Il fatto grave, e in certo senso epocale, che sta per prodursi nel panorama politico italiano è la integrale cancellazione, nel principale erede del PCI, delle radici, cioè del nesso con la propria ascendenza comunista. Da destra qualche osservatore acuto lo ha già rilevato, ovviamente con compiacimento. Date le dimensioni e le responsabilità che il partito Ds ha finora avuto, il passo che sta per compiersi rischia di "schiantare" la sinistra come tale. È del resto più che emblematico il fatto che il fu partito Democratico della sinistra stia per diventare partito Democratico, e basta.
Certo, le denominazioni contano fino a un certo punto, ma qui è in gioco la sostanza. La fusione dei Ds con un partito di centro (la Margherita) sposta al centro tutto l’asse politico italiano. Di qui la necessità che si ricomponga, a sinistra, una forza consistente e chiara. Di sicuro un contributo lo stanno dando i socialisti, che cercano di riunifìcarsi per rivendicare, appunto, il valore non obsoleto del socialismo.
I comunisti non possono rimanere spettatori compiaciuti delle proprie ragioni, né continuare a ragionare in termini di possibile crescita elettorale della singola formazione partitica. Debbono promuovere già con l’imminente congresso l’aggregazione a sinistra di cui il nostro paese ha bisogno come contrappeso alla omologazione moderata.
Dunque si dovrà non solo parlare apertamente delle necessità del momento rivolgendosi ai comunisti di Rifondazione (che dovranno pur uscire dalla situazione "provvisoria" cui il loro nome li inchioda) nonché a quanti dei Ds si terranno fuori dal Pd, ma, al tempo stesso, proporre all’intera sinistra, socialisti inclusi, di dar vita ad un programma comune e, appena possibile, ad una aggregazione.
Il "temario" del programma non dovrà essere né verboso né pretenzioso, ma essenziale. Intanto converrà ricordare che grandi questioni sono sul tappeto, quantunque si preferisca ignorarle, quasi che si tratti di flagelli "naturali".
Due esempi. Morti sul lavoro e costo scandaloso della politica e del ceto politico. Se porvi rimedio non è facile, parlarne è il primo passo necessario. Ed è anche un modo sano di suscitare una mobilitazione in vista di risultati concreti. Il fatto è che la grave e talvolta micidiale insicurezza sul lavoro dipende, tra l’altro (non unicamente) dall’arruolamento facile dei "senza diritti". Dunque, oltre alla necessità, messa bene in luce da Luciano Gallino nei giorni scorsi, di intensificare da subito i controlli e di approvare e rendere operativa in tempi rapidi e non millenaristici la legge che il governo ha preparato su questo tema, è indispensabile dare pienezza di diritti politici e sociali ai lavoratori che giungono dai mondi della miseria e che costituiscono un insperato, inesauribile, prezioso e per giunta vilipeso "esercito di riserva". Affrontare alla radice la nuova e lancinante ingiustizia è un compito cui i comunisti di un paese cosiddetto "occidentale-avanzato" dovrebbero consacrare la loro intelligenza e la loro azione.
L’altro tema, di norma pudicamente definito "i costi della politica", altro non è che l’irruzione del mercato nella politica, per usare una definizione dovuta ad un non-comunista che per troppo breve ora fu inquilino del "pantheon" del Pds, Norberto Bobbio. Tutti sappiamo che l’adorazione feticistica del mercato ha conquistato larga parte del ceto politico italiano quantunque diviso in centrodestra e centrosinistra. È urgente far comprendere cosa significhi e cosa comporti il grave snaturamento in direzione mercantile del meccanismo elettorale: le "libere elezioni", antico cavallo di battaglia della guerra fredda, sono giunte al capolinea della loro evoluzione storica. È compito dei comunisti da un lato parteciparvi nelle migliori condizioni possibili e sfruttare ogni spiraglio che l’attuale assetto di potere eventualmente offra ma contemporaneamente spiegare senza sosta di quale "mercato" effettivamente si tratti.
L’asservimento del lavoro dipendente e l’occupazione della pratica elettorale da parte dei più ricchi sembrano aspetti particolari ma vanno al cuore dell’assetto capitalistico del tempo nostro. È tempo, dopo la scomparsa del socialismo reale, fallito anche per le sue contraddizioni e ingiustizie, di trovare nuove strade. C’è spazio e ci sono compiti molto seri (non facili e sicuramente anti-demagogici) per i comunisti di oggi.
Il Congresso nazionale dei Comunisti italiani, al di là delle facili ironie degli avversari, dovrà proporsi come compito principale di avviare in tempi brevi la costruzione di un programma comune della sinistra.
La Rinascita della Sinistra 26 aprile 2007
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