Luigi Cancrini

Droghe: che fare?


Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per gli Affari Sociali

Terza conferenza nazionale sui problemi connessi con la diffusione delle sostanze stupefacenti e psicotrope

Genova 28-30 Novembre 2000

La mattinata è stata lunga e densa: cercherò di essere davvero telegrafico, proponendo solo alcuni punti di riflessione.
Il primo riguarda l’osservazione che viene a livello europeo sul dato quantitativo dei consumatori problematici di sostanze. Sono un milione e mezzo, rappresentano il cinque per mille della popolazione, con una tendenza forte alla omogeneità nei diversi paesi. La mortalità dei consumatori problematici è venti volte più alta, a pari età e a pari livello sociale di quella della popolazione normale. È un dato che ci deve far riflettere. Avremo ancora molto a lungo a che fare con i problemi di droga. Molti sono i servizi che dovranno esserne coinvolti. Una differenza importante va posta tuttavia tra consumatori problematici e consumatori non problematici. Me lo consenta l’oratore precedente e collega: la differenza c’è. Parliamo, parlando di consumatori non problematici, di dati che riguardano il quindici, venti per cento della popolazione europea, e c’è un’enorme differenza, per fortuna, fra il quindici o il venti per cento o il zero cinque per cento o cinque per mille.
Dobbiamo avere chiaro, allora, che tutta l’epidemiologia sulle droghe ci propone una differenza enorme tra  so saltuario esplorativo e uso in cui ci sono problemi di dipendenza e che mettere tutto sullo stesso piano, anche in termini di messaggio preventivo, è per lo meno discutibile. Dobbiamo riflettere. Porci il problema con realismo guardando quello che accade fuori. Ragionando, per esempio, sul dato relativo alla diminuzione forte, nel nostro paese e in tutta Europa, della diffusione delle infezioni da HIV correlate alla tossicodipendenza. È la grande vittoria, questa, delle unità di strada e delle tanto discusse strategie di riduzione del danno: strategie che sono nate intorno a questo problema. Gli interventi di riduzione del danno, l’andare a cercare le persone che si facevano e non avevano contatto con i servizi per aiutarle anche se non avevano chiesto aiuto, dicendo loro “la tua salute ci interessa, la tua vita ci interessa anche se non vuoi ancora smettere”, erano rivolti soprattutto a questo. Un grande successo c’è stato, dobbiamo prenderne atto, dobbiamo crederci e continuare su questa linea. Solo sette o otto anni fa la tragedia dell’AIDS si diffondeva in Italia ed in Europa soprattutto attraverso i tossicodipendenti. Se non è più così, dobbiamo prenderne atto con soddisfazione: anche se non abbiamo sconfitto le droghe. Sapendo, però, che altri problemi si affacciano da affrontare con strategie adeguate. Quello dell’epatite C, per esempio: in tutta Europa perché le statistiche parlano di positività che oscilla fra il cinquanta e il novanta per cento della popolazione dei tossicodipendenti da eroina. Il contagio dell’epatite C non dipende solo dalle siringhe, segue molte altre strade: le strategie che sono state utili con l’HIV, dunque, non sono altrettanto utili. Anche qui, tuttavia, prioritario è il bisogno di contattare quella parte di tossicodipendenti che non arriva ai servizi.
Un altro punto da sottolineare, un dato che viene anche tutta Europa, è quello che riguarda l’aumento delle terapie sostitutive, quasi sempre ambulatoriali sui cui risultati sappiamo poco o nulla, come segnala di recente dall’Osservatorio Europeo. Servizi a bassa soglia residenziali per il trattamento sostitutivo potrebbero essere di aiuto allo sviluppo di queste terapie? Nessuno ne parla ma io credo che su problemi come questo dovremmo riflettere di più. Ci segnalano da Lisbona che “nonostante i notevoli passi avanti che sono stati fatti negli ultimi cinque anni in tema di valutazione delle terapie sostitutive, la maggior parte degli Stati membri registra ancora uno scarso livello di controllo della qualità, del monitoraggio e della valutazione dei risultati”. Da noi in Italia, possiamo rispondere oggi, il Governo ha fatto partire dei progetti di valutazione che daranno dei risultati nei prossimi anni. L’azione di un governo significa anche gettare dei semi, che diventano alberi dopo. E allora io credo che è con orgoglio che il Comitato Scientifico dell’Osservatorio può dire di avere orientato le ricerche che il Governo doveva fare utilizzando il 25% del Fondo Nazionale Droga, chiedendo che la valutazione dei trattamenti diventasse il punto di riferimento di tutte le attività: terapie sostitutive, psicoterapeutiche, sociali, interventi in comunità o in carcere. Mettendo in piedi uno studio sull’attività dei servizi e dei trattamenti che consenta, perché è ora di passare a questo, di avere dati sul livello dei risultati che si ottengono con i singoli interventi. Tutto questo chiede un lavoro duro, complesso. La Commissione Sanità del Senato, negli incontri fatti con i servizi, ha notato la discontinuità della loro organizzazione. Molti oratori hanno parlato della lentezza con cui le Regioni stanno recependo le indicazioni della legge 45 e della difficoltà di adeguare i SERT e la rete dei servizi alle esigenze reali del territorio. È difficile portare avanti un trattamento adeguato con metadone, arricchito dagli interventi psicologici e sociali che debbono essere integrate se, in un servizio con cinque o sei operatori, passano ogni giorno trecento persone a prendere, appunto, metadone. Il problema più urgente, allora, è quello di organizzare servizi adeguati, qualitativamente e quantitativamente, in tutto il territorio.
Vorrei proporvi ora un’altra osservazione che viene dall’Osservatorio Nazionale: uno studio che ha utilizzato tutti gli indicatori disponibili in Italia sulla distribuzione dei problemi di droga. Si è deciso, l’Osservatorio l’ha deciso, di lavorare articolando lo studio per province, e non per regioni perché le regioni sono troppo disomogenee dal punto di vista sia della diffusione di droga.
Ne è uscito un lavoro (chi ne ha curiosità lo troverà, molto dettagliato, nello stand dell’osservatorio) che valuta insieme gli indici di cui disponiamo: segnalazioni alle prefetture per l’art. 75, denunce dalle forze dell’ordine per problemi di spaccio e traffico, decessi correlati all’uso di sostanze, soggetti in cura presso i SERT, soggetti presenti nelle strutture del privato sociale, detenuti, casi di AIDS collegati con le tossicodipendenze. Dall’incrocio di tutti questi fattori, correlati attraverso metodi statistici accurati alle diverse province, viene fuori una serie di province nelle quali l’impatto del fenomeno droga è molto alto, un grosso numero di province in cui l’impatto è medio e un grosso numero di province in cui l’impatto è ancora abbastanza basso. C’è ancora molto da lavorare, ovviamente, perché anche in termini di impatto bassosi tratta poi di verificare i casi in cui l’impatto basso è dovuto ad una insufficienza degli strumenti di rilevazione. Quello che è certo, però, è che vi sono tredici provincie, Roma, Milano, Genova, Bologna e poi alcune meno grandi, Brescia, Imperia, L’Aquila, Modena, Padova, Piacenza, Ravenna, Varese, Verbania, in cui l’impatto del fenomeno droga è molto superiore alle altre. Che cosa ci dice un dato di questo genere.
Ci dice che dal punto di vista della programmazione, della allocazione delle risorse, della organizzazione dei servizi, noi dobbiamo studiare di volta in volta quello di cui c’è necessità nel territorio. Finora la programmazione è avvenuta su indici che erano molto più generali: la popolazione complessiva o, eventualmente, la popolazione di certe fasce di età. L’impatto del fenomeno, penso, dovrebbe essere valutato quando si allocano risorse. La distribuzione per provincia dell’impatto droghe, d’altra parte, propone altri risultati interessanti: la correlazione positiva fra impatto delle droghe e livello di occupazione, prima di tutto, perché l’impatto delle droghe non è maggiore laddove c’è maggiore disoccupazione giovanile ed è maggiore, invece, laddove c’è più occupazione e il livello socio-economico è più alto.
La diffusione delle droghe, dunque, ha a che fare con i livelli di benessere, con la quantità di soldi che si possono usare, e non soltanto con il disagio, soprattutto in questa fase in cui dalle droghe della disperazione, della emarginazione, del dolore, si sta passando alle droghe del tempo libero, dello sballo, del divertimento. Mentre per ciò che riguarda la scolarità, lo studio dell’Osservatorio conferma che, dove la scolarità è bassa e alta è la dispersione scolastica le droghe sono di più. Allora cosa possiamo proporre come quadro complessivo da verificare e da studiare? Che dove c’è scarso livello di scolarizzazione e i soldi che circolano sono molti, forse, la capacità di utilizzare i soldi in modo intelligente è scarsa. Un basso livello culturale corrisponde ad un’alta possibilità di consumo.
Concludo proponendo quelli che sono, in Europa ed in Italia, i grandi problemi che ci aspettano. Sono stati citati più volte. Riguardano le nuove droghe, l’uso e l’abuso di nuove droghe, spessissimo senza dipendenza. E qui, diciamo, il ministero ha seguito una strada che è quella di dedicare alle nuove droghe due campagne informative basandosi sull’idea per cui il grande nemico da sconfiggere in queste situazioni è l’idea comune a molti di questi giovani e adolescenti, che non si tratta di droghe. Il rischio è alto, insomma, fra le persone che assumono ecstasy senza farsi grandi problemi, che mandano giù anfetamine, che “calano” sostanze diverse di cui non conoscono la composizione, convinte che i drogati siano gli altri, sentendosi fuori dal problema. Per convincerle che non è così sono stati messe in piedi due campagne informative in cui si è detto: “attento, non è così, sono droghe”.
Usando un linguaggio non scostante, non paternalistico, non dall’alto, un linguaggio dalla parte dei giovani: una scelta discutibile, com’è ovvio perché tutto viene discusso. Quello che dobbiamo segnalare, però, è il grande successo di questa iniziativa: un numero di contatti straordinario sul sito internet che è stato messo in moto, due milioni in tre mesi di attività della campagna. Il che vuol dire che c’è interesse ad essere informati in modo intelligente, in modo corretto. Il che vuol dire che valeva la pena di fare quello che è stato fatto in uesti anni.
L’altro grande problema è quello che riguarda i dipendenti cronici da eroina. Il Professor Veronesi ha parlato dell’aumento di età ma questo è un dato che per tutti gli operatori è ormai evidente. Noi abbiamo meno ingressi nell’eroina, abbiamo il problema della gestione di situazioni che vanno avanti da dieci, da quindici, da venti anni: situazioni che pongono moltissimi problemi. Un primo problema è quello del crescere di diagnosi psichiatriche. L’emarginazione fa male, i tratti patologici della personalità si irrigidiscono, le crisi di livello psichiatrico si fanno più comuni. I figli dei tossicodipendenti, un esercito di bambini contesi fra servizi sociali, famiglie, famiglie allargate costituiscono un problema enorme, drammatico, esplosivo, rispetto a cui è necessario pianificare interventi proteggendo la genitorialità di chi è in grado di scommettere su se stesso e di cambiare e però anche tutelando i bambini laddove questo non è possibile. Su questo problema, credo, dobbiamo investire molto in termini di ricerca, far girare idee, promuovere la conoscenza delle esperienze positive che ono state già fatte.
L’ultimo grande problema è quello del tremendo circuito che si è istituito fra marginalità e carcere. Dobbiamo avere presente che esistono decine di migliaia di persone che fanno un dentro e fuori col carcere, che sono in rapporto con la droga e rispetto a cui è necessario mettere in moto un approccio centrato sulla persona. Queste persone non possono essere raggiunte soltanto con una proposta secca della serie “ti dò un farmaco, te ne dò un altro” o cose di questo tipo. C’è bisogno di molto di più, c’è bisogno di una capacità di essere con loro. Le unità di strada l’hanno imparato e insegnato: quello che è inutile aspettarsi all’inizio è che persone che stanno vivendo un’esperienza di marginalità diventino utenti del servizio a cui si va in un orario definito, seguendo regole precise. Bisogna lavorare nelle strade, sul territorio, accanto a queste persone per rendere possibile questo contatto. E bisogna soprattutto ampliare grandemente (il Ministro Fassino ne ha parlato con chiarezza questa mattina) il numero delle possibilità di misure alternative alla detenzione. Deve poter andare in comunità terapeutica, in residenze protette, in luoghi in cui possono comunque essere seguiti un numero maggiore di detenuti tossicodipendenti di quelli che ci vanno oggi. Il carcere non è una soluzione e noi possiamo andare oltre il carcere solo trovando altre strade, proponendo soluzioni utili alla singola persona. Io non voglio entrare nel dibattito sulle diverse sostanze sostitutive, credo che lo si farà domani in una commissione che si occupa di questi aspetti.
Consentitemi, però, solo una parola. Parlare solo della Svizzera e non per esempio dell’Inghilterra, dove questa esperienza va avanti da ottant’anni, a me sembra riduttivo. Io credo che bisogna discutere, prendere atto dei problemi, delle esperienze di tutti, ma anche prendere atto del fatto che quando una persona sta male da tanto tempo c’è poco da inventare. La cosa che bisogna costruire è una relazione significativa con questa persona. Per restare in un’immagine che è stata più usata qui, qualcuno ha detto: “che facciamo? Bisogna far qualcosa, altrimenti li lasciamo a loro stessi!”. E io dico che a me i tossicodipendenti, in trent’anni di attività, mi hanno insegnato una cosa: che esiste anche la pazienza; che a volte non si deve fare niente per un po’ di tempo, che si può  stare con qualcuno, non facendo niente per un po’ di tempo e aspettando. Perché poi, a un certo punto, un’idea viene fuori.