Bruno Trentin

La libertà viene prima. Se la politica rimuove il lavoro

Editori Riuniti, 2004, € 12,00

Ogni lavoro di Bruno Trentin ha saputo suscitare interesse e riflessioni non banali; non soltanto in chi, come noi, per il comune impegno nella CGIL, poteva meglio di altri comprendere il significato e le implicazioni di ogni sua analisi o giudizio. Così è anche per questo agile volume, la cui lettura è stata per me particolarmente ricca di stimoli.

Nonostante il libro raccolga scritti elaborati lungo un arco temporale che va dal 1997 al 2004 - otto anni segnati da molti cambiamenti nello scenario politico - il primo dato che risulta evidente alla lettura è la straordinaria attualità delle tematiche, affrontate sempre senza scadere nel politicismo che connota gran parte della pubblicistica corrente.

Una riflessione profonda, incalzante, rivolta senza compiacimenti alla sinistra politica e al sindacato confederale, e quanto mai concreta nei suoi approdi. Caratteristiche che confermano la statura dell’autore come uomo politico, come leader sindacale, come grande intellettuale. Innanzitutto questo mi premeva dire, con convinzione e senza alcuna piaggeria.


Alla sinistra politica Trentin, confermando una tesi già sostenuta in La città del lavoro (Feltrinelli, 1997), invia un messaggio fortissimo: la crisi di identità della sinistra deriva dalla rottura del rapporto tra politica e società del lavoro. Ancor più esplicitamente “solo riconquistando un’autonomia culturale, una lettura critica delle trasformazioni sociali che maturano, in primo luogo, nel rapporto di lavoro, sarà possibile uscire dalla ‘farsa’ dei programmi che si succedono per morire subito dopo; (...) In realtà dietro a questo continuo rinvio del programma ‘a dopo’ (...) esiste una paura diffusa, anche negli schieramenti interni ai partiti e ai movimenti, di dividersi su scelte strategiche e di vincolarsi, così, a un progetto che precluda la strada al vecchio metodo trasformista della navigazione a vista, delle scelte e dei compromessi improvvisati volta per volta, della politica come galleggiamento e come governabilità dell’esistente.”

La “crisi di identità della sinistra” di cui parla Trentin è un processo profondo, che viene da lontano, e che non è negato dalle oscillazioni congiunturali, seppur importanti, della vicenda politica quotidiana o dal fatto, pur straordinariamente positivo, che la destra italiana stia ormai platealmente consumando il fallimento della sua esperienza al governo del paese.

Infatti tutt’altro che scontata è la premessa del ragionamento, cioè la considerazione secondo cui “le trasformazioni sociali - si badi: della società in quanto tale - maturano in primo luogo nel rapporto di lavoro”. Considerazione dalla quale consegue la fermissima convinzione che “il lavoro (...) sta riacquistando un valore, un valore nel senso sociale, che non ha mai avuto nella storia”. E dunque: “Qui sta la valenza strategica di una scelta della sinistra e del centrosinistra a sostegno dei diritti fondamentali e, soprattutto, dei nuovi diritti fondamentali dei lavoratori (...) Perché è su questi diritti che è possibile ricostruire un rapporto dialettico fra la politica e la società civile.”

Al sindacato confederale l’autore rivolge considerazioni altrettanto serrate e rigorose. “(...) il movimento sindacale potrà conquistare una nuova rappresentatività, assumendo nuove priorità generali nella sua azione rivendicativa e nella sua politica contrattuale”.

La dignità e la libertà della persona umana non sono mai state, come oggi, la ragione fondamentale di una solidarietà fra diversi”. E ancora: “Nessun progresso è ormai concepibile e nessuna modernizzazione è ormai sostenibile se non prendono in conto il primato della libertà attraverso la conoscenza; e se non fanno definitivamente giustizia di tutte le ideologie totalitarie che pretesero che la libertà sarebbe venuta dopo (...), che il benessere è la condizione preliminare e insostituibile per godere della libertà e per saperla utilizzare”.

Per Trentin la fine del fordismo rende ancor più insostenibile ogni residuo di logica risarcitoria nella pratica sindacale, anche se l’esigenza è di più antica data; e su questo insiste: “Se guardi alle lotte sociali e politiche di questo secolo, sotto il profilo dell’uguaglianza dei risultati, trovi solo un bilancio di sconfitte (...) Il grande paradosso è che invece, bene o male, le conquiste di libertà e di potere che dovevano rappresentare solo un ‘mezzo’ provvisorio sono divenute il figlio ‘naturale’ e vitale, anche se non ‘programmato’ delle lotte operaie”.

“Diritti” e “pari opportunità” per ciascuno sono il terreno su cui dislocare la strategia contrattuale e l’azione rivendicativa per dare corpo a una nuova sintesi fra solidarietà e valorizzazione delle soggettività; poiché, appunto, la libertà viene prima e dà valore a ogni ipotesi meramente redistributiva.

Nella seconda parte del libro, e sulla base di queste premesse fondamentali, l’autore affronta i principali capitoli di un progetto possibile per la sinistra sociale e politica: il lavoro e la conoscenza; il welfare e l’invecchiamento attivo; l’Europa nella mondializzazione; la democrazia economica.

Complessivamente un contributo prezioso ed efficace per chiunque voglia davvero misurarsi con la contemporaneità.

In particolare alla CGIL e a tutto il suo gruppo dirigente consiglio di leggere questo libro, con spirito di ricerca e con la mente libera da ogni preconcetto. Può essere un viatico prezioso per quell’aggiornamento delle nostre strategie che l’approssimarsi del congresso sollecita; poiché non potremo cavarcela, io credo, presentando il menù delle cattive politiche praticate dal governo di centro destra, di cui rivendicare la sconfessione o l’abrogazione.

Il monito che Trentin rivolge alla sinistra politica, affinché sappia riconquistare una lettura critica delle trasformazioni sociali, vale anche per noi.

Giuseppe Casadio www.rassegna.it, maggio 2005