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Gaddo de Anna

Petrolio e dintorni



Mr. Hubbert non era un tipo particolarmente formoso, né un campione del volante.
Eppure la sua notorietà nasce soprattutto dalle sue curve.
Tutto ciò potrebbe sembrare molto peculiare, anche se non è altro che la verità.
Mr. Hubbert era infatti un matematico che, con una particolare curva campaniforme, dimostrò come il consumo di una qualsiasi prodotto di quantità non infinita o non rinnovabile, se procede  verso l’alto in un continuo aumento, verrà a raggiungere un picco massimo, per poi scendere sostanzialmente come era salito.
È quindi consequenziale che tanto più la salita sarà repentina, tanto più la discesa sarà precipitosa.
Questa curva è stata applicata anche, con rigore matematico, al consumo ed alla produzione delle risorse petrolifere.
Proprio riguardo a questo prodotto le previsioni scientifiche e/o logico-matematiche prevedono che se negli USA il picco massimo di produzione del consumo di petrolio lo si è avuto nel 1970, per l’OPEC è invece previsto fra il 2010 ed il 2020 e più realisticamente per il 2013.
Ubriacati dalla facilità di reperimento e dall’efficienza energetica del prodotto, abbiamo sinora seguito la filosofia delle cicale, brindando, cantando, danzando in una sorta di sabba energetico, senza porci in alcun modo l’interrogativo se tutto questo non avrebbe sortito effetti negativi di qualche genere.
In un prossimo futuro, che è così prossimo che quasi quasi si trasforma in presente, rifacendoci agli insegnamenti di La Fontaine (se una buona volta decidiamo che gli insegnamenti servono a qualcosa), dovremo certo smetterla di cicaleggiare per seguire i principi più noiosi ma alla fine più redditizi delle fastidiose formiche.
Come guardare davanti a sé ad un sentiero in forte pendenza che porta a fondo valle, ecco annunciarsi la fase terribilmente discendente della disponibilità e, di conseguenza, del consumo petrolifero.
Quello che più preoccupa è che l’intera classe politica e/o dirigente non abbia messo in atto praticamente nulla, per porre rimedio a tale situazione, di cui forse non ci si rende ben conto, ma soprattutto non ha il coraggio di rendersi conto, pur conoscendo bene come stiano le cose.
Perché avere l’onestà intellettuale di prenderne atto obbligherebbe, chi di dovere e potere, ad assumere decisioni drastiche, ma soprattutto drasticamente invise a chi le deve poi subire.
E chi le deve subire potrebbe andare presto al voto e naturalmente non gli si possono far subire provvedimenti drasticamente invisi.
Come se il nascondere i fatti riuscisse in qualche modo a far sì che questi cessino di esistere.
È pavidità, ma non , solo.
Oltre ad essa, sono ormai troppi lustri che la politica è prigioniera dell’economia e dei mercati, incapace di fare il proprio mestiere cui ha ormai abdicato.
Solo gli interessi economici dettano i comportamenti e le decisioni non solo internazionali, ma globali.
Siano essi l’aiutare un certo territorio ad affrancarsi da una situazione in quel momento giudicata politicamente sconveniente, per poi non preoccuparsi affatto di fare alleanze con i già “nemici”, distruggendo il paese che prima si era mostrato voler aiutare.
Morale, coerenza, onestà, pietas sono cose che appartengono ai santi.
E siccome anche i santi sono gli uomini che decidono se e chi lo debbano essere, in effetti non esistono; e allora tutti ancor più legittimati a tirare giù botte da orbi. 
I paesi arabi, che ne sono notoriamente i maggiori produttori, minimizzano il fatto che la produzione e quindi il consumo  abbiano imboccato un inesorabile sunset boulevard.
Tale atteggiamento è loro necessario, perché così evitano crisi finanziarie che i mercati innescherebbero subito, in quanto non più garantiti da una ricchezza scioccamente ritenuta inesauribile.
Nel durante di questi anni di impressionante arricchimento, gli  stessi paesi Arabi hanno visto un aumento demografico altrettanto impressionante; ma non hanno perso il senso della realtà.
Scuole, ospedali, ricchezza reale un po’ per tutti hanno consentito questo improvviso aumento di popolazione, ma ha dichiarato uno sceicco, perfettamente conscio di quello che potrà succedere: “Se l’altro ieri mio nonno andava a cammello, se ieri mio padre andava in automobile, se io oggi vado in aereo, domani mio figlio tornerà ad andare in automobile e dopodomani mio nipote tornerà ad andare a cammello.
Ci ritroviamo con una sorta di nuova curva; tipo quella di Mr. Hubbert.
Nei nostri paesi ipotizzare un fatto del genere, significa cercare un’impopolarità immediata a qualsiasi livello ed in qualsiasi organizzazione.
La gente non ne vuol sentir parlare e preferisce di gran lunga seguire etologicamente il comportamento dello struzzo, per cui sia meglio non vedere piuttosto che affrontare la realtà.
Diceva, nelle segrete stanze, un ritenuto illustre esponente del Parlamento europeo: “Se sono io ad obbligare il cittadino a fare a meno dell’automobile perché si deve risparmiare petrolio, questo s’incazza con me. Se invece dovrà farne a meno, perché il prezzo del petrolio a 100 dollari al barile lo costringerà a ciò in via quasi naturale, non saprà bene con chi incazzarsi; ma comunque non con me.”
Anche con lui; ma il mal comune è sempre un mezzo gaudio.
E qui si evidenzia tutta la disonestà intellettuale di chi fa tali ragionamenti, mostrando da una parte la propria voluta incapacità di tutelare l’interesse generale, evidenziando dall’altra la gretta mentalità di chi si ritiene padrone del mondo e non più semplicemente ospite di passaggio, con il dovere di custodire al meglio per consegnare alle generazioni future.
Che segue cioè l’indicazione biblica, secondo la quale la natura è al servizio dell’uomo perché l’uomo domina la natura.
Ma forse l’autore della Bibbia non poteva immaginare che l’uomo fosse così stupido.
Non sarebbe comunque solo un minor utilizzo dell’automobile a far incazzare, contro il nostro signor nessuno, il cittadino che è anche elettore.
La produzione agricola crollerebbe a quantità assolutamente insufficienti per la normale richiesta del mercato, facendo quindi schizzare alle stelle i prezzi, perché il non più uso dei fertilizzanti chimici, tutti derivanti dal petrolio, non consentirebbe più produzioni intensive e quindi quantitativamente sufficienti.
Riesce troppo difficile pensare al concetto di carestia, oppure è parola che comunque non si vuole affrontare, non trovando di meglio che rifugiarsi in toccamenti scaramantici di ogni genere?
Anche i più impudici.
Anche gli aerei tenderebbero ad essere un caro ricordo e così la produzione energetica di facile reperibilità, con conseguente necessaria rinuncia ad una caterva di beni superflui, o quantomeno non essenziali.
Tanto è vero che le maggiori multinazionali del petrolio, sono divenute rapidamente fra le più importanti investitrici in ricerca sull’energia alternativa e, questa volta, rinnovabile.
Sanno bene quale sia la realtà.
Se il petrolio, che si trova ad una profondità variabile fra i 2,2 ed i 4,5 Km (oltre, a causa dell’eccessiva temperatura, gassifica), oramai si trova solo alle profondità più elevate, le perforazioni a tali profondità fanno talmente aumentare i costi da rendere antieconomica l’impresa.
I pozzi degli USA sono in esaurimento, quelli del Mare del Nord anche e trovare nuovi luoghi di estrazione significa incrementare ulteriormente le ricerche.
Ma anche queste hanno un costo sempre più elevato, anche più delle perforazioni a profondità crescenti.
Aumentando anche per questa ragione l’antieconomicità dell’attività estrattiva ecco che chi sa come stanno le cose si tutela investendo per rimanere sempre nel campo della produzione energetica.
Ma non perché si sia accorto che continuando così come sono andate sino ad oggi le cose, l’intera umanità si avvelena in senso lato e si sia quindi redento per evitare tutto ciò.
Ma il tutto solo perché, terminata la possibilità di sfruttamento di un prodotto fino ad oggi facilmente reperibile (almeno da un punto di vista economico), imbocca una nuova strada per rimanere nel mondo del business energetico.
Lo scenario futuro potrebbe ancora essere abbastanza ottimisticamente valutato, se non ci si scontrasse contro l’idiozia dell’uomo che, pur di non rinunciare a nulla di ciò che è consumismo, preferisce non sapere, non rendersi conto, assumere il ruolo di idiota storico; nel senso che passerà alla storia come idiota.
Ha paura di andare ad affrontare una vita povera e fatta di stenti e rinunce.
C’è peraltro da chiedersi se il dimentico concetto di qualità della vita non abbia un valore tale per cui, anche solo migliorando un po’ quello, compenserebbe tutte le cretinate che ci inducono a consumare come beni necessari e vitali.
Insomma spaventa i tapini un ritorno ad una vita non certo più povera, ma sicuramente più semplice, più sana ed  ambientalmente pulita.
Quel che è sicuro è che se però non viene fatto nulla, se nessuno si fa carico di preparare culturalmente ed in modo graduale le popolazioni ad affrontare questi passaggi, non è difficile prevedere tensioni sociali di ogni genere, ricorso alle stupide armi e quant’altro di assurdo l’umanità sia riuscita sino ad oggi ad inventare.
Non è che la situazione non sia semplice: è molto più che complessa e dovremo fare in modo che non divenga disastrosa.
Dobbiamo farci carico tutti ad abituarci ad un progressiva semplificazione dei costumi, se non vogliamo venirci costretti, perché travolti in modo incontrollato da tutto ciò che di negativo possiamo immaginare.
Che ci piaccia o meno.
Tanto per finire in maniera saccente, apportando quindi un paio di citazioni, nello stile di coloro che sanno, diceva W. Youngquist: “Dobbiamo sopravvivere con un benessere ragionevole” e obiettivamente il nostro, oggi, non è ragionevole affatto.
E ancora Robert Kennedy: “Se queste sfide non vengono accettate ….. l’umanità dovrà lagnarsi solo con sé stessa per le grane ed i disastri che potrebbe trovarsi a dover fronteggiare.”