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Paola Bordandini e Aldo Di Virgilio
PdCI: ritratto di un partito che non avrebbe dovuto esserci
4. Chi sono i comunisti italiani |
L’analisi della cultura politica, dell’identità
e del capitale simbolico dei Comunisti italiani costituisce
un banco di prova importante per avvalorare l’ipotesi
del PdCI come PCI in sedicesimo e dell’esistenza di sostanziali
continuità fra i due partiti. Si tratta d’altro
canto di un terreno d‘analisi obbligato per un partito
che, come il PdCI, trae origine da “strappi” e rotture
nei quali gli aspetti di carattere identitario e simbolico-ideologico
hanno giocato un ruolo di primo piano. Da questo punto di vista
il corpo del partito presenta un’interessante stratificazione
in cui cospicue tracce del vecchio PCI si intrecciano con l’influsso
di Rifondazione e di alcune tematiche no-global.
Il legame alla tradizione comunista classica (e quindi il rifiuto
della svolta della Bolognina) emerge anzitutto dalla definizione
dell’identità partitica fornita dai delegati attraverso
le loro reazioni a una serie di aggettivi che potrebbero definire
l’ancoraggio ideologico di un partito 30.
Il PdCI è un partito (molto o abbastanza) antifascista,
comunista, laico e progressista per quasi tutti i delegati intervistati,
mentre solo la metà di essi è disposto a definirlo
(molto o abbastanza) riformista o socialista e appena il 16,3%
lo considera anche (molto o abbastanza) socialdemocratico. Il
93,2% degli intervistati ritiene del resto che i valori storici
del comunismo influenzino tuttora (molto o abbastanza) la loro
visione della politica, mentre secondo il 99,3% di essi il concetto
di “lotta di classe” mantiene ancora oggi una sua
utilità. In particolare il 30,5% dei delegati intervistati
scommette sul fatto che il concetto di classe sia “ancora
valido nei termini formulati da Marx”, il 68,8% pensa
che debba “essere recuperato e adattato alla nuova
realtà sociale” e appena lo 0,7% dichiara
che “del concetto di classe non abbia più senso
parlare”.
Il peso della tradizione marxista nell’identità
dei delegati è stato approfondito anche attraverso la
costruzione di un indice tipologico 31.
Questo indice ha consentito di individuare tre tipi di delegati
(Tab. 4) e di differenziare le loro posizioni in relazione ad
alcune caratteristiche socio-demografiche.
TAB.
4 - I tre tipi dell’indice “Peso della tradizione
marxista” |
tipo |
descrizione |
comunisti
poco tradizionalisti |
Si
tratta di 100 delegati (il 35,9% del campione); sono coloro
che non sono “molto” influenzati dai valori
storici del comunismo e che ritengono che il concetto
di classe non sia più utile o che debba essere
adattato alla nuova realtà sociale |
comunisti
tradizionalisti |
Si
tratta di 117 delegati (il 42,1% del campione); sono coloro
che si sentono “molto” influenzati dai valori
storici del comunismo, ma che ritengono che il concetto
di classe non abbia più senso o si debba adattarlo
alla nuova realtà sociale; oppure sono coloro che
ritengono il concetto di classe sia ancora valido nei
termini formulati da Marx ma non si sentono “molto”
influenzati dai valori storici del comunismo |
comunisti
fortemente tradizionalisti |
Si
tratta di 61 delegati (il 22% del campione); sono coloro
che si sentono “molto” influenzati daivalori
storici del comunismo e che ritengono che il concetto
di classe sia ancora valido nei termini formulati da Marx. |
Tra i delegati che manifestano un maggiore attaccamento ai valori
tradizionali del comunismo si distinguono soprattutto gli intervistati
più anziani, in particolare gli ultra 55enni (il 31,7%,
contro il 17,4% di chi ha non più di 35 anni e il 10,3%
di chi appartiene alla classe di età dei 36-45enni).
Tra i giovani notiamo invece una maggiore freddezza nei confronti
dei valori marxisti, soprattutto da parte di chi ha un’età
compresa tra i 36 e i 45 anni (il 48,3% di questi delegati si
colloca nella categoria “comunisti poco tradizionalisti”
contro il 30% degli ultra 45enni). Si registra invece una posizione
intermedia soprattutto tra i delegati con un’età
compresa tra i 46 e i 55 anni.
L’analisi della dimensione geografica mostra una maggiore
concentrazione di “comunisti fortemente tradizionalisti”
nelle zone di debolezza elettorale del vecchio PCI (si colloca
tra i “comunisti tradizionalisti” più del
30% degli intervistati del Triveneto rispetto al 15% degli intervistati
residenti in Toscana, Umbria, Marche ed Emilia Romagna). Essere
comunisti nella ex zona bianca comportava un maggiore impegno
personale spesso associato a un maggiore attaccamento al partito,
ai suoi riti e ai valori tradizionali (Riccamboni 1992). Rispetto
al titolo di studio si nota che un livello di scolarizzazione
più elevato tende a associarsi con l’appartenenza
alla categoria “comunisti poco tradizionalisti”
(ne fanno parte il 41,8% dei laureati rispetto al 34% dei diplomati
e al 29,7% di chi ha un titolo di studio non superiore alla
licenza media).
Anche le modalità di socializzazione politica dei delegati
del PdCI ricordano molto quelle che caratterizzavano i quadri
del vecchio Partito Comunista (Ignazi 1992). I canali di socializzazione
privilegiati risultano la famiglia (67,7%), le organizzazioni
di partito (65,4%), la scuola (61,8%) e il sindacato (per il
53,5% degli intervistati).
Il 67,7% dei delegati dichiara infatti che le discussioni politiche
in famiglia hanno avuto un contribuito determinante nella formazione
del loro orientamento politico. Si tratta per lo più
di famiglie caratterizzate da un orientamento politico di sinistra:
il 61,5% dei padri (e il 58,2% delle madri) degli intervistati
negli anni della loro socializzazione politica era percepito
di “estrema sinistra” o di “sinistra”,
mentre un altro 14,2% (16,5% per le madri) di “centro
sinistra”. La percentuale di quadri con genitori di centro
destra o di destra non supera invece il 10%.
I delegati che sentono più forte il ruolo della famiglia
nella formazione del loro orientamento politico sono quelli
residenti nelle regioni “rosse”. L’influenza
delle organizzazioni di base o delle federazione giovanili di
partito è invece sentita maggiormente tra i delegati
del Sud e del Centro (il 72-74% contro il 65,4% della media
generale). La scuola è considerata un’importante
agenzia di socializzazione politica soprattutto tra i delegati
provenienti dal Centro (il 78,7% contro il 62,1% della media
generale), tra i 36-45enni (con il 72,4% contro il 47,2% degli
ultra 55enni e il 63% degli altri intervistati) e tra i più
istruiti (considerano “molto” o “abbastanza”
importante la scuola il 66,7% dei laureati rispetto al 61,6%
dei diplomanti e il 45,5% di ha la licenza media). Il sindacato
invece ha influenzato soprattutto l’orientamento politico
dei più anziani (con il 77% degli ultra 55enni contro
il 29% dei più giovani) e dei residenti nel Nord-Est
e nel Nord-ovest (rispettivamente il 61,5% e il 58,5% contro,
ad esempio, al 42,9% del Centro e al 57,5% del Sud).
La filiazione dal PCI dei delegati risulta chiara anche analizzando
le appartenenze partitiche precedenti. Se, come è ovvio,
il 78,2% degli intervistati è stato membro in passato
a qualche altro partito, quasi il 54,1% afferma di essere stato
iscritto al Pci 32, l’11,4% al
Pds e il 6,2% ai DS. L’esperienza di aver militato all’interno
di Rifondazione comunista è stata invece dichiarata da
appena il 46,6% dei delegati.
Se si indaga sui motivi che hanno portato gli intervistati ad
aderire al PdCI emerge che il 36,3% dichiara di essere stato
spinto dal desiderio di ricollegarsi all’esperienza del
PCI 33, il 51,3% fa riferimento alla
volontà di costruire una sinistra di governo, il 9,2%
dichiara di aver aderito al partito per il suo programma e solo
il 3,3% per la fiducia nutrita nei confronti dei suoi leaders.
In relazione all’età degli intervistati si osserva
una tendenza dei più giovani ad essersi iscritti al partito
per sostenere una sinistra di governo (lo dichiarano il 58,3%
di chi ha meno di 36 anni rispetto al 45% dei più anziani)
ed una propensione dei più anziani ad averlo fatto per
ricollegarsi alla tradizione comunista (il 45% degli ultra 55enni
scelgono questa categoria di risposta rispetto al 29,9% dei
più giovani).
Il PdCI è considerato dalla grande maggioranza dei suoi
quadri un partito di sinistra non estrema, pragmatico e di governo.
Lungo il continuum destra/sinistra, il 91,9% degli intervistati
lo colloca infatti a “sinistra”, contro un 2,8%
che lo posiziona all’”estrema sinistra” e
un 4,6% al “centro-sinistra” (tab.5). La collocazione
politica che i delegati del Pdci danno al loro partito è
a metà strada tra quella scelta dai delegati di Rifondazione
comunista e quella individuata dai delegati DS 34.
Per il 18,9% dei quadri di Rifondazione comunista, il PRC è
un partito di “estrema sinistra”, per il 72,1% di
“sinistra” e per il 3% di “centro-sinistra”.
Nessun delegato dei DS intervistato descrive invece il proprio
partito di “estrema sinistra”; il 49,2% lo vede
di “sinistra” e il 49,9% di “centro-sinistra".
In generale la posizione in cui gli intervistati collocano i
loro partito è un po’ meno estrema di quella in
cui collocano loro stessi. Nel PdCI il 7,1% dei delegati si
considera infatti di “estrema sinistra” (per questa
categoria di risposta lo scarto registrato tra autocollocazione
e collocazione partitica è pari al 4,3%), l’89,4%
di “sinistra” (in questo caso lo scarto è
negativo: -2,5 punti percentuali) e l’1,4% di “centro
sinistra” (scarto pari a -3,2%). Le differenze tra autocollocazione
e collocazione partitica risultano invece molto più elevate
tra i quadri di Rifondazione comunista (oltre il 20% dei delegati
intervistati si considera più estremista del proprio
partito), e ciò è probabilmente l’effetto
del massimalismo che caratterizza alcune sue correnti. Anche
tra i Ds si rileva una certa distanza tra l’autocollocazione
degli intervistati e la collocazione del partito, ma riguarda
la tendenza dei delegati a considerarsi di “sinistra”
e a considerare il partito di “centro-sinistra”
(lo scarto è di quasi 16 punti).
TAB.
5 - Autocollocazione e collocazione del proprio partito
sul continuum destra-sinistra
da parte dei delegati del PdCI, di Rifondazione e dei
DS
|
Mi
colloco |
PdCI |
PRC |
DS |
|
n. |
% |
n. |
% |
n. |
% |
Estrema
sinistra |
20 |
7,1 |
80 |
39,8 |
3 |
0,7 |
Sinistra |
253 |
89,4 |
105 |
52,2 |
282 |
65,3 |
Centro
sinistra |
4 |
1,4 |
1 |
0,5 |
145 |
33,6 |
Colloco
il mio partito |
|
|
|
|
|
|
Estrema
sinistra |
8 |
2,8 |
38 |
18,9 |
- |
- |
Sinistra |
260 |
91,9 |
145 |
72,1 |
212 |
49,2 |
Centro
sinistra |
13 |
4,6 |
6 |
3 |
215 |
49,9 |
Com’è plausibile per un “partito di lotta
e di governo”, secondo i due terzi dei delegati il PdCI
deve essere disposto a sacrificare nella sua azione politica
parte dei suoi ideali per raggiungere gli obiettivi che si è
proposto (mentre un 33,1% dichiara che in politica si deve in
ogni caso rimanere fedeli ai propria valori e alla propria identità)
35. L’idealismo è inversamente
proporzionale all’età degli intervistati: affermano
infatti che “in politica si deve rimanere sempre fedeli
ai propri valori o alla propria ideologia anche quando ciò
impedisce di conseguire gli obiettivi prefissati”
il 43,5% dei delegati più giovani, il 37,3% dei 36-45enni,
il 29,7% di chi ha un’età compresa tra i 46 e i
55 anni e il 26,3% degli ultra 55enni.
Un mix di realismo politico e tensione ideologica si rileva
anche analizzando quali sono per i delegati le due funzioni
36 più importanti che il PdCI
dovrebbe assolvere. Il 93,4% indica come prima scelta il miglioramento
delle condizioni di vita delle classe più povere (percentuale
che cresce del 5,8% se si tiene conto della seconda scelta).
Sommando prima e seconda scelta, la seconda funzione più
importante è “fare il possibile per vincere
le elezioni politiche” (3,5% + 27,8%). I delegati
che, almeno in seconda battuta, si focalizzano sul successo
elettorale sono ancora una volta i più anziani (il 31,1%
degli ultra 45enni contro il 19,1% dei 35-45enni e il 28,1%
dei più giovani), i residenti nelle regioni rosse (il
38% contro, ad esempio, il 19,6% dei residenti nel Nord-ovest
e il 26,1% dei delegati del Sud) e chi ha un titolo di studio
basso (il 41,7% di chi non ha oltre la licenza media, contro
il 25% dei laureati).
L’attenzione nei confronti delle classi più deboli
si rileva anche analizzando i temi politici che i Comunisti
italiani ritengono più urgenti. Come mostra la tab. 6,
l’attenzione dei delegati è rivolta soprattutto
al mondo del lavoro, alla tutela dello stato sociale, al pluralismo
dell’informazione e alle problematiche del Mezzogiorno.
Le percentuali più basse riguardano invece la riforma
federale, la riforma della pubblica amministrazione e l’immigrazione.
L’ordine delle priorità individuato dai delegati
del PdCI definisce un’agenda intermedia tra quella fissata
dai delegati di Rifondazione e quella costruita dai delegati
DS. Per i due partiti neo-comunisti inflazione e sanità
sono questioni assai più urgenti di quanto non lo siano
per i delegati DS.
L’inserimento dell’Italia nell’Unione europea
e la criminalità sono invece le questioni - di natura
più prettamente governativa - che avvicinano il PdCI
ai DS e lo distinguono da Rifondazione.
TAB.
6 - Temi politici rilevanti: ordine di importanza individuato
dai delegati del PdCI, PRC e dei DS ( %) |
|
%
problema molto importante |
|
PdCI |
PRC |
DS |
disoccupazione |
94,1 |
92,8
|
78,7 |
sanità
|
90,4 |
82,4 |
65,7 |
scuola |
90,4
|
85,6
|
76,5 |
pluralismo
informazione |
87,2 |
74,4 |
74,4 |
arretratezza
Mezzogiorno |
73,9 |
65,2 |
68,2 |
evasione
fiscale |
73,5 |
74,3 |
59,9 |
inflazione |
71,8 |
36,3 |
29,5 |
giustizia |
64,6 |
36,4 |
52,6 |
corruzione
politica |
55,2 |
26,3 |
31,8 |
inserimento
nell'UE |
43,2 |
24,5 |
52,4 |
criminalità |
39,1 |
27,1 |
21,1 |
immigrazione
|
30,1 |
31,1 |
22,2 |
riforma
P.A. |
19,6 |
15,8 |
29,2 |
riforma
federale dell'Italia |
11,6 |
17,3 |
9,4 |
(N) |
(290) |
(208) |
(434) |
Un altro aspetto da esaminare perché caratteristico della
cultura politica del vecchio PCI è l’anticlericalismo.
Per la costruzione del relativo indice sono state prese in considerazione
due variabili: l’opinione sulla legittimità della
Chiesa a prendere posizione nel dibattito politico e la fiducia
manifestata dagli intervistati nei confronti della Chiesa 37.
Ne abbiamo ricavato tre tipi di delegati:
Tab.
7 -“fortemente anticlericali”, “anticlericali”
, “non anticlericali” |
|
|
PdCI |
PRC |
DS |
Fortemente
anticlericali |
Hanno
poca o più spesso nessuna fiducia nella Chiesa
e credono che la Chiesa non dovrebbe mai entrare nelle
questioni politiche 127 47,0 99 49,7 136 33,6 |
127 |
47,0 |
99 |
49,7 |
136 |
33,6 |
Anticlericali |
Hanno
poca o nessuna fiducia nella Chiesa e credono che la Chiesa
dovrebbe entrare il meno possibile nelle questioni politiche |
73 |
27,0 |
62 |
31,2 |
101 |
24,9 |
Non
anticlericali |
Sono
abbastanza o molto fiduciosi nella Chiesa e/o pensano
che la Chieda abbia il diritto di esprimere la propria
opinione politica su determinate questioni |
70 |
25,9 |
38 |
19,1 |
168 |
41,5 |
Il 74,1% dei delegati del PdCI può essere considerato
anticlericale, con un 47% di “fortemente anticlericali”.
Sono maggiormente anticlericali i delegati più giovani
e quelli più anziani, i non laureati, i residenti al
Nord o al Centro (soltanto il 23,7% di residenti nel Sud possono
essere definiti tali). Anche su questa dimensione i delegati
PdCI si collocano a metà strada tra quello di Rifondazione
e quelli dei DS (se più del 40% dei delegati DS non possono
considerarsi anticlericali, tra i delegati di Rifondazione questa
percentuale risulta più che dimezzata).
Nonostante l’anticlericalismo e la predisposizione all’ateismo
(il 58,9% degli intervistati si dichiara anche non credente
tra i delegati del PdCI la percezione dei principali partiti
cattolici presenti nelle due coalizioni non è del tutto
negativa. I Comunisti italiani, ad esempio, considerano Margherita
e UDC più vicini alla loro percezione della politica
rispetto a quanto non lo siano i due partiti socialisti (lo
SDI e il Nuovo PSI).
Anche rispetto alla percezione degli altri partiti in termini
di vicinanza/lontananza fra l’atteggiamento dei delegati
del PdCI e quello dei delegati di PRC e DS si riscontrano alcune
piccole ma significative differenze. I delegati di Rifondazione,
ad esempio, seguono un ordine che rispecchia la dimensione destra-sinistra
(con la sola eccezione dello scavalcamento dei Verdi rispetto
al PdCI, coerente con il mancato riassorbimento della scissione
del 1998 38). Le preferenze espresse
dai delegati DS sembrano invece rispondere alla vicinanza e
alla lealtà dei vari partiti al progetto dell’Ulivo
(Tab. 8).
TAB.
8 - Partiti che i delegati di PdCI, PRC e DS
sentono più
vicini al loro partito
(1 massima vicinanza - 10 massima lontananza; valori medi) |
|
PdCI
|
PRC |
DS |
Fiamma
tricolore |
9,95 |
9,90 |
9,97 |
Alleanza
Nazionale |
9,95 |
9,90 |
9,73 |
Lega
Nord |
9,98 |
9,90 |
9,83 |
Forza
Italia |
9,47 |
9,99 |
9,77 |
UDC |
9,42 |
9,60 |
8,79 |
Nuovo
PSI |
9,48 |
9,50 |
8,54 |
Radicali |
9,11 |
9,00 |
7,43 |
Udeur |
8,35 |
9,10 |
7,05 |
Italia
dei valori |
6,43 |
7,6 |
5,98 |
Margherita |
7,11 |
7,9 |
4,67 |
SDI |
7,13 |
7,7 |
4,21 |
DS |
5,78 |
6,6 |
- |
PdCI |
- |
5,7 |
4,47 |
Verdi |
4,53 |
5 |
4,35 |
PRC |
5,38 |
- |
5,21 |
|
|
|
|
Ulivo |
2,33 |
5,6 |
1,36 |
Casa
delle libertà |
9,96 |
9,9 |
9,39 |
Le opinioni nei confronti della contrapposizione tra libertà
e uguaglianza, del mercato e del grado di fiducia nutrito per
le principali istituzioni politico-economiche internazionali
consente di analizzare un altro aspetto della tradizionale cultura
politica comunista: il rifiuto del modello politico-economico
occidentale.
Ai delegati è stato chiesto innanzitutto di esprimere
la loro preferenza rispetto alle due seguenti affermazioni contrapposte:
«sia libertà che uguaglianza sono importanti,
ma dovendo scegliere è più importante l’uguaglianza»;
«sia libertà che uguaglianza sono importanti,
ma dovendo scegliere è più importante la libertà»
39. Il 37% dichiara di considerare molto
più importante l’uguaglianza rispetto alla libertà,
contro un 13,2% che preferisce nettamente la libertà
rispetto all’uguaglianza 40. Considerando
anche le posizioni intermedie la maggiore propensione degli
intervistati nei confronti dell’uguaglianza risulta ancora
più evidente: il 71,6% dei delegati è più
attratto dalla prima affermazione. Tra i più orientati
all’eguaglianza si distinguono i delegati più giovani,
quelli che risiedono nella zona rossa, quelli con un titolo
di studio più elevato.
Lo scetticismo dei Comunisti italiani nei confronti del mercato
è stato invece analizzato rilevando le posizioni degli
intervistati lungo il continuum liberismo-interventismo statale
41. Le reazioni dei delegati sono state
inequivocabili: il 93,9% degli intervistati si dichiara totalmente
d’accordo con uno Stato interventista, garante di tutti
i servizi sociali 42, contro l’1,1%
di pienamente favorevoli a uno Stato liberista, che lascia che
i servizi siano forniti dal mercato 43.
Non produce risultanze molto diverse l’analisi della fiducia
verso le principali istituzioni politico-economiche internazionali:
ONU, NATO, FMI, Banca Mondiale e G8 (tab. 9). Salvo l’ONU,
che ispira fiducia al 52,4% dei delegati, tutte le altre istituzioni
ottengono percentuali di fiducia molto basse (mai superiori
al 10%). Rispetto a queste istituzioni la sfiducia è
generalizzata, cioè non dipende in modo significativo
né dall’età, né dal titolo di studio,
né dalla zona di residenza dei delegati.
La posizione dei delegati del PdCI risulta ancora più
interessante se confrontata a quella dei delegati PRC e DS.
La critica dei Comunisti italiani alle principali organizzazioni
politiche e economiche internazionali è condivisa da
tutti gli eredi del PCI, ma con intensità e grado di
discriminante diversi. Il PdCI si differenzia dalle posizioni
piu´moderate dei DS, ma anche dall’uniformità
di vedute e dal massimalismo - fortemente influenzato dalle
tematiche noglobal - dei delegati di Rifondazione.
TAB.
9 - Fiducia nei confronti delle seguenti istituzioni internazionali
da parte dei delegati del PdCI, del PRC e dei DS
(valori %) |
|
%
molta o abbastanza fiducia |
|
PdCI |
PRC |
DS |
ONU |
52,4 |
26,2 |
70,6 |
NATO |
5,5 |
0,5 |
25,5 |
FMI |
10,3 |
0 |
18,5 |
Banca
Mondiale |
5,5 |
0 |
16,5 |
G8 |
5,2 |
1,0 |
14,5 |
Differenze altrettanto significative fra i tre partiti eredi
del vecchio PCI si ricavano sul terreno delle nuove forme di
protesta e di partecipazione, spesso piuttosto lontane dalla
tradizione comunista del Novecento e dalla centralità
attribuita al conflitto di classe 44.
Se quasi tutti i delegati intervistati - con percentuali comprese
tra il 91% e il 100% a seconda del partito - hanno partecipato
nel corso della loro esperienza politica a manifestazioni, scioperi
e petizioni, eventi quali l’occupazione di edifici pubblici
e le azioni di boicottaggio fanno registrare una certa variabilità
nelle risposte (tab. 10). Gli intervistati del PdCI che dichiarano
di aver partecipato ad occupazioni scendono infatti al 54,6%,
mentre quelli che hanno intrapreso azioni di boicottaggio non
raggiungono il 49%. Tali percentuali diminuiscono di altri 20
punti tra i delegati dei DS e salgono invece di 10 punti per
le azioni di boicottaggio e di 20 per l’occupazione di
edifici nel caso dei delegati del PRC.
Sulla base dei dati a disposizione, il PdCI, rispetto a Rifondazione,
sembra dunque aver assorbito una componente più moderata
della sinistra italiana, più vicina alle forme di protesta
tradizionali e alla natura di partito d’ordine che spesso
aveva caratterizzato il PCI. Tra i DS questa componente moderata
sale ulteriormente e raggiunge percentuali simili a quelle degli
altri partiti del centro-sinistra 45.
TAB.
10 - Risposte affermative alla seguente domanda: ha mai
Intrapreso le seguenti forme di protesta?
(Valori
% relativi ai delegati PdCI, PRC e DS) |
|
%
molta o abbastanza fiducia |
|
PdCI |
PRC |
DS |
Manifestazioni
di piazza |
99 |
100 |
98,8 |
Scioperi |
98,6 |
97,5 |
94,6 |
Petizioni
e attività di comitati |
92,9 |
98 |
91,5 |
Occupazione
di edifici pubblici |
54,6 |
64,2 |
35 |
Boiccottaggio |
48,2 |
75,1 |
25,8 |
La percentuale dei delegati PdCI che dichiarano di aver partecipato
alle manifestazioni che negli ultimi anni hanno visto come protagonisti
il pacifismo e i movimenti no-global non è tuttavia trascurabile
(tab. 11). Rispetto ai loro colleghi di Rifondazione e dei DS,
i Comunisti italiani si distinguono soprattutto per la loro
adesione alle manifestazioni contro la guerra, in particolare
alla marcia Perugia-Assisi (il 50% degli intervistati dichiara
di aver preso recentemente parte a questo evento 46,
contro il 35,8% dei delegati del Prc e il 44,3% dei DS). Meno
marcata, soprattutto in relazione a quanto avviene fra i quadri
di Rifondazione, è invece la partecipazione dei delegati
del PdCI alle manifestazioni che hanno scandito la storia dei
movimenti no-global: “solo” il 47,2% (contro il
75,8% degli intervistati del PRC) ha preso parte a manifestazioni
contro il G8, il WTO o il FMI, mentre appena il 31,8% (rispetto
al 55,2% dei delegati di Rifondazione) era presenta ai Forum
sociali di Porto Alegre, Firenze o Parigi.
TAB.
11 - Risposte affermative alla seguente domanda: a quali
dei seguenti eventi, manifestazioni o campagne ha preso
parte recentemente? (Valori % relativi ai delegati
PdCI, PRC e DS) |
|
%
molta o abbastanza fiducia |
|
PdCI |
PRC |
DS |
Manifestazioni
contro la guerra |
98,9 |
99,5 |
89,1 |
Marcia
Perugia - Assisi |
50 |
35,8 |
44,3 |
Manifestazioni
contro G8, WTO, FMI o simili |
47,2 |
75,8 |
17,9 |
Forum
Sociale (Puerto Alegre, Firenze, Parigi, ecc.) |
31,8 |
55,2 |
21 |
Sulle tematiche no-global, e sull’eventualità di
far propria una prospettiva politica movimentista, il PdCI sembra
diviso. Questa contrapposizione tra delegati congressuali “movimentisti”
e delegati più tiepidi a riguardo (probabilmente anche
perché indisponibili a rimpastarsi con Rifondazione)
risulta chiara analizzando le risposte alla domanda sui rapporti
fra PdCI e nuovi comitati e movimenti di cittadini (Tab. 12).
Il 48,2% dei delegati ritiene che il PdCI dovrebbe “farsi
portatore a livello istituzionale delle loro tematiche”,
mentre un altro 50,7% si limita a sostenere che il partito dovrebbe
recepirne alcune istanze per ampliare la propria agenda politica.
I più propensi a identificare le tematiche del partito
con quelle dei movimenti sono i delegati di età compresa
tra i 36 e i 55 anni (circa il 53%, contro il 43% dei più
anziani e dei più giovani). I meno attratti da questa
prospettiva appaiono invece i laureati, i delegati della zona
rossa e quelli provenienti da Rifondazione 47.
TAB.
12 - Rispetto al rapporto con i movimenti e i comitati
di cittadini, Lei ritiene che il Suo partito dovrebbe?
(Valori % relativi ai delegati PdCI, PRC e DS) |
|
%
molta o abbastanza fiducia |
|
PdCI |
PRC |
DS |
Farsi
portatore a livello istituzionale delle loro tematiche |
48,2 |
56,8 |
21,9 |
Recepire
alcune delle loro istanze per ampliare l’agenda
politica del partito |
50,7 |
41,2 |
76,4 |
Considerarli
come espressioni di protesta temporanee |
1,1 |
2 |
1,7 |
Un aspetto che molto ha influenzato la cultura politica della
sinistra italiana degli anni Novanta e che ha trovato spazio
anche nell’inchiesta sui delegati congressuali del PdCI
è il progressivo aumento dell’attenzione nei confronti
di tematiche legate ai diritti (e ai desideri) individuali.
In questa prospettiva, la tab. 13 analizza il grado di accordo
dei delegati del PdCI, del PRC e dei DS nei confronti di temi
quali la liberalizzazione delle droghe leggere, l’aborto,
il rapporto fra scienza e etica, la pena di morte e i diritti
degli omosessuali 48. Il quadro che ne
emerge è piuttosto chiaro. La sinistra politica italiana
è ormai culturalmente libertaria; al suo interno, si
ricava focalizzando l’attenzione sulle sole percentuali
di molto d’accordo, i delegati congressuali di PdCI e
DS si scoprono tra loro vicini e più moderati - soprattutto
sui temi del rapporto fra scienza e etica e della liberalizzazione
delle droghe leggere - rispetto ai delegati di Rifondazione
Comunista, le cui posizioni si caratterizzano anche in questo
caso per un forte radicalismo.
Concludendo, le risposte dei delegati congressuali PdCI esaminate
in questa sezione ci consegnano un’organizzazione partitica
comunista, orientata in senso anticapitalista, legata al mondo
del lavoro e attenta ai bisogni delle classi più deboli,
laica e libertaria, partecipe del movimento pacifista e non
del tutto priva di interesse per le tematiche no-global. Le
posizioni dei delegati congressuali del PdCI sono lontani dalle
posizioni massimaliste espresse di Rifondazione, ma, al tempo
stesso, dall’approccio socialdemocratico e in alcuni casi
liberale dei DS. Del vecchio PCI mantiene l’anticlericalismo,
il rifiuto di considerarsi socialdemocratico 49,
l’anticapitalismo, ma anche la connotazione istituzionale
legata alla natura di partito di lotta e di governo. Ad accomunarlo
a Rifondazione rimangono invece la sfiducia nel mercato e nelle
sue istituzioni nazionali e internazionale, la preminenza accordata
all’eguaglianza rispetto alla libertà e la diffidenza
nei confronti della NATO.
Tab.
13 - Grado di accordo dei delegati del PdCI, PRC e DS
su una serie di temi socio-politici
(valori %) |
|
PdCI |
PRC |
DS |
|
%
molto e
abbastanza |
%
molto |
%
molto e
abbastanza |
%
molto |
%
molto e
abbastanza |
%
molto |
Le
sostanze comunemente indicate come droghe leggere andrebbero
legalizzate |
83,4 |
49,1 |
90,7 |
65,2 |
78,9 |
34,3 |
L’uso
personale di droghe non va punito |
83,1 |
45,4 |
91,7 |
64,9 |
75,1 |
34,3 |
Bisogna
rendere più difficile l’aborto |
6,4 |
3,2 |
2 |
1,5 |
6,4 |
1,91 |
I progressi della scienza non possono mai travalicare
i limiti
dell’etica |
60,8 |
23,7 |
38,2 |
21,1 |
65,7 |
22,4 |
Per
i delitti più gravi dovrebbe essere prevista la pena
di morte |
1,8 |
1,4 |
2,5 |
1 |
1,7 |
0,5 |
La
legge deve assicurare gli stessi diritti alle coppie omosessuali |
90,5 |
65,6 |
95,1 |
80 |
91,8 |
57,8 |
5. Due risorse strategiche: uno spazio per l’espressione
della nostalgia; i dividendi della lealtà coalizionale
Il costrutto emerso dalla vicenda genetica, dalla caratterizzazione
organizzativa, dal profilo dei quadri intermedi consente di
spiegare formazione, linea politica e capacità di persistenza
del PdCI nei termini seguenti. La nascita del PdCI (per scissione
parlamentare e partitica dal PRC) si fonda sugli incentivi che
condizioni ambientali favorevoli (la rottura fra Ulivo e Rifondazione)
offrono a una componente partitica coesa e strutturata (la corrente
cossuttiana) per semplificare a proprio vantaggio il contesto
partitico di provenienza con sufficienti garanzie di accrescere,
o per lo meno mantenere inalterata, la propria precedente strutturazione
organizzativa e influenza esterna. Tale semplificazione si fonda
sull’interazione fra due risorse strategiche la cui disponibilità
ha consentito al gruppo dirigente del PdCI di ritagliarsi e
occupare una posizione di nicchia. La prima di tali risorse
consiste nel collegarsi alla tradizione partitica del PCI e
di proclamarsene l’erede più autentico, trasferendo
su di sé ciò che resta di quella identità.
La seconda risorsa è l’appartenenza alla coalizione
di centro-sinistra, geneticamente assunta dal PdCI come proprio
orizzonte strategico d’azione. Il punto da fermare è
che la posizione di nicchia presenta due facce, entrambe importanti
per il funzionamento e la persistenza dell’organizzazione.
La faccia identitaria, importante anzitutto come richiamo elettorale
50, è rilevante come fonte di
incentivi collettivi a carattere simbolico e dunque come collante
di relazioni verticali analoghe a quelle prevalenti nel PCI
fino ai primi anni Ottanta (Lange 1977; Baccetti 1999): coalizione
dominante coesa, prevalenza di processi politico-decisionali top-down, deferenza nei confronti del gruppo dirigente,
controllo del centro su larga parte delle zone di incertezza
organizzativa. La faccia sistemica è invece rilevante
come fonte di incentivi selettivi, in particolare sotto forma
di spoglie istituzionali in sedi rappresentative e di governo.
Tali spoglie sono garantite dall’appartenenza coalizionale
del partito, si traducono in un numero non trascurabile di carriere
politiche “protette”, sono rilevanti nello strutturare
le relazioni organizzative orizzontali, all’interno dell’élite
partitica.
Il «trasferimento di identità» dal PCI togliattiano
al PdCI 51 avviene senza suscitare particolari
conflitti. I partiti contigui di tradizione comunista avevano
infatti lasciato senza presidio quel territorio di caccia. Il
PDS-DS se ne era già allontanato e il suo gruppo dirigente
lavorava da tempo per far dimenticare tale ascendenza. Il PRC
aveva già iniziato a distanziarsene per perseguire l’ambizioso
disegno della creazione di un partito aperto ai movimenti e
competitivo sul mercato elettorale. In contrasto con Cossutta,
Bertinotti (1998) aveva espresso il convincimento che il modello
del PCI fosse «non più riproducibile», come
lo stile mediatico-carismatico della sua leadership e la prospettiva
di un PRC catalizzatore dell’antagonismo sociale stavano
a dimostrare.
La prima fase di questo processo di acquisizione di identità
precede e prepara la scissione. Sono i mesi in cui gli esponenti
della frazione cossuttiana presero le distanze dalla condizione,
sempre più incomoda, di minoranza interna dentro un partito
nel quale fanno ormai fatica a riconoscersi, e cominciarono
a avanzare una linea politica autonoma nella quale potersi riconoscere
pienamente 52. Nei loro interventi pubblici
i cossuttiani iniziano a riferirsi a Rifondazione omettendo
l’aggettivo comunista, e negando così al PRC la
legittimità di definirsi tale, per giungere poi a etichettarla
semplicemente come il partito di Bertinotti (Cossu 2004, 200
e 230). Una seconda fase del processo si sviluppa nei giorni
della scissione, tra la prima manifestazione pubblica dei cossuttiani
(Roma, Palazzo delle Esposizioni, 7 ottobre 1998) e quella in
cui Cossutta annunciò la nascita del nuovo partito (Roma,
cinema Metropolitan, 11 ottobre). In quelle manifestazioni vennero
rispolverate rappresentazioni del PCI progressivamente abbandonate
da Rifondazione e riesumati riti, valori e miti legati a quella
tradizione. Ne sono esempio gli stendardi delle vecchie sezioni
del PCI, le copie dell’Unità in bella
mostra («risemantizzate e in definitiva usate come rimando
al passato»: Cossu 2004, 224); i cimeli dell’Urss;
i richiami anche scenografici a Togliatti e a Berlinguer; il
tam tam di parole come compagni, comunismo, rivoluzione. La
manifestazione al Palazzo delle Esposizioni vide la discesa
in campo in carne e ossa dei referenti sociali classici, con
gli interventi di un lavoratore del Nuovo Pignone, di un minatore
del Carbosulcis e di un ex comandante partigiano (ed ex senatore
del PCI) a fare da battistrada al discorso di Cossutta.
La volontà di far rivivere il partito comunista italiano
fu perseguita in modo sistematico anche dopo il momento fondativo.
Strutturazione organizzativa del partito e sistematizzazione
del repertorio simbolico procedono anzi in parallelo, allo scopo
di rendere quanto più possibile nitida e coerente la
ricostruzione di una memoria collettiva che sancisca una sorta
di continuità normativa fra il PCI e il nuovo Partito
dei Comunisti Italiani (Cossu 2004). La ricerca di un legame
simbolico-identitario con il vecchio PCI 53
si rintraccia non solo nella scelta del simbolo, ma anche in
una tessera di adesione pressoché identica alla tessera
PCI del 1982, nel rilancio della togliattiana “La Rinascita”
(di cui il PdCI “rileva” anche l’ex direttore
Adalberto Minucci), nell’attenzione riservata all’ANPI,
nella ricostituzione della FGCI, nella creazione di una scuola
di partito i cui programmi di formazione politica ricordano
quelli delle Frattocchie. Per altro verso, la nostalgia del
(e il richiamo al) partito togliattiano trovarono espressione
nei richiami all’antifascismo, all’attualità
della resistenza, alla difesa della Costituzione del 1948, temi
ricorrenti e distintivi del discorso politico neo-comunista,
La prospettiva identitaria così delineata non ebbe difficoltà
a essere declinata, nel quadro partitico e competitivo di fine
anni Novanta, in termini di appartenenza e lealtà coalizionale.
Il punto è rilevante, in quanto illumina la capacità
dei fondatori del partito di trasformare l’opportunità
congiunturale prodottasi nell’autunno 1998 in una risorsa
relativamente stabile e di combinare in modo efficiente logica
dell’identità e logica della competizione. La leale
adesione alla coalizione assicura infatti al PdCI alcune vantaggiose
contropartite: stabilizzazione delle relazioni interpartitiche,
risorse materiali (si torni al sorprendente rapporto assessori/eletti
osservato sopra), possibilità di dar seguito all’offerta
di rappresentanza rivolta al mondo sindacale e del lavoro. Il
vantaggio maggiore è però senza dubbio la possibilità
di coltivare, al riparo della leale adesione alla coalizione,
la propria autonomia politica, culturale e organizzativa e,
dunque, la propria identità di partito comunista. La
relazione nei confronti della coalizione rimane peraltro strumentale
54. Se in termini organizzativi rappresenta
il riconosciuto propellente in grado di assicurare il mantenimento
e in certi casi la buona salute della struttura partitica, in
termini politici la coalizione è vista come «alleanza,
ma, al tempo stesso, luogo di conflitto» 55.
Questa concezione della coalizione come arena trova conferma
dalle opinioni dei quadri intermedi. I delegati congressuali
si dichiarano infatti al 91,2% in totale disaccordo con la prospettiva
dell’ingresso del proprio partito in un «partito
unico dell’Ulivo» (mentre meno del 30% dei
delegati congressuali DS si dice abbastanza o molto d’accordo
con l’affermazione «i DS devono abbandonare
l’idea del partito unico dell’Ulivo»).
L’ipotesi del PdCI come partito a termine, d’altro
canto, è respinta a larghissima maggioranza anche quando
la domanda ipotizza una futura confluenza nei DS (confluenza
che riscuote il 96,5% di “per niente d’accordo”)
o la ricomposizione della frattura del 1998 (nei confronti della
quale il 76,1% degli intervistati dichiara di esser per niente
o poco d’accordo, percentuale che scende invece al 70,1%
fra i delegati congressuali di Rifondazione).
6. Osservazioni conclusive: il PdCI e la trasformazione
dei partiti italiani
Qual è l’utilità dell’analisi e delle
evidenze presentate fin qui rispetto al tema più generale
del cambiamento partitico in Italia? Una prima, icastica risposta
è che nel caso del PdCI il cambiamento sta nella continuità,
adattata al nuovo contesto competitivo. Un diverso e forse più
promettente argomento è invece osservare che anche dallo
studio di un partito piccolo, marginale e poco influente come
il PdCI è possibile ricavare indicazioni non irrilevanti.
Tre i principali punti da considerare: l’evoluzione della
diaspora rossa e le forme di persistenza della tradizione comunista
in Italia; le interazioni fra risorse organizzative e condizioni
ambientali nell’attuale contesto partitico; le prospettive
del PdCI alla luce delle considerazioni precedenti.
Rispetto al primo punto, l’ipotesi più volte richiamata
in questo lavoro è che il PdCI rappresenta il segmento
della diaspora rossa caratterizzato dalla maggiore continuità
con il passato. Alcuni degli aspetti esaminati (la vicenda genetica,
le caratteristiche della struttura organizzativa, la cultura
politica dei quadri intermedi) convergono nel caratterizzare
il partito come l’erede più ortodosso del vecchio
PCI. Pur intrattenendo con quell’antecedente una parentela
di secondo grado, il legame con il PCI è emerso infatti
come elemento fondante dell’identità del nuovo
partito ed è stato considerato dagli imprenditori politici
che hanno dato vita al partito alla stregua dell’acquisizione
di inestimabili quarti di nobiltà. Per più di
un aspetto, come si è visto, il PdCI può considerarsi
una sorta di PCI in sedicesimo. Questa maggiore vicinanza alla
casa madre trova conferma anche dalle osservazioni comparate
presentate in questo lavoro. Tutto ciò sembra indicare
che i tre partiti della diaspora rossa vuoi perché nel
PCI coabitavano anime diverse, vuoi perché le nuove organizzazioni
partitiche si sono adattate in modi diversi al cambiamento del
proprio ambiente operativo siano ormai sensibilmente diversi
fra loro. Per il PDS-DS e per il PRC la fuga dal comune punto
di partenza ha comportato un processo di sostituzione delle
strutturate risorse di identità con risorse di altra
natura: legate al conseguimento di un ruolo governativo e alla
rappresentanza degli interessi della rete subculturale nel caso
dei DS; derivanti dalla svolta movimentista e dalla scommessa
sulla propria capacità di coordinare le molte espressioni
della sinistra radicale nel caso di Rifondazione. Si tratta
in entrambi i casi di una scommessa competitiva. Per i DS la
posta in gioco è la conquista, per interposto Ulivo,
di una posizione centrale e, a dispetto di un purgatorio che
perdura, del definito superamento della «soglia oggettiva
dell’accettazione democratica» [Bosco 2000, 282-284].
Per Rifondazione si tratta invece di conquistare, attraverso
il conseguimento di un più ampio spazio elettorale, un
potere di condizionamento non più solo negativo sui programmi
e le politiche della coalizione di centro-sinistra. Da quanto
si è visto, il caso del PdCI è molto diverso:
a differenza dei partiti cugini, esso si colloca infatti ai
margini del mercato, in una posizione di nicchia che, come si
è visto, si avvale, da un lato, di una solida base identitaria
e, dall’altro, di un’adesione leale alla coalizione
di centro-sinistra.
Tra i partiti della diaspora rossa, insomma, il PdCI è
il più fermo e fedele al proprio passato, non senza conseguenze
all’apparenza paradossali, ad esempio il fatto che Cossutta,
messo in sordina il tradizionale filosovietismo, si ritrovi
berlingueriano pur essendo rimasto lo stesso Cossutta di vent’anni
fa 56.
Se dai destini della diaspora rossa ci si sposta a considerazioni
più generali relative al cambiamento partitico, questo
lavoro consente di mettere in luce due aspetti. Il primo è
che l’analisi della presenza e della capacità di
persistenza di un partito come il PdCI suona come una (non sorprendente)
conferma del fatto che l’odierno contesto partitico e
competitivo (Di Virgilio 2005) garantisce ai piccoli partiti,
anche a quelli non centrali ma estremi, condizioni favorevoli
per sopravvivere se non per prosperare. Il secondo aspetto è
che nel funzionamento dell’organizzazione le risorse istituzionali
derivante dalle posizioni elettive e di governo (risorse finanziarie,
relazionali, di comunicazione, logistiche, di staff) hanno acquistato
un peso assai consistente 57. Anche dentro
il PdCI, come la stessa affermazione dei notabili rossi sembra
indicare, il party in public office sembra affermarsi rispetto
alle altre facce dell’organizzazione partitica [Katz 1994].
Ciò potrebbe rendere precari gli equilibri organizzativi
se non trasformare il PdCI in un terreno di conquista. Come
accade in altri contesti (van Biezen 2000), nel PdCI questi
sviluppi vengono attenuati dalla parziale sovrapposizione di
personale che si registra, a livello nazionale come a livello
regionale, fra party in public office e partito organizzazione.
Malgrado la tradizione partitica, il party in central office in quanto tale non sembra in grado non sembra in grado di esercitare
un effettivo controllo sui coordinamenti regionali, come l’insuccesso
del tentativo di censire l’effettivo ammontare delle indennità
di quota delle posizioni elettive, gestionali e di governo occupate
da esponenti di partito e di imporne una devoluzione pari al
50% sembra indicare.
Quali potranno essere, dunque, le prospettive politico-organizzative
dei Comunisti italiani? Molto dipende dall’affidabilità
delle risorse strategiche sulle quali il partito ha fondato
la propria azione politica e dunque dalla tenuta delle posizioni
di nicchia che ne sono derivate.
La nicchia identitaria, priva com’è di effettivi
sfidanti, si presenta più stabile della nicchia sistemica.
Soffre però un’incerta riproducibilità generazionale.
La nicchia sistemica, d’altro canto, è meno solida
della nicchia identitaria, poiché risente dell’evoluzione
dei rapporti interpartitici e, in generale, di un contesto ambientale
sul quale la coalizione dominante può esercitare un controllo
assai limitato. L’adesione di Rifondazione alla nuova
Unione democratica e la sua candidatura a esercitare un ruolo
di governo hanno costituito un esempio significativo di come
la struttura di vincoli e opportunità all’interno
della coalizione possano facilmente modificarsi. La reazione
del PdCI a questo cambiamento semba essere un’inedita
apertura alla logica di cartello 58.
Caduto l’oggettivo steccato della diversa collocazione
rispetto alla coalizione e alla prospettiva del governo e considerata
la convergenza su molte posizioni di policy (pace/guerra;
lavoro e stato sociale) la proposta di “fare cartello”
è stata rivolta anzitutto a Rifondazione. Due le ipotesi
prospettate: la Confederazione della sinistra da realizzarsi
attraverso la convergenza dei tre partiti della diaspora rossa;
la Lista Arcobaleno assieme ai Verdi e aperta ai movimenti e
ai sindacati. Per il PdCI la principale incognita di un adattamento
competitivo di questo genere è che la politica di cartello
possa retroagire in modo negativo sulla nicchia identitaria.
Ed è significativo, a questo proposito, che per il partito
la maggiore preoccupazione connessa alla creazione di un cartello
di forze sia di carattere “simbolico”, riguardi
cioè la visibilità dei propri (irrinunciabili)
connotati simbolici comunisti nel simbolo grafico con cui l’eventuale
cartello si presenterà sulle schede elettorali.
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NOTE
1 I dati su cariche elettive e di governo a livello regionale
e locate ci sono stati forniti da Alessandro Pignatiello del
Dipartimento organizzazione del PdCI, che qui ringraziamo. Sono
dati aggiornati al luglio 2005 e non comprendono i comuni con
meno di 15.000 abitanti.
2 Il che contribuisce alle anomalie del sistema partito italiano
su scala comparata: nessun sistema partitico dell’Unione
europea conta infatti due partiti neo-comunisti, i quali, oltretutto,
si caratterizzano entrambi come partiti di governo e sono entrambi
alleati con partiti aderenti al Partito popolare europeo (l’UDEur).
3 Ci riferiamo soprattutto, anche per il loro comune ancoraggio
ai dilemmi legati all’ingresso nell’area di governo,
al Psiup (in uscita dal Psi nel gennaio 1964), a Democrazia
nazionale (in uscita dal Msi nel 1976) e anche, più recentemente,
agli stessi Comunisti unitari. Rappresentano casi diversi, invece,
sia combinazioni parlamentari che si formano in periodi di fluidità
quali i Federalisti-liberaldemocratici e l’UDEur (benché
in quest’ultimo caso nei sia uscito un partito altrettanto
persistente che il PdCI), sia scissioni anzitutto partitiche
(quali il PSLI, il PDS e il PRC, il CCD e il PPI, il CDU). Si
tratta di riflessioni impressionistiche; il tema delle scissioni
di partito non ha ancora ricrevuto sufficiente attenzione e
sistematizzazione.
4 “Certificare” qui la divisione in paragrafi fra
pb e adv. Questo lavoro nasce da una riflessione e analisi comuni.
5 Questo articolo è parte di un lavoro più ampio
che stiamo conducendo sui partiti della sinistra post e neo
comunisti in Italia. Il lavoro costituisce un prodotto del progetto
di ricerca interuniversitario (ex 40%) “Per un Osservatorio
italiano sulle trasformazioni dei partiti politici” (responsabile
scientifico Marco Tarchi) e, più specificamente, del
programma locale “Per un Osservatorio italiano sulle trasformazioni
dei partiti politici. Cambiamento culturale, organizzativo,
strategico e comunicativo fra partiti e coalizioni in Italia
dal 1993 al 2006” diretto da Aldo Di Virgilio presso il
Dipartimento di Organizzazione Sistema Politico dell’Università
di Bologna. A quest’ultimo si collega anche il progetto
ex 60% 2004 “RC-PdCI-DS. Una ricerca comparata sull’evoluzione
della cultura politica dei partiti neo e postcomunisti”
anch’esso diretto da Di Virgilio.
6 Al movimento dei Comunisti unitari aderirono 19 parlamentari
(14 deputati, tre senatori e i due europarlamentari) in uscita
da Rifondazione dopo aver votano nel gennaio la fiducia a Dini
e a marzo la legge finanziaria. La confluenza nei DS, decisa
nel successivo giugno, fu sancita ufficialmente soltanto nel
febbraio 1998 agli Stati generali della Sinistra con cui giunse
a compimento del progetto di Cosa 2 lanciato da D’Alema
e il passaggio dal PDS ai DS. In quell’occasione, oltre
ai Comunisti unitari, fecero il loro ingresso nel nuovo partito
i Cristiano sociali (Carniti e Gorrieri), i Laburisti (Spini),
la Sinistra Repubblicana (Bogi, Battaglia e Passigli), i socialisti
di Ruffolo.
7 È il tema delle due sinistre, che animò anche
altre divisioni (fra socialisti e socialdemocratici nel 1947;
fra socialisti e socialproletari nel 1964) e contrapposizioni
(lo scontro fra Craxi e Berlinguer negli anni Ottanta). Dentro
il PCI, per tutta la lunga fase della conventio ad excludendum
fissata nei suoi confronti dai partiti democratici, la questione
rimase del tutto ipotetica (non senza manifestarsi, ad esempio,
nei contrasti fra la destra di Amendola e la sinistra di Ingrao).
Fu invece alla base del dibattito fra miglioristi e centro post-berlingueriano
negli anni Ottanta e accompagnò lo stesso passaggio dal
PCI al PDS negli anni Novanta. Il dilemma rimase irrisolto all’interno
del PDS (al punto che all’atto della sua nascita il modello
«antagonista-movimentista» si presentava come un’attendibile
ipotesi di sviluppo del nuovo partito [Ignazi 1992, 174 e ss.])
e rappresentò un aspetto costitutivo nella nascita di
Rifondazione (movimento che si proclamava rivoluzionario, fissava
nello statuto l’obiettivo del superamento del capitalismo,
affidava la sua identità a parole d’ordine quali
“il governo borghese si abbatte e non si cambia”
(sic!)) [Bertolino 2004].
8 L’atteggiamento verso la coalizione e la prospettiva
di una partecipazione diretta al governo ha animato, ad esempio,
il VI congresso (Venezia, marzo 2005) e il confronto fra le
cinque mozioni che vi erano presenti.
9 Su basi diverse da quelle del 1994, Rifondazione ha scelto
in vista delle elezioni del 2006 il ritorno a una piena adesione
coalizionale nei ranghi dell’Unione democratica. Si tratta
di una novità importante, che, con tutte le incognite
legate ai conflitti interni e alla solidità della leadership
di Bertinotti, trasformerebbe Rifondazione in un partito di
governo. Non senza dirette conseguenze sulla nicchia occupata
dai Comunisti italiani e dunque investendone le loro scelte
strategiche (si vedano le conclusioni di questo lavoro).
10 Oggetto del contendere, anche in quel caso, fu il voto sulla
legge finanziaria: Bertinotti dichiarò la sua intenzione
di voto contrario; ciò suscitò un aspro conflitto
dentro il partito e un movimento d’opinione contrario
alla caduta del governo. Queste reazioni convinsero Bertinotti
a far rientrare la crisi dopo aver ottenuto da Prodi l’impegno
di Prodi a introdurre la settimana lavorativa di 35 ore (sul
modello di un analogo provvedimento adottato in quei mesi in
Francia dal governo Jospin).
11 A questo riguardo la posizione dei fondatori del PdCI ricorda
più l’atteggiamento del Nenni che difende il centrosinistra
in base a considerazioni legate alla stabilità del quadro
politico democratico (Tamburano 1996) che le posizioni del vecchio
PCI. L’analogia con gli anni del centro-sinistra, del
resto, non si ferma qui: prima della scissione, alla ricerca
di un compromesso per mantenere a Prodi il sostegno di Rifondazione,
Nesi avanzò la proposta di far precedere la Finanziaria
del 1998 da una Nota aggiuntiva, come avvenne nel 1962 su proposta
di Ugo La Malfa.
12 O meglio la gran parte di essa, giacché una parte
dei cossuttiani rimase in Rifondazione, dando vita alla componente
L’Ernesto, guidata da Claudio Grassi e raccolta al VI
congresso nella nella mozione Essere comunisti.
13 Il dissenso nei confronti di Berlinguer risaliva in realtà
alla metà degli anni Settanta, quando Cossutta contestò
la dichiarazione del segretario comunista che giunse a dichiarare
di sentirsi protetto dalla Nato e si distacca dall’ortodossia
sovietica. È a quel momento che Diliberto e Diliberto
[1998] fanno risalire la nascita della componente cossuttiana.
Più tardi, nel 1982, Cossutta subì il provvedimento
disciplinare della deplorazione per aver espresso pubblicamente
il proprio dissenso nei confronti della Direzione a difesa del
ruolo positivo svolto dai paesi socialisti e delle conquiste
della società sovietica e per aver sostenuto la tesi
secondo cui lo “strappo” nei confronti dell’URSS
era in realtà uno strappo nei confronti dell’identità
comunista [Cossutta 2003].
14 Si tratta di un’ambiguità originaria, intrinseca
nel termine rifondazione. Per alcuni, e in primo luogo per i
cossuttiani, il termine rifondazione doveva essere ritenuto
transitorio in quanto «l’identità comunista
non doveva essere affatto rifondata». Si trattava infatti
somma di fondare di nuovo il PCI (opponendosi alla prospettiva
di autoscioglimento indicata da Occhetto) e non di rifondare
il comunismo come sostenevano il gruppo guidato dal coordinatore
Garavini e, più tardi, lo stesso Bertinotti. In quest’ultima
prospettiva, il termine rifondazione doveva invece segnare una
discontinuità rispetto all’esperienza del vecchio
PCI e favorire la contaminazione della cultura politica comunista
con impostazioni politico-culturali di altra provenienza (il
comunismo di Trotsky e della Luxemburg, i gruppi della sinistra
estrema, i nuovi movimenti, e così via).
15 AL XVI Congresso (1983) malgrado il suo emendamento sul “superamento
del capitalismo” e a difesa del legame storico con la
patria del comunismo avesse ottenuto il 15%-18% dei consensi,
Cossutta e la sua componente subirono i rigidi meccanismi della
rappresentanza interna e, malgrado il sostegno di Mosca, si
ritrovarono marginalizzati [Urban 1986].
16 Secondo quanto dichiaratoci dall’on. Severino Galante,
responsabile del Dipartimento organizzazione del PdCI, è
del resto agli statuti del PCI degli anni Sessanta e Settanta
che gli estensori dello statuto dei Comunisti italiani hanno
attinto a piene mani.
17 Questi doveri di stampo tradizionale si intrecciano nello
stesso articolo con altri improntati alla political correctness,
ovvero: «operare perché si affermino nella società
italiana i principi di una società multietnica e solidale;
operareperché si affermi nella società italiana
il principio di libertà di orientamento sessuale»
(art. 2)
18 Come ha sostenuto, senza però fornire sufficienti
elementi di spiegazione, Cossu [2004].
19 Al superamento della soglia di sopravvivenza si è
riferito durante i lavori del CC del luglio 2005 il segretario
Diliberto: «In tutta la discussione non ho sentito nessuno
dire: “il partito è transitorio, cosa faremo, dove
andremo..”. Questo dibattito, che pure assillava molti
compagni, semplicemente non c’è più: e questa
è una prima cosa altamente positiva». Resoconto
dei lavori, sito Internet del PdCI.
20 In questa prospettiva, la nascita dell’Unione democratica
e il ritorno di Rifondazione dentro la coalizione costituiscono
per il PdCI una sfida politica e strategica particolarmente
insidiosa che obbliga il partito a elaborare risposte adeguate
e quindi a adattare la propria linea. Sul punto si rinvia alle
conclusioni.
21 Il Dipartimento organizzativo del PdCI non dispone in modo
ordinato di tali dati; si è detto però disponibile
a ricostruirli e a renderli disponibili per il prosieguo di
questa nostra ricerca.
22 E’ questa l’opinione dell’on. Galante.
Nell’intervista con gli autori (Roma, 8/9/05) egli colloca
tali affermazioni nel quadro della sconfitta mondiale del comunismo:
«Cosa ci accomuna? Un richiamo comune alla storia dei
comunisti italiano, ovvero di un comunismo realista, togliattiano,
di una sinistra che non si limita a voler cambiare il mondo,
ma ha un’idea realista del cambiamento, che deve fare
i conti leninisticamente con i rapporti di forza in questo paese,
una sinistra che ha perso la guerra, l’ha persa nel mondo
la guerra, i comunisti hanno perso la guerra fredda e quindi
bisogna capire come si fa quando s’è persa la guerra».
23 Si tratta delle risposte fornite da 290 delegati (circa il
39,2% dell’intera popolazione) del III Congresso nazionale
del PdCI (Rimini 20-22 febbraio 2004). Consapevoli del fatto
che per comprendere chi sono i comunisti italiani dovrebbero
essere presi in esame anche i dirigenti e gli elettori del partito,
siamo però convinti che le posizioni espresse dai quadri
di un partito come il PdCI rappresentino un valido indicatore
della sua identità politica. Responsabili di partito
ai vari livelli, eletti locali, militanti attivi – e dunque
la maggior parte dei delegati al congresso nazionale - svolgono
infatti un ruolo centrale nel PdCI: trasmettono le linee politiche
del partito dall’alto al basso e convogliano le domande
e gli umori diffusi nella base al vertice. Per le funzioni che
assolvono i quadri di partito possono inoltre essere considerati
portatori di una cultura politica stabile, convenzionale e probabilmente
rappresentativa delle diverse anime del partito diffuse nel
territorio. A questo proposito facciamo nostra la posizione
espressa da Ignazi [1992, 108] e adottata da Bertolino [2004,
233, n. 1].
24 La presenza di Uniti per l'Ulivo e la conseguente assenza
dei DS potrebbero aver contribuito per esempio a far lievitare
i consensi al PdCI alle regionali del 2005.
25 Ciò non sembri in contraddizione con quanto detto
poco sopra circa l’estraneaità di Lucca a tale
tessuto. Tale estraneità vale per Lucca città
e per la Garfagnana, ma non per la Versilia e il suo entroterra,
radice territoriale di Montemagni
26 Tale evidenza potrebbe costituire una conferma del carattere
composito del voto ai Comunisti italiani, legato in parte al
richiamo partitico (l’appartenenza) e per altra parte,
come si è detto sopra, a considerazioni di opportunità
connesse alla posta in gioco o allo specifico profilo dei candidati
effettivamente eleggibili (secondo le modalità dell’opinione
e/o dello scambio) [Parisi e Pasquino 1977].
27 Nel 2003 a Viareggio la designazione del candidato sindaco
del centro-sinistra fu occasione di una lotta fratricida in
casa DS che contrappose l’ex senatore e assessore provinciale
Petrucci al sindaco uscente Marcucci, sostenuto attivamente
da Montemagni.
28 Resoconto dei lavori del CC del luglio 2005, in http://www.comunisti-italiani.it.
Tutto ciò trova conferma anche in alcuni episodi di carattere
elettorale, legati all’impiego del voto di preferenza
come strumento di rovesciamento di gerarchie interne che sembravano
acquisite. È stato il caso delle elezioni regionali del
2005 e della bocciatura del candidato ufficiale del partito
il capolista nella circoscrizione di Bologna, nonché
consigliere uscente e segretario regionale dell’Emilia
Romagna Rocco Giacomino rimasto fuori dal Consiglio perché
imprevedibilmente superato nel numero di preferenze per poco
più di 60 voti (537 voti personali contro 474) da Donatella
Bortolazzi.
29 Il flusso organizzativo proveniente dai DS è un fenomeno
che negli ultimi anni ha registrato nei diversi livelli politicoistituzionali
una qualche evidenza. In alcuni casi, ad esempio a Ferrara con
l’adesione al PdCI dell’ex sindaco Soffritti, si
tratta di adesioni pesanti, che si sono tradotte nel passaggio
al PdCI, peraltro non ancora presente in città, di un
pezzetto di DS.
30 Ad ogni delegato intervistato è stato chiesto di definire
l’identità del Pdci attribuendo un certo grado
di importanza (per niente, poco, abbastanza o molto) ad ognuno
dei seguenti 14 aggettivi: antifascista, comunista, laica, progressista,
riformista, socialista, tradizionalista, socialdemocratica,
liberal democratica, populista, liberale, conservatrice, cattolica,
anticomunista.
31 Per costruire l’indice “Peso della tradizione
marxista” le risposte degli intervistati alle due domande
appena ricordate sono state dicotomizzate, separando le posizioni
più vicine alla tradizione comunista classica da tutte
le altre. Dato che il 93,2% degli intervistati dichiara una
visione della politica “molto o abbastanza” influenzata
dai valori storici del comunismo, per cogliere meglio la varianza
delle risposte dei delegati a questa domanda sono stati isolati
gli intervistati che hanno scelto la categoria di risposta “molto”
da tutti altri. Allo stesso modo, rispetto alla rilevanza del
concetto di “lotta di classe”, sono stati isolati
i delegati che considerano il concetto di classe “ancora
valido nei termini espressi da Marx” da tutti gli altri.
32 Questa percentuale sale al 67,1% se consideriamo i soli delegati
che hanno effettivamente avuto la possibilità di iscriversi
al Pci, cioè coloro che erano maggiorenni nel 1991.
33 Solo il 26,5% dei delegati intervistati il 3-6 marzo 2005
al VI congresso del Partito della Rifondazione comunista rispondono
allo stesso modo a questa domanda. Durante questo congresso
sono stati intervistati 208 delegati (circa il 32% della popolazione).
34 Durante questo congresso - tenuto a Roma tra i 3 e il 5 febbraio
2005 - è stato intervistato il 27,5% dei delegati presenti
(434 interviste).
35 Tra le categorie di risposta a questa domanda era anche prevista
l’alternativa “in politica bisogna sempre sapersi
adattare alle circostanze senza preoccuparsi troppo dei propri
principi e della propria identità” che però
non è stata scelta da nessun delegato.
36 Agli intervistati era stato chiesto di esprimere una prima
ed una seconda scelta tra le seguenti sei possibili funzioni:
migliorare le condizioni di vita delle classi più deboli,
fare il possibile per vincere le elezioni politiche, rappresentare
le opinioni del suo elettorato, rappresentare le opinioni dei
suoi iscritti, collaborare a garantire il buon funzionamento
del sistema politico, controllare chi sta al potere.
37 Agli intervistati è stato chiesto di esprimere il
loro grado di fiducia nella Chiesa scegliendo tra quattro alternative
di risposta: per niente, poco, abbastanza e molto. Per rilevare
l´opinione sulla legittimità della Chiesa a prendere
posizione nel dibattito politico e´stata invece impiegata
una domanda a scelta forzata (si veda Pavsic e Pitrone 2003).
Le due frasi presentate agli intervistati come alternative di
risposta erano le seguenti: «La Chiesa cattolica non dovrebbe
mai esprimere le sue posizioni su questioni rilevanti nel dibattito
politico» e «È legittimo che la Chiesa indichi
le sue posizioni su specifiche tematiche politiche». Gli
intervistati dovevano cioè esprimere una preferenza per
l’una o per l’altra alternativa su un continuum
di sei posizioni ancorate agli estremi con le due frasi. Chi
era completamente d’accordo con la frase posta a sinistra
del continuum sceglieva di posizionarsi nella casella numero
1, chi era completamente d’accordo con la frase posta
a destra del continuum sceglieva la casella numero 6. Le posizioni
intermedie servivano per calibrare le preferenze. Relativamente
all’indice di anticlericalismo: i «fortemente anticlericali»
si collocavano sulla casella 1, gli «anticlericali»
sulle caselle 2-4, i «non anticlericali» sulle caselle
5 o 6 se non si fidavano della Chiesa e su tutte le possibili
posizioni se si fidavano molto o abbastanza della Chiesa.
38 Oltre il 70% dei delegati del PRC intervistati durante il
congresso si dichiara poco o per niente d’accordo con
la seguente affermazione: «Rifondazione dovrebbe ricomporre
la frattura del 1998 con il PdCI».
39 Le due frasi erano contrapposte lungo un continuum di sei
posizioni. Come nella precedente domanda a scelta forzata, se
l’intervistato era molto più attratto dalla prima
delle due frasi elencate (« … è più
importante l’uguaglianza») indicava con una croce
la casella 1 se molto più attratto dalla seconda («
… è più importante la libertà»)
indicava con una croce la casella 6. Le altre caselle servivano
per graduare la preferenza tra le due frasi.
40 Tra i delegati del PRC queste posizioni sono ancora più
radicali: il 43,8% considera l’uguaglianza molto più
importante e appena il 6,5% considerano profondamente più
importante la libertà. Tenendo conto delle posizioni
intermedie, le percentuali salgono all’81,6% per l’uguaglianza
e al 18,4% per la libertà. Tra i delegati DS queste percentuali
diventano molto più equilibrate: si registra il 14,8%
e il 54 % per l’uguaglianza e il 15% e il 46% per la libertà.
41 La domanda a scelta forzata in questione proponeva ai delegati
di scegliere tra uno Stato interventista, garante di tutti i
servizi sociali, e uno Stato liberista, che lasciava che i servizi
fossero forniti dal mercato.
42 Si tratta della stessa percentuale registrata tra i delegati
del PRC. Tra i quadri dei DS scende invece al 62%.
43 La differenza tra le due posizioni diventa ancora più
ampia se consideriamo anche le risposte intermedie: i fautori
di uno Stato in qualche misura interventista salgono al 97,1%
rispetto ad uno scarso 3% di intervistati tendenzialmente liberisti.
44 Il 35% dei delegati che hanno dichiarato di essere stati
iscritti a Rifondazione comunista sono passati al PdCi dopo
la svolta movimentista del partito di Bertinotti.
45 Tra i delegati SDI intervistati durante il loro III congresso
nazionale del 2-4 aprile 2005 a Fiuggi (il campione era costituito
da 352 intervistati, circa il 44% della popolazione di delegati)
la percentuale di coloro che hanno partecipato a occupazioni
di edifici scende al 21,3%, mentre tra i delegati della Margherita
intervistati al loro II congresso nazionale di Rimini del 12-14
marzo 2004 (310 casi, circa il 22% del totale dei delegati invitati)
si attesta al 17,2%.
46 Questa percentuale risulta ancora più rilevante considerando
l’anticlericalismo diffuso tra i delegati del PdCI.
47 È probabile che parte di questi delegati siano stati
indotti a lasciare Rifondazione comunista proprio per la progressiva
identificazione del partito di Bertinotti con i momenti no-global.
48 Ogni intervistato poteva scegliere tra quattro alternative
di risposte: per niente, poco, abbastanza e molto d’accordo.
49 Ricordiamo che solo il 16,3% dei delegati PdCI è disposto
a definire il partito socialdemocratico. Questa percentuale
risulta ancora i più bassa se paragonata con quella -
di una decina di punti superiore - dei delegati di Rifondazione
e soprattutto con quella dei delegati DS (l’87% considera
socialdemocratico il proprio partito).
50 Non senza esporsi alla reazione di ritorno dei partiti contigui.
La capacità del PdCI di drenare valori e persone «in
nome di Enrico» ? come recitava un manifesto della campagna
per le europee del 2004 ? ha indotto ad esempio i DS a riappropriarsi
di Berlinguer. Rifondazione, dal canto suo, dopo aver aderito
alla nuova Unione democratica ha soffiato al PdCI uno degli
slogan che avevano tenuto a battesimo il partito proponendosi
come «la sinistra del centro-sinistra».
51 Sul punto si rinvia a un interessante lavoro di Cossu (2004).
Nella rilettura di quel passato, il gruppo dirigente del PdCI
utilizza l’etichetta PCI togliattiano per indicare il
partito prima della «mutazione genetica» che l’avrebbe
portato alla dissoluzione. In questa prospettiva Berlinguer
diventa «l’ultimo togliattiano» (così
l’on. Galante nell’intervista citata).
52 Esemplare di questo “sdoppiamento” è la
dichiarazione di voto pronunciata da Diliberto alla Camera nella
discussione sulla fiducia a Prodi: «Come capogruppo dichiaro
che Rifondazione ritira la fiducia al governo, ma come comunista
io non mi arrendo, noi non ci arrendiamo …». Riportato
in Cossu (2004, 219).
53 Annunciano questo obiettivo le stesse lettere inviate dai
comitati provinciali promotori del PdCI agli iscritti di Rifondazione
e ai giornali locali, dove si chiarisce che il nuovo partito,
né più né meno come il vecchio PCI, è
«impegnato in una politica autonoma e unitaria, né
moderata né massimalista» (Cossu 2004, 227). E
lo ribadisce anche la decisione di stampare sulla prima tessera
di adesione una frase del Togliatti nazional-popolare: «Noi
non possiamo accontentarci di criticare o di inveire, e sia
pure nel modo più brillante. Dobbiamo possedere una soluzione
di tutti i problemi nazionali. Siamo convinti di non lavorare
soltanto per noi stessi, ma nell'interesse di tutta l'Italia,
che ha bisogno di un grande, di un forte partito comunista.
Noi creeremo questo partito».
54 Si tratta però di una interessante variante dell’uso
strumentale della coalizione, alternativo a quello dei piccoli
partiti centrali (che dentro la coalizione mettono a frutto
come risorsa la loro collocazione spaziale pivotale), a quello
dei partiti maggiori (che soltanto agendo da coalition maker,
e subendone i relativi costi, possono far valere la loro maggior
forza), oppure a partiti in fuga dalla loro identità
passata (che come i DS, alimentando e assumendo una identità
di coalizione più facilmente conseguono lo scopo di edulcorare
la loro identità passata).
55 Così l’on. Galante nell’intervista citata.
Si tratta di una contesa «in cui ciascuno difende non
solo i propri interessi di partito, ma soprattutto interessi
materiali corposi, che fanno capo a pezzi diversi di società.
Noi cerchiamo di rappresentare gli interessi del mondo del lavoro.
Prodi, Rutelli e Franceschini hanno una cultura politica e punti
di riferimento sociali diversi. Dobbiamo trovare una mediazione,
ma non possiamo farlo che da posizioni di debolezza ».
56 Il paradosso è soltanto apparente se si concorda col
fatto che “Cossutta aveva sbagliato tutto capendo l’essenziale.
Capiva che il PCI stava vivendo una metamorfosi interna che
l’avrebbe portato alla dissoluzione. Vedeva però
il fattore di questa crisi nel rapporto con l’Urss. E
lì sbagliava tutto”. In questa prospettiva Berlinguer
diventa “l’ultimo togliattiano” (così
l’on. Galante nell’intervista citata).
57 Se ne ricava un’indiretta conferma dalla citata intervista
all’on. Galante, il quale, soffermandosi sui contraccolpi
che l’accordo Cossutta-Bertinotti del 1994 determinò
all’interno della componente cossuttiana, ha sottolineato
la rilevanza della propria elezione a consigliere regionale
nel 1995 come antidoto alla «bastonatura politica»
subita sull’altare dei nuovi equilibri interni (nel 1994
il controllo sul comitato regionale del Veneto venne attribuito
alla componente ex DP). Galante trasse da quella collocazione
istituzionale sufficienti «strumenti di potere e di pressione
con cui tutelarmi e tutelare la propria mia area».
58 La prima sperimentazione di questa nuova strategia competitiva
è avvenuta alle elezioni regionali calabresi dell’aprile
2005. Per aggirare la di esclusione del 4% prevista dalla nuova
legge elettorale, il PdCI vi ha preso parte all’interno
del cartello Progetto Calabrie in alleanza con Italia dei Valori
e con alcuni movimenti locali conseguendo il 4,2% dei voti su
scala regionale.
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