NON AGGIORNATO
Nella classifica sulla libertà di stampa nel mondo, diffusa da Reporters Sans Frontières, l'Italia, al 42° posto, è ultima tra i paesi dell'Europa occidentale, davanti comunque agli USA che hanno perso in un anno oltre venti posizioni scivolando al 44° (in fondo la classifica) È quanto rivela la speciale graduatoria stilata dall'associazione internazionale per la difesa della libertà di stampa ed i diritti degli operatori dell'informazione, che ha monitorato 167 Paesi di cinque continenti attraverso associazioni, giornalisti, giuristi e militanti di movimenti per i diritti umani. Sono i Paesi dell'Europa settentrionale a meglio figurare nella classifica, guidata da Danimarca, Finlandia e d Islanda, seguite da Irlanda, Olanda e Norvegia. In Asia orientale e Medio Oriente buona parte dei Paesi in cui le condizioni sono peggiori, come Corea del Nord (167), Eritrea (166) e Turkmenistan (165). "In questi paesi, la stampa privata non esiste e la libertà di espressione continua ad essere sistematicamente soffocata. I giornalisti dei media ufficiali non fanno altro che diffondere la propaganda di Stato... Una parola di troppo, un nome scritto male, un commento che si allontana, anche di poco, dalla linea ufficiale possono provocare l'arresto di un giornalista o attirare su di lui le ire del potere", dice Rsf. Che assegna giudizi pessimi anche a Cina (159), Cuba (161) e Libia (162), oltre all'Iraq (157) sceso dal 2004 dopo che la situazione della sicurezza per i giornalisti si è ulteriormente aggravata. PASSI INDIETRO IN MOLTE DEMOCRAZIE OCCIDENTALI Diverse democrazie occidentali, rileva ancora Rsf, hanno perso numerosi posti rispetto allo scorso anno. Gli USA in particolare per l'incarcerazione dell'inviata del New-York Times, Judith Miller, e delle misure giudiziarie oggi in vigore che mettono in pericolo la protezione del segreto delle fonti, particolare questo condiviso dal Canada (sceso al 21° posto). L'Italia 42a (nel 2004 era 39a), è stata penalizzata in particolare dall'episodio di una perquisizione nella redazione del Corriere della Sera nello scorso maggio, dopo la pubblicazione di un articolo sull'uso delle pistole Beretta in Iraq. Episodio che secondo Rsf "ha dimostrato nuovamente come è forte nel paese la tentazione di violare il segreto delle fonti giornalistiche". Anche la Francia (30° posto) ha perso posizioni per via di perquisizioni in giornali, oltre che per condanne per nuovi reati di stampa. Punteggio negativo anche per la Spagna (40° posto), soprattutto a causa delle minacce sistematicamente rivolte ai giornalisti da parte dei militanti dell'Eta. Intimidazioni ai giornalisti da parte di paramilitari anche in Irlanda del Nord, che collocano la Gran Bretagna al 24° posto. Stati che hanno conquistato di recente l'indipendenza, sottolinea ancora l'associazione, si sono dimostrati molto attenti alla libertà di stampa, ha rilevato ancora Rsf. È il caso di Slovenia (9° posto), Estonia (11°), Lettonia (16°), Lituania (21°) Namibia (25°), che hanno contraddetto "le tesi inesatte invocate da alcuni leader autoritari, che sostengono che bisognerà aspettare vari decenni prima di vedere svilupparsi la democrazia nei loro paesi". Altro luogo comune da sfatare, dice ancora Reporters Sans Frontières, quello che lo sviluppo economico sia premessa indispensabile a democratizzazione e rispetto dei diritti dell'uomo, visto che nella classifica sulla libertà di stampa, paesi molto poveri come Benin (25° posto), Mali (37°), Bolivia (45°), Mozambico (49°), Niger (57°) e Timor-Est (58°) non sfigurano.Una classifica analoga è stata stilata dalla Freedom House, che per il 2005 mette l'Italia al 72° posto, tra Bulgaria e Mongolia...
Freedom House, assai nota ma poco conosciuta organizzazione statunitense, ha diramato nei giorni scorsi il rapporto sulla libertà di stampa. Appuntamento annuale al quale la potente organizzazione è deputata da un ordine di servizio impartitole direttamente dalla Casa Bianca. Le critiche all’Italia sono condivisibili, certo. Una situazione come quella italiana, deve apparire francamente intollerabile agli occhi del Paese che sanziona il conflitto d’interessi e la concentrazione monopolistica. Ma... ...il caso italiano non è certo una priorità per Freedom House, il cui vero lavoro è oggi incentrato su ben altre scacchiere: Cina, Cuba, Vietnam, Iran, Siria, Nigeria e Sudan sono i paesi nel mirino. Il fatto che questa associazione sia incaricata di redigere analisi e rapporti così importanti per gli orientamenti di politica estera dell’amministrazione statunitense non deve stupire. Sessantaquattro anni di attività lo dimostrano: Freedom House sta alla CIA come un topo al formaggio. Per averne conferma basta leggere i nomi dei suoi esponenti più importanti, vero e proprio mix di intelligence e diplomazia, spesso parallela, USA. Presidente di Freedom House è attualmente James Woolsey, ex capo della CIA. Il Consiglio d’amministrazione vede tra gli altri la presenza dell’ex ambasciatore Thomas Foley, (presidente della Commissione Trilateral, ex presidente del Consiglio d’intelligence) Malcom Forbes (Forbes magazine) Samuel Huntington (teorico dello scontro di civiltà), Jeane Kilkpatrick (ex ambasciatrice di Reagan all’Onu) e, ciliegina sulla torta, Diana Villiers (moglie di John Negroponte, attuale coordinatore di tutta l’intelligence USA). L’idea dalla quale nacque la Freedom House venne a F.D. Roosevelt, nel 1941, quando vennero create diverse associazioni negli Stati Uniti il cui scopo era quello di preparare ideologicamente il Paese alla guerra. Si riunificarono poco prima dell’attacco a Pearl Harbor e trovarono una casa comune a New York: la Casa della Libertà, Freedom House, per l’appunto. Ma la casa vera era ed è tuttora la Casa Bianca.Furono numerosissime le associazioni ed i premi che grazie a Freedom House videro la luce, ma le campagne più significative furono a sostegno del Piano Marshall, della Nato e della guerra in Viet-nam. Lo slogan preferito? “Stati Uniti, paese della libertà”. Nel 1982, quando Reagan decise di aprire la Fondazione Nazionale per la Democrazia (Fed), con lo scopo di rendere presentabili le covert action della CIA, Freedom House smise di brillare di luce propria per divenire un settore del ben più ampio dispositivo di propaganda della Casa Bianca. Da quel momento la Ned (National Endowment for Democracy) assorbì e sovvenzionò Freedom House, che a sua volta cofinanziò e realizzò alcuni progetti della Ned, ampliando così la sfera dell’intervento politico-mediatico a sostegno delle amministrazioni USA. Nel 1983, di fronte all’esplodere dello scandalo Iran-Contras, Reagan decise di ristrutturare l’apparato di propaganda, definito “diplomazia pubblica”. Walter Raymond, Direttore del Consiglio Nazionale di Sicurezza, organizzò un comitato di supervisione dove inserì, per conto di Freedom House, Leonard R. Sussman e Leo Cherma, quest’ultimo specialista della guerra psicologica. A capo della segreteria delle operazioni arrivò Otto Reich, (agente CIA, legatissimo ai cubani di Miami e ispiratore del fallito colpo di stato confindustriale in Venezuela, attualmente ai vertici del dipartimento per l’America latina dell’amministrazione Bush). Associazioni per la libertà di stampa e per la libertà religiosa, arruolamento di dissidenti dei paesi dell’Est e di intellettuali europei a un tanto al chilo, invio di articoli già confezionati per i principali giornali in lingua inglese, uffici in mezzo mondo; Freedom House partecipò in prima linea alla nuova guerra fredda patrocinata da Reagan e da Bush padre. Nel 1988 Freedom House creò un gruppo di lavoro sull’America centrale il cui obbiettivo principale era quello di diffondere la disinformazione sul governo sandinista del Nicaragua. Per l’occasione, vennero coinvolti anche sindacalisti della Afl-Cio.Negli anni ’90 l’attività dell’associazione si ampliò all’est europeo e ad alcuni paesi del Maghreb, tra i quali Giordania e Algeria. Nel 1999 creò il Comitato statunitense per la pace in Cecenia, diretto dall’ex Consigliere della Sicurezza Nazionale Brzezinski e da Alexander Haig, il primo segretario di Stato di Reagan. Ottenne l’appoggio dell’influente Istituto democratico per gli Affari Internazionali di Madeleine Albright, vera e propria enclave democratica nella Ned e nella CIA. Sono innumerevoli le organizzazioni e le associazioni statunitensi che Freedom House coinvolse nei suoi progetti. Lo scopo era quello di contattare ogni possibile organizzazione dalle stesse finalità presenti nel campo socialista e di farlo attraverso sigle che apparentemente non destassero particolari sospetti. Contatti, accordi, nomi e analisi arrivavano sulle scrivanie di Langley e nei rapporti alle varie agenzie dalle quali Freedom House dipendeva e dipende e che a loro volta, in parte, dal lavoro di Freedom House traggono enormi vantaggi per le loro operazioni.É dagli uffici di Freedom House che nacque l’idea della jihad afghana ed è sempre la stessa associazione che chiese a Osama bin Laden, allora fervente agente CIA e capo dei Talebani, di aiutare l’esercito musulmano in Bosnia. Nel 2002, Freedom House creò in Ungheria, con l’appoggio della Usaid, un servizio web per le Ong dell’Europa centrale, tra queste ngonet.org. Negli ultimi anni ha condotto la campagna di riabilitazione del partito Arena in El Salvador, eredità politica degli squadroni della morte del maggiore Roberto D’Abuisson, assassino tra gli altri di Monsignor Romero. Arena entrò a far parte della Lega Anticomunista Mondiale ed uno dei suoi uomini più fidati, Antonio Saca, è oggi Presidente di El Salvador. Il Presidente George W. Bush ha incaricato Freedom House di presentare un rapporto annuale sulle libertà pubbliche ed i diritti politici nel mondo. A seguito di questo, gli Stati Uniti decidono se dare o negare aiuti allo sviluppo nel quadro della Millenium Challenge Corporation. Freedom House prepara insomma il terreno; è il retroterra, l’essenza di quella “ingerenza democratica” che precede le guerre preventive. Negli ultimi anni, l’attività in America latina è stata piuttosto intensa. Cuba risulta essere la punta di diamante della sua iniziativa. L’attuale programma di Freedom House ha nei suoi punti fondamentali localizzare e reclutare giornalisti, esponenti poltici e di Ong dell’est europeo da inviare a Cuba a sostegno dei cosiddetti dissidenti. Nessun segreto, lo riconobbe pubblicamente nel giugno del 2000 la stessa Freedom House, quando ammise di aver organizzato e finanziato il viaggio a Cuba di quattro giornalisti, due economisti e un accademico dell’est Europa con il fine di redigere articoli, relazioni ed analisi destinate a formare opinione internazionale contro l’isola caraìbica. Il coinvolgimento di Freedom House nel recente “Programma Cuba”, in ottemperanza alla sezione 109 della legge Helms-Burton del 1996, ha visto l’elargizione di un milione e mezzo di dollari provenienti dai fondi della Ned. A capo dell’operazione, tanto per non smentirsi, è stato insediato Frank Calzon, terrorista di origine cubana, ufficiale CIA legatissimo alla Fnca di Miami. Le regole, di Freedom House come della Ned, alla fine, sembrano essere due: il primo amore non si scorda mai, i vecchi amici non si dimenticano. 4 maggio 2005
CLASSIFICA 2010 di REPORTERS SANS FRONTIÈRES
La nostra ultima classifica mondiale della libertà di stampa contiene sorprese piacevoli, mette in luce realtà pesanti e conferma alcune tendenze,” ha dichiarato oggi Jean-François Julliard, segretario generale di Reporters sans frontières, in occasione della pubblicazione della nona edizione della Classifica. “Oggi più che mai, si vede che lo sviluppo economico, la riforma istituzionale e il rispetto dei diritti fondamentali non necessariamente vanno di pari passo. La difesa della libertà dei media continua a essere una battaglia, una battaglia di vigilanza nelle democrazie della vecchia Europa e una battaglia contro l’oppressione e l’ingiustizia nei regimi totalitari ancora sparsi per il globo. Reporters sans frontières ha ripetutamente espresso la sua preoccupazione per il peggioramento della situazione della libertà di stampa nell’Unione Europea e il 2010 conferma questa tendenza. Tredici dei 27 membri dell’Unione europea sono nei top 20, ma alcuni degli altri 14 sono in posizioni molto basse della classifica. L’Italia è 49a, la Romania 52a e la Grecia e la Bulgaria sono insieme nella 70a. L’Unione Europea non è un tutt’uno omogeneo per quanto riguarda la libertà dei media. Al contrario, il divario tra le migliori e le peggiori continua ad allargarsi. Diversi paesi condividono il primo posto nella nuova Classifica. Quest’anno sono Finlandia, Islanda, Paesi Bassi, Norvegia, Svezia e Svizzera. Tutti hanno già avuto quest’ onore da quando la Classifica è stato creata nel 2002. Norvegia e Islanda sono sempre stati tra i paesi in prima posizione, tranne che nel 2006 (Norvegia) e 2009 (Islanda). Questi sei paesi si pongono ad esempio per il modo con cui rispettano i giornalisti e i mass-media e li proteggerli da abusi giudiziari. Negli ultimi anni, Reporters sans frontières ha richiamato l’attenzione particolare a tre paesi che sono stati sempre nelle ultime tre posizioni, Eritrea, Corea del Nord e Turkmenistan. Quest’anno, il gruppo è più grande, ben dieci paesi sono caratterizzati dalla persecuzione dei media e da una completa mancanza di notizie e informazioni. In questi paesi, la situazione della libertà di stampa continua a deteriorarsi ed è sempre più difficile dire quale sia peggiore dell’altro. La differenza tra i punteggi dei “migliori” e i peggiori degli ultimi 10 paesi è di solo 24,5 punti di quest’anno. Era di 37,5 punti nel 2009 e 43,25 nel 2007. I paesi del cosiddetto BRIC – Brasile, Russia, India e Cina – hanno avuto una fase di sviluppo economico abbastanza simile, ma per il 2010 la Classifica evidenzia in questi paesi grandi differenze nella situazione della libertà di stampa. Grazie alle positive modifiche legislative, il Brasile (58°) è salito di 12 posti rispetto all’anno scorso, mentre l’India è scesa di 17 posti fino al 122°. La Russia, che ha avuto un anno particolarmente letale, è classificata di nuovo molto in basso al 140° posto. Nonostante una blogosfera sorprendentemente vivace e attiva, in Cina ancora censura e incarcera i dissidenti e continua a languire in 171a posizione. Questi quattro paesi dovrebbero far fronte alle loro responsabilità di potenze emergenti e devono adempiere ai loro obblighi in materia di diritti fondamentali.
*(membro del Board di direzione di Reporter Associati) |