamente sbilanciato in favore dei verdi, questi hanno una più netta caratterizzazione di sinistra: è il caso dell'Olanda, dove la lista ecologista - Groen Links (Sinistra Verde) - ha raccolto i più svariati settori della sinistra alternativa (Lucardie 1997).
3.
I partiti della GUE/NGL TAB. 2. Voti percentuali e seggi ottenuti dai partiti della sinistra alternativa alle elezioni europee del 1999, in 10 stati Ebbene, nonostante il carattere confederale e le diversità culturali dichiarate, il gruppo della GUE/NGL sembra risentire al suo interno di una minore dispersione ideologica e programmatica rispetto agli altri gruppi. Lo dimostrano le elaborazioni emerse da diversi studi sulle scorse legislature. Se si misura il grado di polarizzazione sull'asse destra-sinistra, ad esempio, i partiti della sinistra alternativa risultano molto vicini tra loro (Hix e Lord 1997). E questa prossimità non manca di riflettersi nell'indice di coesione del gruppo, che misura il comportamento dei parlamentari nelle votazioni, laddove la GUE/NGL riporta i valori più elevati (Attinà 1986 e 1990; Bardi e Ignazi 1999). Certo, bisognerebbe disporre di elaborazioni più recenti per poter esprimere un giudizio certo, a questo proposito, visto che nell'attuale legislatura partiti abbastanza moderati come quello post-comunista svedese o tradizionalisti come il KKE stalinista greco si trovano a convivere con i nuovi esponenti dell'estrema sinistra francese di matrice trotskista. Ma, comunque sia, rimane il fatto interessante e apparentemente paradossale che la prossimità ideologica e la coesione programmatica raggiunte dalla GUE/NGL negli ultimi anni erano ben lungi dal riscontrarsi nel vecchio gruppo comunista, che era molto più eterogeneo e diviso, a dispetto della sua identità più forte e definita.In effetti, l'impressione è che le vecchie divisioni ideologiche e programmatiche abbiano ormai un peso esiguo, all'interno della sinistra alternativa. In passato il raggruppamento era frutto di uno schieramento formale in un certo senso obbligato e convenzionale, che col passar del tempo aveva infatti celato differenze sempre più abissali (basti pensare al divario PCI-PCF), rivelandosi in ultima istanza artificiale. Adesso, invece, esso è il frutto di una libera scelta associativa, basata su una affinità sostanziale. La quale, evidentemente, non è tanto di carattere ideologico o denominazionale quanto la conseguenza di convergenze programmatiche e di una collocazione oggettiva all'interno dello spazio politico europeo. Convergenze e collocazione che, specialmente in linea tendenziale, vanno al di là delle differenze che pure persistono. Piuttosto che su astratti valori, il nucleo comune della sinistra alternativa europea si riscontra sugli indirizzi di politica economica e sociale, oltre che su quelli di politica internazionale, dove la scelta anti-Nato ha trovato un'ulteriore conferma nell'opposizione tanto compatta quanto isolata nei confronti della guerra dell'ex Jugoslavia. È significativo, da questo punto di vista, l'atteggiamento nei confronti dell'integrazione europea. Pur tollerando ancora al suo interno posizioni da sempre euroscettiche come quelle degli scandinavi (Christensen 1996) o addirittura nazionaliste come nei casi del KKE e del PCP, la GUE/NGL ha di fatto abbandonato l'antieuropeismo obsoleto del comunismo ortodosso. Optando invece per una critica al modello di integrazione europea impostato con i trattati di Maastricht e di Amsterdam, che sarebbe contrassegnato da un'impostazione economica neoliberale, da un tipo di sviluppo sociale eurocentrico e da un grave deficit democratico. In alternativa, la GUE/NGL propone un'Europa "sociale", in cui si combinano con un certo eclettismo contenuti anticapitalisti e riformisti, democratici e libertari, keynesiani ed ecologisti. Essa si è ritrovata unita su scala europea in alcune iniziative di massa di indubbio valore simbolico che vanno dalle marce contro la disoccupazione alle manifestazioni anti-razziste, dalla rivendicazione delle 35 ore a quella della Tobin Tax, fino alle mobilitazioni contro la guerra del Kosovo e contro l'Organizzazione Mondiale del Commercio. Ed è questo il taglio che si ritrova, con diverse mescolanze, in tutti i partiti che la compongono e in cui si misura l'equilibrio precario ma dinamico tra continuità e innovazione che ha agitato quest'area politica nell'ultimo decennio. 4. Il problema dei rapporti a sinistra L'elemento che salta subito agli occhi, quando ci si sofferma ad esaminare le forze della sinistra alternativa, è l'audace tentativo di "contaminazione" tra diversi soggetti, esperienze, culture politiche. Beninteso, il nucleo comunista rimane ancora egemonico, ma sempre più incline a innestaresu di sé movimenti e ispirazioni presenti nella cosiddetta sinistra sociale o diffusa: dall'ambientalismo alle associazioni di volontariato, dai trotskisti ai centri sociali giovanili, dal femminismo alle minoranze più diverse. Da partito a partito questo tentativo ha, certamente, gradazioni assai disuguali, ma riguarda praticamente tutti, anche i più arretrati, se non altro per sottrarsi o rispondere alla concorrenza di altre forze politiche emergenti. Spesso questo tentativo di innovazione e di allargamento conduce alla formazione di coalizioni o cartelli elettorali e perfino all'abbandono della denominazione "comunista". In ogni caso, impone l'esigenza di un aggiornamento. Naturalmente, questa contaminazione tra elementi di continuità e di innovazione provoca tensioni, a volte perfino lacerazioni, nelle coalizioni e nei singoli partiti della sinistra alternativa. Basti pensare ai contrasti tra innovatori e conservatori che contrassegnano da anni il dibattito all'interno del PCF, dove l'iniziativa riformatrice avviata già da G. Marchais ha subito un'accelerazione con la segreteria di R. Hue e in particolare al recente XXX congresso (Bilous 2000). Percepita dagli oppositori come "liquidazione" e "socialdemocratizzazione" del partito, questa iniziativa mira in realtà ad "aprire" il PCF alla società in evoluzione, intercettando i nuovi movimenti e soggetti comparsi sulla scena francese. Di qui la revisione ideologica e organizzativa, che marca una rottura netta con la tradizione statalista, nazionalista e burocratica del partito, senza per questo rinunciare alla prospettiva del superamento del capitalismo. Tuttavia, il tentativo di rinnovamento del PCF, così come quelli analoghi in atto in altri partiti comunisti europei, non si traduce immediatamente in un superamento della sua impasse elettorale e di iscritti, seppure consente di evitarne la precipitazione. Anzi esso deve affrontare l'accanita concorrenza dei verdi in forte crescita e di un Partito socialista che sotto la guida di L. Jospin si è dimostrato più che mai vitale ed egemonico nella gauche plurielle. Nonché la sfida di un'estrema sinistra tutt'altro che marginale, anzi assai vitale, non solo e non tanto a livello elettorale quanto nella sua capacità di suscitare e guidare i più disparati movimenti sociali, il che è frutto di un coraggioso rinnovamento politico- culturale (Brochier-Delouche 2000). Ancora più significative sono le difficoltà che l'amalgama tra innovazione e continuità ha provocato nella sinistra alternativa spagnola. L'esperienza di Izquierda Unida è stata, infatti, la prima e tra le più avanzate dal punto di vista dello sforzo di rinnovamento e contaminazione della cultura comunista. Promossa dal PCE già a metà degli anni ottanta come una coalizione elettorale, IU ha cercato poi di trasformarsi in un "movimento politico e sociale" di carattere federativo, con l'ambizione di raccogliere in un'entità unica ma democratica e pluralista le diverse anime, vecchie e nuove, della sinistra alternativa. L'esperimento ha avuto successo per un decennio, fino ad affermarsi come la terza forza politica spagnola e a sfidare la prevalenza del PSOE nell'ambito della sinistra, dopodiché è precipitata in una crisi in cui tuttora si dibatte (Monereo 2000). Sintomo, e forse causa, di questa crisi è stata la riacutizzazione dei contrasti tra le componenti costitutive del movimento. La componente più larga, che è quella comunista diretta da J. Anguita (il quale è anche il coordinatore generale di IU), non solo non ha mantenuto l'intenzione di sciogliere il PCE, ventilata a seguito della caduta del Muro di Berlino, ma a partire dal congresso del 1995 ha preso a rivendicare decisamente l'"identità comunista" e in pratica la propria egemonia sul movimento. Il che non ha tardato a provocare estenuanti lotte intestine, che sono state accentuate ulteriormente dai difficili rapporti con i sindacati e con i movimenti sociali nonché con il delicato tema delle nazionalità. I problemi che attanagliano il PCF e Izquierda Unida, limitandone le potenzialità, non risparmiano le altre forze della sinistra alternativa europea. Le contraddizioni tra innovazione e continuità, tuttavia, ne costituiscono il sintomo, il risvolto, piuttosto che la causa. Per andare alle cause dell'impasse e delle tensioni, invece, bisogna far riferimento a questioni politiche nello stesso tempo più ravvicinate e più di largo respiro. Da un lato, cioè, pesano le scelte di collocazione all'interno dei sistemi politici nazionali e dall'altro quesiti strategici e progettuali di fondo che attengono al ruolo stesso di forze che si proclamano alternative al sistema socio-economico capitalistico in un contesto segnato dall'egemonia neoconservatrice. È evidente, innanzitutto, che l'evoluzione della sinistra radicale, nei suoi limiti come nelle sue opportunità, è incomprensibile se non viene messa in relazione con l'evoluzione della sinistra socialdemocratica. La quale ha avuto nell'ultimo decennio un'evoluzione moderata, che l'ha portata ad abbandonare progressivamente l'impostazione tradizionale e ha trovato nella concezione della "Terza via" del New Labour un primo tentativo di sistemazione politico-culturale nel senso di uno spostamento al centro dello spazio politico e di adesione all'ideologia liberale (Blair 1998; Giddens 1998; Coates-Lawler 2000)3. Giunte al governo in quasi tutti i paesi dell'Ue sull'onda di mobilitazioni sociali in difesa del welfare state, le socialdemocrazie hanno quindi scelto consapevolmente di muoversi nel quadro di compatibilità delle politiche economiche neoliberiste e di aderire alla guerra "umanitaria" promossa dalla Nato nell'ex Jugoslavia. Ora, era inevitabile che questa evoluzione avesse un'influenza diretta sulle forze che si collocano a sinistra della socialdemocrazia. Più o meno tutte hanno infatti cercato di occupare lo spazio lasciato scoperto dalla sinistra moderata, ereditando contenuti programmatici tradizionalmente socialdemocratici. È un'opinione diffusa che esse siano in fin dei conti accomunate da un orientamento "neokeynesiano". Non è un caso, del resto, che al loro interno sia effettivamente aperta una discussione sugli attuali spazi per un'azione riformista e per politiche eynesiane. Ci sono poi perfino casi, come quello del Västenpartiet svedese, in cui si è fatto largamente tesoro della nostalgia popolare verso la "Folkhemmet" (Casa del popolo) socialdemocratica e del ruolo di "supplenza" nei confronti di una sinistra impegnata a governare suo malgrado con pesanti misure di austerità e ricette sostanzialmente neoliberiste. Le trasformazioni in atto nell'insieme della sinistra hanno, quindi, rimesso in discussione i rapporti e gli equilibri al suo interno. Le relazioni da tenere con la sinistra moderata e il giudizio stesso sulla sua natura sono stati il punto più nevralgico nella vita delle forze radicali. Da esso dipendono, infatti, scelte politiche immediate come l'atteggiamento da tenere verso il governo e il tipo di opposizione da svolgere. Non è un caso che su questo punto si siano create le divisioni e le fratture maggiori all'interno della sinistra alternativa. Basti pensare, come caso estremo, alle due scissioni subite da Rifondazione comunista nel 1995 e nel 1999, da cui sono nati i Comunisti unitari (poi confluiti nei DS) e il PdCI di Cossutta (Giachetti 1999-2000). Pur senza arrivare a scissioni vere e proprie, però, il tema dei rapporti con l'altra sinistra e con il governo, ha dilaniato un po' tutte le forze radicali. Questo è avvenuto perfino nel caso della PDS tedesca, che per la sua origine peculiare (in quanto erede della Sed tedesco-orientale) sembrava destinata a un'identità obbligata ed eterna di opposizione (Krisch 1996). Dopo aver avviato, non solo in termini teorici ma anche attraverso esperienze locali concrete, una riconversione volta a renderlo sensibile al problema della governabilità e "compatibile" per coalizioni con l'Spd e i verdi, il partito ha incontrato forti resistenze interne. Il fatto interessante è che queste non sono venute solo dalle sue componenti "tradizionaliste", come c'era da aspettarsi, ma anche da quelle più giovani, libertarie e di movimento, la cui acquisizione nella prima fase di esistenza della PDS aveva rappresentato il segno dello sforzo di apertura e rinnovamento del partito, fino al punto di prevedere la doppia appartenenza, ma con cui i rapporti sono diventati più difficili via via che il partito si è istituzionalizzato (Lees 1999). In questa chiave può essere letta anche la crisi di Izquierda Unida, di cui ho parlato prima. La differenza è che essa non scoppia con l'avvento al potere della sinistra moderata ma con la sconfitta di questa. La data che fa da spartiacque è infatti il 1996, quando il Partito popolare conquista il governo. 3 Fino a quel momento, Iu aveva avuto vita facile nel proclamarsi "l'unica sinistra" e nel raccogliere la protesta contro il governo socialista di F. Gonzales, che per di più era inquinato da gravi episodi di corruzione. Di fronte al potere della destra e a un PSOE all'opposizione, invece, è stata costretta finalmente a porsi il problema delle alleanze e dei rapporti a sinistra. Tanto più che a questo punto, in un sistema elettorale fortemente distorsivo come quello spagnolo, si riproponeva a sinistra la spinta in favore di un voto "utile" per il PSOE. Come risultato, insieme con la stagnazione elettorale, si è avuta in Iu una continua oscillazione e tensione tra tendenze conflittuali e unitarie, che hanno fatto riemergere posizioni comuniste ortodosse e tentazioni di emulazione dei democratici di sinistra italiani. Fino ad arrivare all'accordo programmatico con il PSOE per le recenti elezioni legislative, in cui l'ansia di unità per battere la destra ha indotto Iu ad accettare contenuti chiaramente moderati. Scelta che, oltre a non essere premiata dagli elettori, ha dato un altro impulso alla crisi politica del movimento e ha posto le premesse per ulteriori divisioni al suo interno. 5. Alla ricerca di un'identità Al di là di indubbie diversità di contesti e di casi particolarmente critici quali sono il PRC e IU, i partiti della sinistra alternativa si trovano ad affrontare problemi e difficoltà comuni, che non sono solo quelli politici immediati. Del resto, questi ultimi stessi rimandano, probabilmente, a questioni più di fondo. Intanto, gli atteggiamenti verso il governo e verso la sinistra moderata sottintendono spesso diverse concezioni dell'azione politica, in cui si scontrano in maniera abbastanza classica i fautori di un'azione prevalentemente sociale e movimentista con quelli più sensibili all'azione elettorale e istituzionale. Leggere il contrasto nei termini michelsiani della cristallizzazione di un ceto politico è certamente riduttivo ma coglie la sostanza della questione. Malgrado le buone intenzioni e qualche esperimento interessante (specialmente nel nord Europa: Selle-Svåsand 1991), infatti, nessuna forza della sinistra alternativa è riuscita a rinnovare in profondità la pratica politica e il modello organizzativo. Anzi, i partiti più legati alla matrice comunista trovano difficile perfino liberarsi dei pesanti apparati e delle regole poco democratiche a cui erano abituati. 4 In ogni caso, essi non riescono a infondere, e neppure a concepire, nuove motivazioni per la partecipazione e per la militanza, il che si riflette in una crisi generalizzata delle iscrizioni e dell'organizzazione di massa (Melchionda 1996). Quel che è ancora più significativo, a questo proposito, è che i partiti della sinistra alternativa, malgrado la loro posizione antagonista verso il sistema, non riescono in alcun modo a rappresentare i fenomeni di protesta e di alienazione politica dilaganti nelle democrazie mature. Il crescente astensionismo elettorale, che riguarda specialmente i settori più svantaggiati della società e rivela una totale sfiducia nelle classi politiche, nei partiti e nella possibilità di soluzione politica dei problemi, e quindi configura una vera e propria crisi della politica (o, se si preferisce, l'ascesa dell'antipolitica), non solo non viene capitalizzato dalla sinistra radicale ma anzi la colpisce almeno altrettanto pesantemente delle altre forze politiche. Perfino quando la sinistra tradizionale patisce cospicue erosioni del proprio elettorato tradizionale, le forze alla sua sinistra non ne intercettano che minuscoli spezzoni. Questo vuol dire che esse, una volta che la frana del comunismo ha loro precluso le scorciatoie populiste, non riescono a farsi percepire come alternativa credibile. Tuttavia, gli impedimenti che incontra la sinistra radicale a sfondare elettoralmente e ad accreditarsi come possibile alternativa non dipendono soltanto dall'incapacità di riformare la propria pratica politica, ma anche da un'enorme impasse progettuale, culturale e sociale, dalla difficoltà di proporre una prospettiva politica organica e attraente. Dopo il collasso definitivo dell'esperienza e dell'utopia comunista novecentesca, a torto o a ragione identificate con l'ideologia marxista, l'elaborazione di un nuovo progetto socialista che faccia i conti con le grandi trasformazioni intervenute nel mondo capitalista, con la globalizzazione e con il postfordismo, e che nello stesso tempo sia in grado di contrastare l'incondizionata egemonia neoliberale, appare un compito immane, a cui difficilmente le forze della sinistra alternativa sono in grado di corrispondere oggi. Tanto più che un tale compito dovrebbe essere realizzato in presenza di un logoramento della conflittualità sociale e del movimento operaio tradizionali. È vero che, nello stesso tempo, cominciano ad emergere movimenti come quello di Seattle, che con tutte le loro contraddizioni e il loro carattere spesso impolitico hanno espresso una radicale contestazione della globalizzazione capitalistica e verso cui la sinistra alternativa ha mostrato sensibilità e cercato di mettersi in sintonia (Castellina 2000). Ma attualmente quest'ultima non sembra attrezzata, né per struttura né per cultura, ad assumerne la rappresentanza e a dargli lo sbocco politico che pure sarebbe necessario. Potrebbe farlo soltanto a condizione di fare una rivoluzione culturale (e organizzativa) al suo interno. Una rivoluzione che le consenta di proiettare veramente la propria iniziativa e la propria organizzazione oltre gli angusti confini nazionali in cui sono rimaste ferme finora, per abbracciare almeno un livello continentale, e di aprirsi in modo più deciso e radicale a quella "contaminazione" già sperimentata negli anni scorsi. E da qui partire sia per arrestare e superare la propria frammentazione, sia per confrontarsi con le altre componenti della sinistra, senza considerarle settariamente integrate nel fronte avversario e perdute per la costruzione di un'alternativa. 5 In particolare, la sinistra alternativa europea dovrebbe porsi seriamente il problema di intervenire sull'impasse dei verdi, entrati in una vera e propria crisi di identità dopo le esperienze di governo con i socialdemocratici e sempre più in bilico tra realismo politico e istanze "oggettivamente" antagoniste quali si sono espresse appunto nell'ambito del movimento di Seattle. 6 In fondo, quelli che si presentano come limiti, rappresentano anche le potenzialità della sinistra alternativa. Non si capirebbe altrimenti perché, nonostante tutte le difficoltà, essa riesca a sopravvivere e anzi perfino a progredire, laddove le condizioni sono più favorevoli. Tutto questo non grazie a eredità e rendite del passato (apparati burocratici, nostalgie ideologiche etc.) ma perché questa sinistra critica risponde bene o male a domande ed esigenze reali, provenienti in tutte le società contemporanee dalle classi subalterne e dagli strati colpiti dai processi di modernizzazione. Istanze vecchie e nuove di tutela e di emancipazione che, proprio per la debolezza di chi le esprime, esigono una rappresentanza e un indirizzo politico. La loro stessa esistenza e la rinuncia alla loro rappresentanza da parte della sinistra tradizionale dovrebbero essere sufficienti a dimostrare la validità e le potenzialità della presenza delle forze alternative, a condizione naturalmente che esse sappiano interpretarle e incanalarle nella giusta maniera. "Democrazia e Diritto", n. 1, 2000 NOTE 1 È interessante notare che questo sbocco, che ha riguardato il partito comunista più grande e meno stalinista dell'Occidente, sia lo stesso a cui sono approdati quasi tutti gli ex partiti comunisti di potere dell'Europa orientale (Waller 1995). 2 A questi si aggiungono nel 1998, il deputato britannico Ken Coates, che abbandona il gruppo socialista dopo essere stato espulso dal partito laburista, e l'italiano Carlo Ripa Di Meana, ex Commissario europeo, che proviene dal gruppo dei Verdi. 3 In realtà, il passaggio era avvenuto l'anno precedente, dopo le elezioni locali del maggio 1995, quando Iu, in rotta di collisione con i socialisti, si prese la responsabilità di consentire di fatto la formazione di molte amministrazioni di destra (e contemporaneamente realizzò con il Partito popolare varie convergenze anti-PSOE anche in parlamento). 4. Sul rapporto tradizionale tra ideologia e organizzazione nei partiti comunisti, vedi: Panebianco 1979. Per una recente interpretazione e critica "dall'interno" del modello organizzativo comunista, vedi: Porcaro 2000. 5. È questo il rischio della cosiddetta teoria delle "due sinistre" (o di quella simmetrica delle "due destre", una delle quali sarebbe la sinistra moderata), che è stata formulata in Italia per fissare i rapporti tra sinistra alternativa e sinistra moderata ed accettata da entrambe per sbarazzarsi dell'incombenza del dialogo e attestarsi nelle rispettive sicurezze. 6. In termini culturali prima ancora che politici, la problematica dei rapporti tra sinistra alternativa e mondo dell'ambientalismo è stata da lungo tempo al centro dell'attività della corrente "ecosocialista" che si raccoglie attorno alla rivista internazionale "Capitalism-Nature- Socialism" e al suo direttore, il marxista americano James O'Connor. Sulle implicazioni politico-culturali del movimento di Seattle per l'ecologismo e la sinistra, vedi l'interessante articolo di L. Manconi, "Vi ricordate Seattle? Riflessioni (critiche) sui movimenti ecologisti", il manifesto, 17 dic. 1999.Riferimenti bibliografici F. Attinà
(1986), Parlamento europeo e interessi comunitari, Milano, Angeli. *Enrico Melchionda insegna presso il Dipartimento di Sociologia e Scienza della politica dell'Università di Salerno
Per avere qualche elemento in più sulle caratteristiche
del Partito della Sinistra Europea, fortemente voluto da Bertinotti,
riproduciamo un'ntervista con Hassan Charfo, responsabile del
Dipartimento Relazioni Internazionali del Partito Comunista
di Boemia e Moravia (KSCM). Perché questo atteggiamento, cosa vuole impedire?
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