Paola Bordandini e Aldo Di Virgilio

PdCI: ritratto di un partito che non avrebbe dovuto esserci

6. Osservazioni conclusive: il PdCI e la trasformazione dei partiti italiani

Qual è l’utilità dell’analisi e delle evidenze presentate fin qui rispetto al tema più generale del cambiamento partitico in Italia? Una prima, icastica risposta è che nel caso del PdCI il cambiamento sta nella continuità, adattata al nuovo contesto competitivo. Un diverso e forse più promettente argomento è invece osservare che anche dallo studio di un partito piccolo, marginale e poco influente come il PdCI è possibile ricavare indicazioni non irrilevanti.
Tre i principali punti da considerare: l’evoluzione della diaspora rossa e le forme di persistenza della tradizione comunista in Italia; le interazioni fra risorse organizzative e condizioni ambientali nell’attuale contesto partitico; le prospettive del PdCI alla luce delle considerazioni precedenti.
Rispetto al primo punto, l’ipotesi più volte richiamata in questo lavoro è che il PdCI rappresenta il segmento della diaspora rossa caratterizzato dalla maggiore continuità con il passato. Alcuni degli aspetti esaminati (la vicenda genetica, le caratteristiche della struttura organizzativa, la cultura politica dei quadri intermedi) convergono nel caratterizzare il partito come l’erede più ortodosso del vecchio PCI. Pur intrattenendo con quell’antecedente una parentela di secondo grado, il legame con il PCI è emerso infatti come elemento fondante dell’identità del nuovo partito ed è stato considerato dagli imprenditori politici che hanno dato vita al partito alla stregua dell’acquisizione di inestimabili quarti di nobiltà. Per più di un aspetto, come si è visto, il PdCI può considerarsi una sorta di PCI in sedicesimo. Questa maggiore vicinanza alla casa madre trova conferma anche dalle osservazioni comparate presentate in questo lavoro. Tutto ciò sembra indicare che i tre partiti della diaspora rossa vuoi perché nel PCI coabitavano anime diverse, vuoi perché le nuove organizzazioni partitiche si sono adattate in modi diversi al cambiamento del proprio ambiente operativo siano ormai sensibilmente diversi fra loro. Per il PDS-DS e per il PRC la fuga dal comune punto di partenza ha comportato un processo di sostituzione delle strutturate risorse di identità con risorse di altra natura: legate al conseguimento di un ruolo governativo e alla rappresentanza degli interessi della rete subculturale nel caso dei DS; derivanti dalla svolta movimentista e dalla scommessa sulla propria capacità di coordinare le molte espressioni della sinistra radicale nel caso di Rifondazione. Si tratta in entrambi i casi di una scommessa competitiva. Per i DS la posta in gioco è la conquista, per interposto Ulivo, di una posizione centrale e, a dispetto di un purgatorio che perdura, del definito superamento della «soglia oggettiva dell’accettazione democratica» [Bosco 2000, 282-284]. Per Rifondazione si tratta invece di conquistare, attraverso il conseguimento di un più ampio spazio elettorale, un potere di condizionamento non più solo negativo sui programmi e le politiche della coalizione di centro-sinistra. Da quanto si è visto, il caso del PdCI è molto diverso: a differenza dei partiti cugini, esso si colloca infatti ai margini del mercato, in una posizione di nicchia che, come si è visto, si avvale, da un lato, di una solida base identitaria e, dall’altro, di un’adesione leale alla coalizione di centro-sinistra.
Tra i partiti della diaspora rossa, insomma, il PdCI è il più fermo e fedele al proprio passato, non senza conseguenze all’apparenza paradossali, ad esempio il fatto che Cossutta, messo in sordina il tradizionale filosovietismo, si ritrovi berlingueriano pur essendo rimasto lo stesso Cossutta di vent’anni fa 56.
Se dai destini della diaspora rossa ci si sposta a considerazioni più generali relative al cambiamento partitico, questo lavoro consente di mettere in luce due aspetti. Il primo è che l’analisi della presenza e della capacità di persistenza di un partito come il PdCI suona come una (non sorprendente) conferma del fatto che l’odierno contesto partitico e competitivo (Di Virgilio 2005) garantisce ai piccoli partiti, anche a quelli non centrali ma estremi, condizioni favorevoli per sopravvivere se non per prosperare. Il secondo aspetto è che nel funzionamento dell’organizzazione le risorse istituzionali derivante dalle posizioni elettive e di governo (risorse finanziarie, relazionali, di comunicazione, logistiche, di staff) hanno acquistato un peso assai consistente 57. Anche dentro il PdCI, come la stessa affermazione dei notabili rossi sembra indicare, il party in public office sembra affermarsi rispetto alle altre facce dell’organizzazione partitica [Katz 1994]. Ciò potrebbe rendere precari gli equilibri organizzativi se non trasformare il PdCI in un terreno di conquista. Come accade in altri contesti (van Biezen 2000), nel PdCI questi sviluppi vengono attenuati dalla parziale sovrapposizione di personale che si registra, a livello nazionale come a livello regionale, fra party in public office e partito organizzazione. Malgrado la tradizione partitica, il party in central office in quanto tale non sembra in grado non sembra in grado di esercitare un effettivo controllo sui coordinamenti regionali, come l’insuccesso del tentativo di censire l’effettivo ammontare delle indennità di quota delle posizioni elettive, gestionali e di governo occupate da esponenti di partito e di imporne una devoluzione pari al 50% sembra indicare.
Quali potranno essere, dunque, le prospettive politico-organizzative dei Comunisti italiani? Molto dipende dall’affidabilità delle risorse strategiche sulle quali il partito ha fondato la propria azione politica e dunque dalla tenuta delle posizioni di nicchia che ne sono derivate.
La nicchia identitaria, priva com’è di effettivi sfidanti, si presenta più stabile della nicchia sistemica. Soffre però un’incerta riproducibilità generazionale. La nicchia sistemica, d’altro canto, è meno solida della nicchia identitaria, poiché risente dell’evoluzione dei rapporti interpartitici e, in generale, di un contesto ambientale sul quale la coalizione dominante può esercitare un controllo assai limitato. L’adesione di Rifondazione alla nuova Unione democratica e la sua candidatura a esercitare un ruolo di governo hanno costituito un esempio significativo di come la struttura di vincoli e opportunità all’interno della coalizione possano facilmente modificarsi. La reazione del PdCI a questo cambiamento semba essere un’inedita apertura alla logica di cartello 58. Caduto l’oggettivo steccato della diversa collocazione rispetto alla coalizione e alla prospettiva del governo e considerata la convergenza su molte posizioni di policy (pace/guerra; lavoro e stato sociale) la proposta di “fare cartello” è stata rivolta anzitutto a Rifondazione. Due le ipotesi prospettate: la Confederazione della sinistra da realizzarsi attraverso la convergenza dei tre partiti della diaspora rossa; la Lista Arcobaleno assieme ai Verdi e aperta ai movimenti e ai sindacati. Per il PdCI la principale incognita di un adattamento competitivo di questo genere è che la politica di cartello possa retroagire in modo negativo sulla nicchia identitaria. Ed è significativo, a questo proposito, che per il partito la maggiore preoccupazione connessa alla creazione di un cartello di forze sia di carattere “simbolico”, riguardi cioè la visibilità dei propri (irrinunciabili) connotati simbolici comunisti nel simbolo grafico con cui l’eventuale cartello si presenterà sulle schede elettorali.

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NOTE

1 I dati su cariche elettive e di governo a livello regionale e locate ci sono stati forniti da Alessandro Pignatiello del Dipartimento organizzazione del PdCI, che qui ringraziamo. Sono dati aggiornati al luglio 2005 e non comprendono i comuni con meno di 15.000 abitanti.
2 Il che contribuisce alle anomalie del sistema partito italiano su scala comparata: nessun sistema partitico dell’Unione europea conta infatti due partiti neo-comunisti, i quali, oltretutto, si caratterizzano entrambi come partiti di governo e sono entrambi alleati con partiti aderenti al Partito popolare europeo (l’UDEur).
3 Ci riferiamo soprattutto, anche per il loro comune ancoraggio ai dilemmi legati all’ingresso nell’area di governo, al Psiup (in uscita dal Psi nel gennaio 1964), a Democrazia nazionale (in uscita dal Msi nel 1976) e anche, più recentemente, agli stessi Comunisti unitari. Rappresentano casi diversi, invece, sia combinazioni parlamentari che si formano in periodi di fluidità quali i Federalisti-liberaldemocratici e l’UDEur (benché in quest’ultimo caso nei sia uscito un partito altrettanto persistente che il PdCI), sia scissioni anzitutto partitiche (quali il PSLI, il PDS e il PRC, il CCD e il PPI, il CDU). Si tratta di riflessioni impressionistiche; il tema delle scissioni di partito non ha ancora ricrevuto sufficiente attenzione e sistematizzazione.
4 “Certificare” qui la divisione in paragrafi fra pb e adv. Questo lavoro nasce da una riflessione e analisi comuni.
5 Questo articolo è parte di un lavoro più ampio che stiamo conducendo sui partiti della sinistra post e neo comunisti in Italia. Il lavoro costituisce un prodotto del progetto di ricerca interuniversitario (ex 40%) “Per un Osservatorio italiano sulle trasformazioni dei partiti politici” (responsabile scientifico Marco Tarchi) e, più specificamente, del programma locale “Per un Osservatorio italiano sulle trasformazioni dei partiti politici. Cambiamento culturale, organizzativo, strategico e comunicativo fra partiti e coalizioni in Italia dal 1993 al 2006” diretto da Aldo Di Virgilio presso il Dipartimento di Organizzazione Sistema Politico dell’Università di Bologna. A quest’ultimo si collega anche il progetto ex 60% 2004 “RC-PdCI-DS. Una ricerca comparata sull’evoluzione della cultura politica dei partiti neo e postcomunisti” anch’esso diretto da Di Virgilio.
6 Al movimento dei Comunisti unitari aderirono 19 parlamentari (14 deputati, tre senatori e i due europarlamentari) in uscita da Rifondazione dopo aver votano nel gennaio la fiducia a Dini e a marzo la legge finanziaria. La confluenza nei DS, decisa nel successivo giugno, fu sancita ufficialmente soltanto nel febbraio 1998 agli Stati generali della Sinistra con cui giunse a compimento del progetto di Cosa 2 lanciato da D’Alema e il passaggio dal PDS ai DS. In quell’occasione, oltre ai Comunisti unitari, fecero il loro ingresso nel nuovo partito i Cristiano sociali (Carniti e Gorrieri), i Laburisti (Spini), la Sinistra Repubblicana (Bogi, Battaglia e Passigli), i socialisti di Ruffolo.
7 È il tema delle due sinistre, che animò anche altre divisioni (fra socialisti e socialdemocratici nel 1947; fra socialisti e socialproletari nel 1964) e contrapposizioni (lo scontro fra Craxi e Berlinguer negli anni Ottanta). Dentro il PCI, per tutta la lunga fase della conventio ad excludendum fissata nei suoi confronti dai partiti democratici, la questione rimase del tutto ipotetica (non senza manifestarsi, ad esempio, nei contrasti fra la destra di Amendola e la sinistra di Ingrao). Fu invece alla base del dibattito fra miglioristi e centro post-berlingueriano negli anni Ottanta e accompagnò lo stesso passaggio dal PCI al PDS negli anni Novanta. Il dilemma rimase irrisolto all’interno del PDS (al punto che all’atto della sua nascita il modello «antagonista-movimentista» si presentava come un’attendibile ipotesi di sviluppo del nuovo partito [Ignazi 1992, 174 e ss.]) e rappresentò un aspetto costitutivo nella nascita di Rifondazione (movimento che si proclamava rivoluzionario, fissava nello statuto l’obiettivo del superamento del capitalismo, affidava la sua identità a parole d’ordine quali “il governo borghese si abbatte e non si cambia” (sic!)) [Bertolino 2004].
8 L’atteggiamento verso la coalizione e la prospettiva di una partecipazione diretta al governo ha animato, ad esempio, il VI congresso (Venezia, marzo 2005) e il confronto fra le cinque mozioni che vi erano presenti.
9 Su basi diverse da quelle del 1994, Rifondazione ha scelto in vista delle elezioni del 2006 il ritorno a una piena adesione coalizionale nei ranghi dell’Unione democratica. Si tratta di una novità importante, che, con tutte le incognite legate ai conflitti interni e alla solidità della leadership di Bertinotti, trasformerebbe Rifondazione in un partito di governo. Non senza dirette conseguenze sulla nicchia occupata dai Comunisti italiani e dunque investendone le loro scelte strategiche (si vedano le conclusioni di questo lavoro).
10 Oggetto del contendere, anche in quel caso, fu il voto sulla legge finanziaria: Bertinotti dichiarò la sua intenzione di voto contrario; ciò suscitò un aspro conflitto dentro il partito e un movimento d’opinione contrario alla caduta del governo. Queste reazioni convinsero Bertinotti a far rientrare la crisi dopo aver ottenuto da Prodi l’impegno di Prodi a introdurre la settimana lavorativa di 35 ore (sul modello di un analogo provvedimento adottato in quei mesi in Francia dal governo Jospin).
11 A questo riguardo la posizione dei fondatori del PdCI ricorda più l’atteggiamento del Nenni che difende il centrosinistra in base a considerazioni legate alla stabilità del quadro politico democratico (Tamburano 1996) che le posizioni del vecchio PCI. L’analogia con gli anni del centro-sinistra, del resto, non si ferma qui: prima della scissione, alla ricerca di un compromesso per mantenere a Prodi il sostegno di Rifondazione, Nesi avanzò la proposta di far precedere la Finanziaria del 1998 da una Nota aggiuntiva, come avvenne nel 1962 su proposta di Ugo La Malfa.
12 O meglio la gran parte di essa, giacché una parte dei cossuttiani rimase in Rifondazione, dando vita alla componente L’Ernesto, guidata da Claudio Grassi e raccolta al VI congresso nella nella mozione Essere comunisti.
13 Il dissenso nei confronti di Berlinguer risaliva in realtà alla metà degli anni Settanta, quando Cossutta contestò la dichiarazione del segretario comunista che giunse a dichiarare di sentirsi protetto dalla Nato e si distacca dall’ortodossia sovietica. È a quel momento che Diliberto e Diliberto [1998] fanno risalire la nascita della componente cossuttiana. Più tardi, nel 1982, Cossutta subì il provvedimento disciplinare della deplorazione per aver espresso pubblicamente il proprio dissenso nei confronti della Direzione a difesa del ruolo positivo svolto dai paesi socialisti e delle conquiste della società sovietica e per aver sostenuto la tesi secondo cui lo “strappo” nei confronti dell’URSS era in realtà uno strappo nei confronti dell’identità comunista [Cossutta 2003].
14 Si tratta di un’ambiguità originaria, intrinseca nel termine rifondazione. Per alcuni, e in primo luogo per i cossuttiani, il termine rifondazione doveva essere ritenuto transitorio in quanto «l’identità comunista non doveva essere affatto rifondata». Si trattava infatti somma di fondare di nuovo il PCI (opponendosi alla prospettiva di autoscioglimento indicata da Occhetto) e non di rifondare il comunismo come sostenevano il gruppo guidato dal coordinatore Garavini e, più tardi, lo stesso Bertinotti. In quest’ultima prospettiva, il termine rifondazione doveva invece segnare una discontinuità rispetto all’esperienza del vecchio PCI e favorire la contaminazione della cultura politica comunista con impostazioni politico-culturali di altra provenienza (il comunismo di Trotsky e della Luxemburg, i gruppi della sinistra estrema, i nuovi movimenti, e così via).
15 AL XVI Congresso (1983) malgrado il suo emendamento sul “superamento del capitalismo” e a difesa del legame storico con la patria del comunismo avesse ottenuto il 15%-18% dei consensi, Cossutta e la sua componente subirono i rigidi meccanismi della rappresentanza interna e, malgrado il sostegno di Mosca, si ritrovarono marginalizzati [Urban 1986].
16 Secondo quanto dichiaratoci dall’on. Severino Galante, responsabile del Dipartimento organizzazione del PdCI, è del resto agli statuti del PCI degli anni Sessanta e Settanta che gli estensori dello statuto dei Comunisti italiani hanno attinto a piene mani.
17 Questi doveri di stampo tradizionale si intrecciano nello stesso articolo con altri improntati alla political correctness, ovvero: «operare perché si affermino nella società italiana i principi di una società multietnica e solidale; operareperché si affermi nella società italiana il principio di libertà di orientamento sessuale» (art. 2)
18 Come ha sostenuto, senza però fornire sufficienti elementi di spiegazione, Cossu [2004].
19 Al superamento della soglia di sopravvivenza si è riferito durante i lavori del CC del luglio 2005 il segretario Diliberto: «In tutta la discussione non ho sentito nessuno dire: “il partito è transitorio, cosa faremo, dove andremo..”. Questo dibattito, che pure assillava molti compagni, semplicemente non c’è più: e questa è una prima cosa altamente positiva». Resoconto dei lavori, sito Internet del PdCI.
20 In questa prospettiva, la nascita dell’Unione democratica e il ritorno di Rifondazione dentro la coalizione costituiscono per il PdCI una sfida politica e strategica particolarmente insidiosa che obbliga il partito a elaborare risposte adeguate e quindi a adattare la propria linea. Sul punto si rinvia alle conclusioni.
21 Il Dipartimento organizzativo del PdCI non dispone in modo ordinato di tali dati; si è detto però disponibile a ricostruirli e a renderli disponibili per il prosieguo di questa nostra ricerca.
22 E’ questa l’opinione dell’on. Galante. Nell’intervista con gli autori (Roma, 8/9/05) egli colloca tali affermazioni nel quadro della sconfitta mondiale del comunismo: «Cosa ci accomuna? Un richiamo comune alla storia dei comunisti italiano, ovvero di un comunismo realista, togliattiano, di una sinistra che non si limita a voler cambiare il mondo, ma ha un’idea realista del cambiamento, che deve fare i conti leninisticamente con i rapporti di forza in questo paese, una sinistra che ha perso la guerra, l’ha persa nel mondo la guerra, i comunisti hanno perso la guerra fredda e quindi bisogna capire come si fa quando s’è persa la guerra».
23 Si tratta delle risposte fornite da 290 delegati (circa il 39,2% dell’intera popolazione) del III Congresso nazionale del PdCI (Rimini 20-22 febbraio 2004). Consapevoli del fatto che per comprendere chi sono i comunisti italiani dovrebbero essere presi in esame anche i dirigenti e gli elettori del partito, siamo però convinti che le posizioni espresse dai quadri di un partito come il PdCI rappresentino un valido indicatore della sua identità politica. Responsabili di partito ai vari livelli, eletti locali, militanti attivi – e dunque la maggior parte dei delegati al congresso nazionale - svolgono infatti un ruolo centrale nel PdCI: trasmettono le linee politiche del partito dall’alto al basso e convogliano le domande e gli umori diffusi nella base al vertice. Per le funzioni che assolvono i quadri di partito possono inoltre essere considerati portatori di una cultura politica stabile, convenzionale e probabilmente rappresentativa delle diverse anime del partito diffuse nel territorio. A questo proposito facciamo nostra la posizione espressa da Ignazi [1992, 108] e adottata da Bertolino [2004, 233, n. 1].
24 La presenza di Uniti per l'Ulivo e la conseguente assenza dei DS potrebbero aver contribuito per esempio a far lievitare i consensi al PdCI alle regionali del 2005.
25 Ciò non sembri in contraddizione con quanto detto poco sopra circa l’estraneaità di Lucca a tale tessuto. Tale estraneità vale per Lucca città e per la Garfagnana, ma non per la Versilia e il suo entroterra, radice territoriale di Montemagni
26 Tale evidenza potrebbe costituire una conferma del carattere composito del voto ai Comunisti italiani, legato in parte al richiamo partitico (l’appartenenza) e per altra parte, come si è detto sopra, a considerazioni di opportunità connesse alla posta in gioco o allo specifico profilo dei candidati effettivamente eleggibili (secondo le modalità dell’opinione e/o dello scambio) [Parisi e Pasquino 1977].
27 Nel 2003 a Viareggio la designazione del candidato sindaco del centro-sinistra fu occasione di una lotta fratricida in casa DS che contrappose l’ex senatore e assessore provinciale Petrucci al sindaco uscente Marcucci, sostenuto attivamente da Montemagni.
28 Resoconto dei lavori del CC del luglio 2005, in http://www.comunisti-italiani.it. Tutto ciò trova conferma anche in alcuni episodi di carattere elettorale, legati all’impiego del voto di preferenza come strumento di rovesciamento di gerarchie interne che sembravano acquisite. È stato il caso delle elezioni regionali del 2005 e della bocciatura del candidato ufficiale del partito il capolista nella circoscrizione di Bologna, nonché consigliere uscente e segretario regionale dell’Emilia Romagna Rocco Giacomino rimasto fuori dal Consiglio perché imprevedibilmente superato nel numero di preferenze per poco più di 60 voti (537 voti personali contro 474) da Donatella Bortolazzi.
29 Il flusso organizzativo proveniente dai DS è un fenomeno che negli ultimi anni ha registrato nei diversi livelli politicoistituzionali una qualche evidenza. In alcuni casi, ad esempio a Ferrara con l’adesione al PdCI dell’ex sindaco Soffritti, si tratta di adesioni pesanti, che si sono tradotte nel passaggio al PdCI, peraltro non ancora presente in città, di un pezzetto di DS.
30 Ad ogni delegato intervistato è stato chiesto di definire l’identità del Pdci attribuendo un certo grado di importanza (per niente, poco, abbastanza o molto) ad ognuno dei seguenti 14 aggettivi: antifascista, comunista, laica, progressista, riformista, socialista, tradizionalista, socialdemocratica, liberal democratica, populista, liberale, conservatrice, cattolica, anticomunista.
31 Per costruire l’indice “Peso della tradizione marxista” le risposte degli intervistati alle due domande appena ricordate sono state dicotomizzate, separando le posizioni più vicine alla tradizione comunista classica da tutte le altre. Dato che il 93,2% degli intervistati dichiara una visione della politica “molto o abbastanza” influenzata dai valori storici del comunismo, per cogliere meglio la varianza delle risposte dei delegati a questa domanda sono stati isolati gli intervistati che hanno scelto la categoria di risposta “molto” da tutti altri. Allo stesso modo, rispetto alla rilevanza del concetto di “lotta di classe”, sono stati isolati i delegati che considerano il concetto di classe “ancora valido nei termini espressi da Marx” da tutti gli altri.
32 Questa percentuale sale al 67,1% se consideriamo i soli delegati che hanno effettivamente avuto la possibilità di iscriversi al Pci, cioè coloro che erano maggiorenni nel 1991.
33 Solo il 26,5% dei delegati intervistati il 3-6 marzo 2005 al VI congresso del Partito della Rifondazione comunista rispondono allo stesso modo a questa domanda. Durante questo congresso sono stati intervistati 208 delegati (circa il 32% della popolazione).
34 Durante questo congresso - tenuto a Roma tra i 3 e il 5 febbraio 2005 - è stato intervistato il 27,5% dei delegati presenti (434 interviste).
35 Tra le categorie di risposta a questa domanda era anche prevista l’alternativa “in politica bisogna sempre sapersi adattare alle circostanze senza preoccuparsi troppo dei propri principi e della propria identità” che però non è stata scelta da nessun delegato.
36 Agli intervistati era stato chiesto di esprimere una prima ed una seconda scelta tra le seguenti sei possibili funzioni: migliorare le condizioni di vita delle classi più deboli, fare il possibile per vincere le elezioni politiche, rappresentare le opinioni del suo elettorato, rappresentare le opinioni dei suoi iscritti, collaborare a garantire il buon funzionamento del sistema politico, controllare chi sta al potere.
37 Agli intervistati è stato chiesto di esprimere il loro grado di fiducia nella Chiesa scegliendo tra quattro alternative di risposta: per niente, poco, abbastanza e molto. Per rilevare l´opinione sulla legittimità della Chiesa a prendere posizione nel dibattito politico e´stata invece impiegata una domanda a scelta forzata (si veda Pavsic e Pitrone 2003). Le due frasi presentate agli intervistati come alternative di risposta erano le seguenti: «La Chiesa cattolica non dovrebbe mai esprimere le sue posizioni su questioni rilevanti nel dibattito politico» e «È legittimo che la Chiesa indichi le sue posizioni su specifiche tematiche politiche». Gli intervistati dovevano cioè esprimere una preferenza per l’una o per l’altra alternativa su un continuum di sei posizioni ancorate agli estremi con le due frasi. Chi era completamente d’accordo con la frase posta a sinistra del continuum sceglieva di posizionarsi nella casella numero 1, chi era completamente d’accordo con la frase posta a destra del continuum sceglieva la casella numero 6. Le posizioni intermedie servivano per calibrare le preferenze. Relativamente all’indice di anticlericalismo: i «fortemente anticlericali» si collocavano sulla casella 1, gli «anticlericali» sulle caselle 2-4, i «non anticlericali» sulle caselle 5 o 6 se non si fidavano della Chiesa e su tutte le possibili posizioni se si fidavano molto o abbastanza della Chiesa.
38 Oltre il 70% dei delegati del PRC intervistati durante il congresso si dichiara poco o per niente d’accordo con la seguente affermazione: «Rifondazione dovrebbe ricomporre la frattura del 1998 con il PdCI».
39 Le due frasi erano contrapposte lungo un continuum di sei posizioni. Come nella precedente domanda a scelta forzata, se l’intervistato era molto più attratto dalla prima delle due frasi elencate (« … è più importante l’uguaglianza») indicava con una croce la casella 1 se molto più attratto dalla seconda (« … è più importante la libertà») indicava con una croce la casella 6. Le altre caselle servivano per graduare la preferenza tra le due frasi.
40 Tra i delegati del PRC queste posizioni sono ancora più radicali: il 43,8% considera l’uguaglianza molto più importante e appena il 6,5% considerano profondamente più importante la libertà. Tenendo conto delle posizioni intermedie, le percentuali salgono all’81,6% per l’uguaglianza e al 18,4% per la libertà. Tra i delegati DS queste percentuali diventano molto più equilibrate: si registra il 14,8% e il 54 % per l’uguaglianza e il 15% e il 46% per la libertà.
41 La domanda a scelta forzata in questione proponeva ai delegati di scegliere tra uno Stato interventista, garante di tutti i servizi sociali, e uno Stato liberista, che lasciava che i servizi fossero forniti dal mercato.
42 Si tratta della stessa percentuale registrata tra i delegati del PRC. Tra i quadri dei DS scende invece al 62%.
43 La differenza tra le due posizioni diventa ancora più ampia se consideriamo anche le risposte intermedie: i fautori di uno Stato in qualche misura interventista salgono al 97,1% rispetto ad uno scarso 3% di intervistati tendenzialmente liberisti.
44 Il 35% dei delegati che hanno dichiarato di essere stati iscritti a Rifondazione comunista sono passati al PdCi dopo la svolta movimentista del partito di Bertinotti.
45 Tra i delegati SDI intervistati durante il loro III congresso nazionale del 2-4 aprile 2005 a Fiuggi (il campione era costituito da 352 intervistati, circa il 44% della popolazione di delegati) la percentuale di coloro che hanno partecipato a occupazioni di edifici scende al 21,3%, mentre tra i delegati della Margherita intervistati al loro II congresso nazionale di Rimini del 12-14 marzo 2004 (310 casi, circa il 22% del totale dei delegati invitati) si attesta al 17,2%.
46 Questa percentuale risulta ancora più rilevante considerando l’anticlericalismo diffuso tra i delegati del PdCI.
47 È probabile che parte di questi delegati siano stati indotti a lasciare Rifondazione comunista proprio per la progressiva identificazione del partito di Bertinotti con i momenti no-global.
48 Ogni intervistato poteva scegliere tra quattro alternative di risposte: per niente, poco, abbastanza e molto d’accordo.
49 Ricordiamo che solo il 16,3% dei delegati PdCI è disposto a definire il partito socialdemocratico. Questa percentuale risulta ancora i più bassa se paragonata con quella - di una decina di punti superiore - dei delegati di Rifondazione e soprattutto con quella dei delegati DS (l’87% considera socialdemocratico il proprio partito).
50 Non senza esporsi alla reazione di ritorno dei partiti contigui. La capacità del PdCI di drenare valori e persone «in nome di Enrico» ? come recitava un manifesto della campagna per le europee del 2004 ? ha indotto ad esempio i DS a riappropriarsi di Berlinguer. Rifondazione, dal canto suo, dopo aver aderito alla nuova Unione democratica ha soffiato al PdCI uno degli slogan che avevano tenuto a battesimo il partito proponendosi come «la sinistra del centro-sinistra».
51 Sul punto si rinvia a un interessante lavoro di Cossu (2004). Nella rilettura di quel passato, il gruppo dirigente del PdCI utilizza l’etichetta PCI togliattiano per indicare il partito prima della «mutazione genetica» che l’avrebbe portato alla dissoluzione. In questa prospettiva Berlinguer diventa «l’ultimo togliattiano» (così l’on. Galante nell’intervista citata).
52 Esemplare di questo “sdoppiamento” è la dichiarazione di voto pronunciata da Diliberto alla Camera nella discussione sulla fiducia a Prodi: «Come capogruppo dichiaro che Rifondazione ritira la fiducia al governo, ma come comunista io non mi arrendo, noi non ci arrendiamo …». Riportato in Cossu (2004, 219).
53 Annunciano questo obiettivo le stesse lettere inviate dai comitati provinciali promotori del PdCI agli iscritti di Rifondazione e ai giornali locali, dove si chiarisce che il nuovo partito, né più né meno come il vecchio PCI, è «impegnato in una politica autonoma e unitaria, né moderata né massimalista» (Cossu 2004, 227). E lo ribadisce anche la decisione di stampare sulla prima tessera di adesione una frase del Togliatti nazional-popolare: «Noi non possiamo accontentarci di criticare o di inveire, e sia pure nel modo più brillante. Dobbiamo possedere una soluzione di tutti i problemi nazionali. Siamo convinti di non lavorare soltanto per noi stessi, ma nell'interesse di tutta l'Italia, che ha bisogno di un grande, di un forte partito comunista. Noi creeremo questo partito».
54 Si tratta però di una interessante variante dell’uso strumentale della coalizione, alternativo a quello dei piccoli partiti centrali (che dentro la coalizione mettono a frutto come risorsa la loro collocazione spaziale pivotale), a quello dei partiti maggiori (che soltanto agendo da coalition maker, e subendone i relativi costi, possono far valere la loro maggior forza), oppure a partiti in fuga dalla loro identità passata (che come i DS, alimentando e assumendo una identità di coalizione più facilmente conseguono lo scopo di edulcorare la loro identità passata).
55 Così l’on. Galante nell’intervista citata. Si tratta di una contesa «in cui ciascuno difende non solo i propri interessi di partito, ma soprattutto interessi materiali corposi, che fanno capo a pezzi diversi di società. Noi cerchiamo di rappresentare gli interessi del mondo del lavoro. Prodi, Rutelli e Franceschini hanno una cultura politica e punti di riferimento sociali diversi. Dobbiamo trovare una mediazione, ma non possiamo farlo che da posizioni di debolezza ».
56 Il paradosso è soltanto apparente se si concorda col fatto che “Cossutta aveva sbagliato tutto capendo l’essenziale. Capiva che il PCI stava vivendo una metamorfosi interna che l’avrebbe portato alla dissoluzione. Vedeva però il fattore di questa crisi nel rapporto con l’Urss. E lì sbagliava tutto”. In questa prospettiva Berlinguer diventa “l’ultimo togliattiano” (così l’on. Galante nell’intervista citata).
57 Se ne ricava un’indiretta conferma dalla citata intervista all’on. Galante, il quale, soffermandosi sui contraccolpi che l’accordo Cossutta-Bertinotti del 1994 determinò all’interno della componente cossuttiana, ha sottolineato la rilevanza della propria elezione a consigliere regionale nel 1995 come antidoto alla «bastonatura politica» subita sull’altare dei nuovi equilibri interni (nel 1994 il controllo sul comitato regionale del Veneto venne attribuito alla componente ex DP). Galante trasse da quella collocazione istituzionale sufficienti «strumenti di potere e di pressione con cui tutelarmi e tutelare la propria mia area».
58 La prima sperimentazione di questa nuova strategia competitiva è avvenuta alle elezioni regionali calabresi dell’aprile 2005. Per aggirare la di esclusione del 4% prevista dalla nuova legge elettorale, il PdCI vi ha preso parte all’interno del cartello Progetto Calabrie in alleanza con Italia dei Valori e con alcuni movimenti locali conseguendo il 4,2% dei voti su scala regionale.