Paolo Flores d'Arcais

Casta, proposta choc: chi ci sta?


(la Repubblica, 8 luglio 2011)

Una sola Camera, con cento deputati. Incompatibilità totale tra diverse cariche elettive. Immunità parlamentare ristretta al solo caso di arresto. Abrogare le province. Proibire il ricorso alle consulenze. E naturalmente, una legge sul conflitto di interessi che non si possa aggirare. Utopia? No, dipende da noi.

Sono vent'anni e forse più che i politici, ogni volta che sentono salire il disprezzo del paese verso di loro, promettono di ridurre il numero dei parlamentari, tagliare qualche privilegio troppo indecente, perfino abrogare le province. Poi, puntualmente, non fanno nulla: la Casta non ha nessuna intenzione di ridurre quel pozzo di san Patrizio che sono i costi della politica, su cui lucra, ingrassa, cresce e si moltiplica (ben più dei pani e dei pesci). Se una riforma istituzionale ci sarà mai, sarà solo grazie alle lotte dei cittadini (o, in senso reazionario, per i successi para-golpisti dell'establishment più retrivo).

Perciò vale la pena che la società civile democratica avanzi una proposta radicale, con cui condizionare i partiti di opposizione e costringerli a inserirla nel prossimo programma elettorale. La radicalità, in questo caso, coincide con il realismo.

Si faccia attenzione solo a questo: i parlamentari oggi sono mille (trecento e rotti al Senato, circa il doppio alla Camera), quelli che contano sono solo poche decine, tutti gli altri - chiamiamoli i peones - lo sanno benissimo. Se si propone di ridurne il numero da mille a ottocento, tutti i peones saranno ferocemente contrari. Se la proposta è invece assai più radicale (una sola Camera con cento deputati), lo saranno assai meno, perché nessuno di loro rischia che un peone pari grado conservi il seggio: in Parlamento ci andranno solo quelle decine di "capi" che già oggi riconoscono come "superiori".
Riprendo perciò una proposta di riforma istituzionale che ho avanzato un quarto di secolo fa, alle origini di "MicroMega", e che mi sembra quanto mai attuale per passare dalla Casta a una politica di rappresentanza democratica decente.

Una sola camera legislativa composta di cento deputati. In tal modo sarebbero molto più autorevoli e soprattutto molto più controllabili dai cittadini. La seconda camera diventerebbe una sorta di Senato di difensori civici che partecipa, in una seduta comune con la prima, all'elezione dei vertici dello Stato come il presidente della Repubblica e i giudici costituzionali, che promuove commissioni d'inchiesta e "udienze" su ogni tipo di nomina (a partire dai ministri) sul modello del Senato americano, e che è formata dai cinquanta sindaci delle città più grandi, per l'intera legislatura, e da altri cinquanta di quelle meno grandi estratti a sorte e a rotazione ogni anno (i sindaci possono volta a volta indicare un rappresentante).

Tra le varie cariche dovrebbe vigere la più rigorosa incompatibilità: deputato europeo, deputato nazionale, consigliere regionale: si può coprire un solo incarico alla volta, chi ha una carica non può neppure candidarsi per le altre (se vuole, si dimette prima). Dopo due mandati non si è più rieleggibili, si torna nella società civile. La funzione di ministro e quella di parlamentare dovrebbero anch'esse escludersi, sul modello francese e americano, prendendo sul serio la divisione dei poteri tra legislativo ed esecutivo. I ministri sarebbero così un po' meno proni alle esigenze clientelari. L'immunità parlamentare ristretta al solo caso di arresto, bloccabile solo con maggioranza qualificata (due terzi): altrimenti decide la Corte costituzionale, se c'è o meno "fumus persecutionis".

Le province andrebbero abrogate, il numero dei dirigenti nei comuni e nelle regioni legato a parametri fissi come la popolazione, proibito il ricorso alle costosissime "consulenze" (spesso tangenti mascherate) e alle nomine fuori concorso. Il conflitto di interessi andrebbe reso inaggirabile, affidando l'applicazione della legge del 1957 alla magistratura. La politica andrebbe finanziata esclusivamente "in natura" (risorse comunicative eguali per tutti i contendenti).

Senza lotte è utopia. Con le lotte, è programma di governo popolare e dunque vincente.