otobre 2018 Fuoco sul quartier generale (di YouTube) Douglas è accusato di aver minacciato di morte su Twitter l’amministratrice delegata e i dipendenti di YouTube, il terzo sito più visitato al mondo. “Vengo a beccarti, #prega”, ha scritto a Susan Wojcicki, poi ha annunciato di voler andare alla sede centrale dell’azienda per fare una strage: “Se volete più vittime, aka #sparatoria, vedrò quel che posso fare”. Scrivendo “più vittime”, Douglas si riferiva a un episodio di qualche mese prima. San Bruno, California, 3 aprile 2018. Una donna entra nel cortile della sede di YouTube durante la pausa pranzo e apre il fuoco con una pistola semiautomatica. Ferisce tre persone, una in modo grave, poi si uccide sparandosi al cuore. Si chiamava Nasim Aghdam. Due giorni dopo avrebbe compiuto 39 anni. Nasim aveva un canale YouTube dove parlava di alimentazione vegana, body building, cultura persiana e altri argomenti. Il canale era piuttosto seguito, eppure lei pensava che YouTube lo stesse boicottando, limitando il traffico con appositi filtri. La compagnia aveva anche “demonetizzato” alcuni video, impedendo a Nasim di guadagnare con la pubblicità. Douglas è molto colpito dall’attentato ed empatizza con la donna. Anche lui si lamenta di YouTube: i suoi video raccolgono centinaia di migliaia di visioni, ma lui pensa che potrebbero fare di più, è convinto di subire censure per via del loro contenuto. Douglas è un estremista di destra e un appassionato di teorie del complotto. Nei suoi video propaganda le tesi più astruse, dalla Terra piatta al “finanziere ebreo” George Soros che controlla mezzo mondo. Da circa un anno, però, si è fissato su una teoria in particolare, o meglio: su una teoria che sta inglobando quasi tutte le altre. Una meta-teoria del complotto chiamata QAnon. Ecco, William Douglas è un seguace di QAnon. E, come vedremo, non è il primo a essere arrestato. Ci sono seguaci di QAnon anche in Italia. In rete se ne incontrano sempre di più, nei meandri di quella che i giornalisti francesi Dominique Albertini e David Doucet hanno chiamato la “fasciosfera”, una costellazione di profili e pagine di destra, razziste, complottiste. Ma è probabile che non rimangano confinati da quelle parti, anzi: presto potrebbero arrivare nel mainstream. Per raccontare bene questa storia, dobbiamo cominciare da una pizzeria. Pizzagate Clinton è anche accusata di aver violato le leggi federali usando il suo indirizzo email privato per comunicazioni altamente riservate. L’attenzione per la sua corrispondenza è dunque già alta quando, il 15 giugno, un hacker che si firma “Guccifer 2.0” pubblica sul sito DCleaks oltre 19mila email di esponenti di spicco e alti funzionari del Partito democratico. Anche solo esaminando a campione le email si capisce che il gruppo dirigente, temendo una svolta troppo a sinistra, ha cercato di sabotare la campagna di Sanders. La vicenda crea imbarazzo e spinge alle dimissioni Debbie Wasserman Schultz, presidente del comitato nazionale del partito. Da dove viene l’idea che i leader del Partito democratico siano satanisti e pedofili? Il 21 luglio 2016, alla convention repubblicana di Cleveland che nomina Trump candidato alla presidenza, ogni volta che dal palco si cita Hillary – sempre col nome di battesimo – la folla dei delegati prorompe nel grido: “Lock her up!”. Chiudetela in galera. Il giorno dopo, mentre a Philadelphia comincia la convention democratica che nominerà Clinton, anche Wikileaks pubblica le 19mila email, aggiungendone però molte altre. Nei mesi successivi ne arriveranno ancora, tante che nell’autunno 2016 l’intero corpus ne includerà centomila, oltre a migliaia di file allegati. Sul loro contenuto, e su modalità e responsabilità del loro trafugamento, si avvieranno indagini federali. Proprio dalla pubblicazione di questa corrispondenza nasce e si sviluppa, sul forum 4chan, una teoria del complotto incentrata su immagini di bimbi in catene e abusi sessuali. Secondo questa teoria, esponenti di punta del Partito democratico e manager della campagna elettorale di Clinton parteciperebbero regolarmente a rituali esoterico-satanici, durante i quali sarebbero commesse violenze su minori. Il tutto nelle cantine del Comet Ping Pong, ristorante-pizzeria di Washington che – sia detto en passant – non ha cantine e nemmeno un seminterrato. Da qui il nomignolo dell’affaire: Pizzagate. 4chan è tecnicamente una “imageboard”, una bacheca per immagini. In realtà è molto di più: un luogo della rete dove vale tutto o quasi, e sono consentiti i discorsi più razzisti, sessisti e antisemiti. Su 4chan hanno preso forma e si sono rafforzate le retoriche dell’estrema destra “alternativa” americana, la cosiddetta alt-right. Da 4chan sono partite campagne di stalking e doxxing – raccolta di dati sensibili a fini di denigrazione e persecuzione – contro gruppi o singole persone.
Fuori del ristorante Comet Ping Pong a Washington, il 5 dicembre 2016. (Matt McClain, The Washington Post via Getty Images)
La teoria Pizzagate nasce dalla sovrainterpretazione di alcune email della squadra di Clinton. Il coordinatore della campagna elettorale John Podesta ha scambiato diversi messaggi con James Alefantis, proprietario del Comet Ping Pong e sostenitore dei democratici, su una cena di finanziamento da tenersi nel ristorante. Gli esegeti delle email di Podesta notano che l’espressione “cheese pizza” ha le stesse iniziali di “child pornography”. Da qui parte un delirio interpretativo: la comunità decifra – per meglio dire, inventa – un linguaggio in codice nel quale “pasta” significa “bambino”, “salsa” significa “orgia” e così via. La narrazione si gonfia, facendosi sempre più intricata e barocca, e da 4chan si estende al più frequentato Reddit. Poco dopo la riprendono teorici complottisti a tempo pieno, come Alex Jones e Mike Cernovich, che cominciano a diffonderla dai loro podcast e canali YouTube, in un crescendo di sospetto e odio. Il 4 dicembre 2016 un uomo irrompe al Comet Ping Pong impugnando un fucile. Grida di voler liberare i bambini-schiavi e spara alcuni colpi, per fortuna senza uccidere nessuno, dopodiché viene bloccato e arrestato. Si chiama Edgar Welch, ha 28 anni. Il 22 giugno 2017 sarà condannato a quattro anni di prigione. Dopo l’arresto di Welch, Reddit chiude il proprio forum – in gergo, un “sub-reddit” – dedicato al Pizzagate, per violazione delle regole antidoxxing della piattaforma. Il mezzo, infatti, era usato per diffamare e perseguitare privati cittadini, soprattutto Alefantis. A quel punto, il Pizzagate esce dai radar dei mezzi di informazione. Anche la sua presa sull’immaginario complottista sembra scemare. In realtà, la storia si sta evolvendo. Ne eredita i caratteri una teoria chiamata “Pedogate”. In seguito, con Trump già alla Casa Bianca, Pedogate confluisce nella narrazione che diventerà celebre come “QAnon”. Ma da dove viene l’idea che i leader del Partito democratico siano satanisti e pedofili? Capirlo è importante, anche per noi in Italia. Michelle remembers e il caso McMartin Nel 1980 esce il libro Michelle remembers, scritto dalla canadese Michelle Smith, 29 anni, in collaborazione con il suo psichiatra e futuro marito Lawrence Pazder, 44 anni. L’opera si dichiara autobiografica: l’autrice racconta la sua infanzia e adolescenza a Victoria, in British Columbia. Una vita angosciante, anzi, un lungo incubo, per colpa dei genitori, appartenenti a una presunta “chiesa di Satana”. Durante le sedute con Pazder, Smith ha “recuperato” ricordi sepolti di abusi sessuali, infanticidi rituali e atti di cannibalismo, e ora descrive la sequela di orrori e nefandezze a cui ha dovuto assistere o partecipare. Scrive anche di essere stata violentata dai genitori, molte volte, fin dall’età di cinque anni. Tuttavia, non fornisce alcuna prova di quanto afferma, e il racconto è pieno di incongruenze. La madre di Michelle è morta nel 1964, ma il padre è vivo e parla senza mezzi termini di “calunnie” e “farneticazioni”. Anche amici e conoscenti della famiglia attaccano Smith e Pazder, smentendo il contenuto del libro. Nessuna inchiesta, giornalistica o penale, troverà mai alcun riscontro, e quasi tutte le dichiarazioni di Smith saranno smentite da fonti documentali. L’infondatezza del racconto non impedisce a Michelle remembers di diventare un “caso” negli Stati Uniti, dove milioni di lettori credono a quel che leggono nel libro. Si diffonde l’espressione coniata da Pazder “abuso rituale satanico” (Sra), mentre tra psicoterapeuti e sedicenti tali si impone la Terapia della memoria recuperata (Rmt), che consisterebbe nel “ripescare” ricordi dal fondo dell’inconscio. Un insieme di procedure vaghe e suggestive, che l’Associazione psichiatrica americana non raccomanderà né riconoscerà mai. La Rmt finisce per creare falsi ricordi nelle menti di centinaia di persone. Prima toccherà alle figlie e ai figli del “baby boom” – cioè ai nati tra il 1945 e la metà degli anni sessanta – poi a bambini in età scolare e addirittura prescolare. Avvocati senza scrupoli ne approfittano per fare soldi: dall’Atlantico al Pacifico le autorità inquirenti sono investite da un’ondata di denunce e testimonianze, talmente somiglianti da sembrare sempre la stessa, e i mezzi di informazione fanno da cassa di risonanza, scoop dopo scoop. Gli elementi base della narrazione sull’abuso rituale circolano da secoli in Europa Il paese è ormai in preda al “panico morale”, concetto coniato dal sociologo Stanley Cohen per definire la paura aggressiva che si impadronisce dell’opinione pubblica quando le viene additato un presunto nemico. Le conseguenze? Linciaggi mediatici, reputazioni distrutte, figli sottratti ai genitori, ingiuste detenzioni, milioni di dollari sperperati in indagini e processi. L’apice si tocca con People v. Buckey, meglio noto come il caso McMartin, il processo penale più lungo e costoso della storia americana. Nel 1983, intorno a tre componenti – due donne e un uomo – della famiglia McMartin, che gestisce una scuola per l’infanzia a Manhattan Beach, California, si forma un vortice di dicerie, racconti di bambini, ricostruzioni sempre più estreme e criminalizzazioni a mezzo stampa. È un episodio di isteria di massa, generato dal clima di panico sull’Sra e dalle ansie di madri e padri che hanno sovrainterpretato frasi dette dai figli di ritorno da scuola. Spaventati, i genitori hanno cominciato a sentirsi tra loro, amplificando le proprie inquietudini, e hanno interrogato i bimbi più volte, tessendo tra loro i racconti, desumendone sempre nuovi particolari, finché non è apparso un mostro a più teste: la diabolica famiglia McMartin. Non manca lo zampino di Smith e Pazder: al diffondersi delle prime notizie, gli autori di Michelle remembers sono volati a Manhattan Beach per incontrare i genitori e i mezzi di informazione locali. La loro visita ha piantato nell’immaginario l’idea dell’abuso rituale satanico. Il resto lo faranno le psicologhe incaricate di interrogare i bambini. Come testo di riferimento per affrontare il caso, alcune di loro usano proprio Michelle remembers. I McMartin sono accusati di aver compiuto per anni abusi rituali satanici ai danni di ben 400 bambini. Avrebbero agito quasi sempre in tunnel segreti sotto la scuola, ma a volte avrebbero organizzato “gite”, con i bambini portati in pulmino nei luoghi scelti per i rituali. Tutto ciò, senza che nessuno si accorgesse mai di nulla. Un bambino ha perfino indicato come uno dei violentatori l’attore Chuck Norris, che però non sarà mai indagato. Quanto ai tunnel, sotto la scuola non ne saranno mai trovati. Nonostante la totale assenza di prove, gli indagati sono rinviati a giudizio. Il processo dura sei anni e si conclude nel 1990, con l’assoluzione di tutti gli imputati e una verità sconvolgente: a creare falsi ricordi di abusi nelle menti dei bambini sono stati metodi di interrogatorio inadeguati e prevaricanti, condotti con pressioni e domande insistenti da parte dei genitori, degli inquirenti e, soprattutto, delle psicologhe. Tra gli anni ottanta e novanta, sia negli Stati Uniti sia nel Regno Unito, inchieste governative e studi scientifici concludono che l’Sra non esiste. È una leggenda metropolitana. Ma il panico morale è indifferente ai risultati delle ricerche, si muove su un altro piano e, nel passaggio tra i due decenni, si sposta in Europa. O meglio: ritorna in Europa. Da questa parte dell’Atlantico, infatti, gli elementi base della narrazione sull’abuso rituale circolano da secoli. Li ritroviamo, per esempio, nella leggenda antigiudaica chiamata “accusa del sangue”, circolata dall’undicesimo secolo fino alle soglie del ventesimo, secondo cui gli ebrei rapivano e uccidevano i figli dei cristiani, per usarne il sangue come ingrediente del pane azzimo e additivo nel vino da consumare durante la Pasqua. Si credeva che i bambini fossero completamente dissanguati, come nella macellazione kosher, e il loro sangue raccolto in un catino. Bologna, Modena, Rignano Flaminio Il modus operandi di Dutroux non ha nulla di occultistico, satanico o rituale: nemmeno le due vittime trovate ancora vive a casa sua riferiscono niente del genere. Eppure, alle autorità belghe si rivolgono diverse donne adulte, che si presentano come “sopravvissute” agli abusi di Dutroux, raccontano di cerimonie sataniche, si dicono certe che il serial killer faccia parte di una setta esoterica. La polizia indaga. Non troverà alcun riscontro, ma intanto i mezzi di informazione, anche fuori del Belgio, dedicano articoli e servizi alla ricerca della “rete satanica del mostro di Marcinelle”. Sulla sua esistenza circoleranno a lungo varie teorie del complotto. Il panico morale agguanta l’Europa. Si avvistano omologhi di Dutroux ovunque: ai giardinetti, negli asili nido, nelle scuole e ovviamente su internet, perché nel frattempo si stanno affermando i nuovi media digitali. I bambini sono in pericolo, si legge e sente dappertutto. Ben presto, si diffonde un’autentica ossessione per la pedofilia. Anche in Italia. Negli anni novanta il nostro paese sconta un forte ritardo culturale dei magistrati inquirenti, dei giornalisti e della psicologia forense. La letteratura scientifica internazionale ha già stabilito che l’Sra è una leggenda, ma alcune procure battono quella pista e istruiscono processi. I magistrati che conducono le indagini sono descritti dai mezzi di informazione come paladini che affrontano forze occulte. Eroi in lotta contro il diavolo. Le due storie più significative si svolgono in Emilia-Romagna. Cominciano negli stessi anni e corrono quasi parallele. In entrambe ritroviamo scene che sembrano prese da Michelle remembers e dal caso McMartin, ma anche dall’antica “accusa del sangue”. Cominciamo da Bologna, dove, nel gennaio 1996, sono arrestati tre esponenti di un’associazione culturale chiamata Bambini di Satana (Bds), tra i quali il fondatore Marco Dimitri. Quello dei Bds è un sodalizio a metà tra occultismo e controcultura giovanile, che ha attirato l’attenzione con performance e dichiarazioni provocatorie. Dimitri è stato anche ospite di talk show nazionali, ma adesso è in prigione, accusato di avere stuprato un’adolescente e un bimbo piccolo durante messe nere officiate a Bologna e sui colli a sud della città. Le indagini, condotte dal pubblico ministero Lucia Musti, si basano sulle parole di una “supertestimone” ancora minorenne. I mezzi di informazione la chiamano Simonetta, è l’ex fidanzata di uno dei tre indagati. Simonetta racconta anche di sacrifici umani, ma le presunte vittime non hanno nome, e i corpi non saranno mai trovati. Le leggende d’odio non scompaiono. Tornano sotto il pelo dell’acqua della cultura e prima o poi riemergono Nonostante la vaghezza delle ricostruzioni e la mancanza di prove oggettive, il giudice dell’udienza preliminare dispone il giudizio. Gli imputati trascorrono un anno e mezzo di carcere preventivo in isolamento, mentre i giornali – a partire dal Resto del Carlino – trasformano Dimitri in un mostro alla Dutroux. Da Marc a Marco il passo è breve. A sorpresa, però, una parte di città si mobilita in sua difesa: artisti, scrittori, giornalisti, centri sociali. Una mobilitazione dai caratteri inediti, su cui torneremo nella seconda puntata. Il panico morale diminuisce e il processo comincia in un clima di incertezza. Siamo nel febbraio 1997. In cinque mesi di udienze, l’impianto accusatorio appare in tutta la sua debolezza. Gli imputati sono assolti in primo grado e di nuovo in appello nel 2000. Il procuratore generale non ricorre nemmeno in cassazione. Per l’ingiusta detenzione, lo stato risarcirà Dimitri e i suoi compagni. Sul caso, consigliamo la ricostruzione della giornalista Antonella Beccaria Bambini di Satana. Processo al diavolo: i reati mai commessi di Marco Dimitri (Stampa Alternativa, 2006, scaricabile dal sito dell’autrice) e l’analisi del sociologo Patrizio Paolinelli Esoterismo, sicurezza e comunicazione. Il caso dei Bambini di Satana. Nel frattempo, in provincia di Modena, si sviluppa la vicenda dei “diavoli della Bassa”. Nella zona tra Mirandola e Finale Emilia, venti persone sono indagate con accuse gravissime. Sono in gran parte coppie di genitori – alle quali sono portati via i figli (in tutto sedici bambini) – e un sacerdote molto amato dai suoi parrocchiani, don Giorgio Govoni. Separati dai genitori, affidati a nuove famiglie e interrogati da alcune psicologhe per diversi mesi, i bambini raccontano – aggiungendo sempre nuovi dettagli – di violenze sessuali, torture, infanticidi. Crimini immondi, compiuti durante cerimonie notturne in tre cimiteri della bassa. È un crescendo: processioni di decine di persone con tuniche, cappucci e maschere; fosse scavate per inscenare parodie di funerali; bambini costretti a uccidere altri bambini; neonati uccisi e il loro sangue raccolto in un catino per poi essere bevuto. Ma quei cimiteri sono poco fuori i centri urbani, a lato di strade trafficate e circondati da case abitate, e nessuno ha mai notato nulla. Tra le tombe, non c’è alcun segno di attività insolite. Quanto ai presunti omicidi, nessun corpo verrà mai trovato. Nel biennio 1996-1997 i giornali locali coprono con molto clamore quel che sta accadendo a Bologna. Quasi ogni giorno il Resto del Carlino, diffuso in tutti i bar dell’Emilia-Romagna, dedica diverse pagine al caso Dimitri, alle deposizioni di Simonetta, all’allarme satanismo. Messe nere, sacrifici umani, un bambino chiuso in una bara… Nei paesi della bassa se ne parla. Può darsi che una vicenda abbia influenzato l’altra. Bologna è vicinissima, da Finale Emilia ci arrivi in tre quarti d’ora. Prima ancora dei rinvii a giudizio, una donna a cui hanno tolto la figlia si suicida gettandosi dal balcone. Nel maggio 2000, il giorno dopo la richiesta di condanna a quattordici anni, don Govoni muore di infarto nello studio del suo avvocato. Sul conto suo e degli altri, da quasi tre anni, i mezzi d’informazione locali scrivono cose di questo genere: Orrorifici cortei di venti, trenta pedofili inscenati nei vialetti della bassa modenese, per sciogliersi in orge senza limiti, per distruggere l’infanzia dei propri figli o dei figli dei propri conoscenti (la Repubblica, pagine regionali, 13/11/1998) Anche qui, come a Bologna, una parte dei cittadini si attiva in solidarietà agli imputati. Si organizzano manifestazioni, raccolte di firme e un presidio davanti al tribunale. Rispetto al caso Dimitri, l’esito giudiziario è più contrastato. Nel 2000 tutti i 15 imputati sono condannati in primo grado, ma nel 2001 la sentenza d’appello differenzia le posizioni processuali. Otto imputati sono assolti “perché il fatto non sussiste”, per altri sette la condanna è riformata: le pene sono più basse, e i fatti di cui sono ritenuti colpevoli riguardano abusi domestici, ma senza alcuna impronta rituale. Nel 2002 la cassazione conferma il giudizio d’appello e smonta la pista satanica, parlando esplicitamente di “falso ricordo collettivo”. Per contro, la cassazione annulla due delle otto assoluzioni e rinvia il giudizio alla corte d’appello di Bologna. Nel 2013, la sentenza che assolve di nuovo gli imputati ha parole durissime per gli inquirenti e, soprattutto, per chi ha interrogato i bambini. In particolare le psicologhe sono definite “oggettivamente inesperte” e il loro approccio “assolutamente censurabile (…) perché del tutto impropriamente veicola nella mente dei bambini dati e informazioni che ne possono contaminare ogni successivo racconto”.
Peggy McMartin Buckey e il figlio Raymond Buckey durante il processo People v. Buckey, noto come il caso McMartin, 1985. (Ken Lubas, Los Angeles Times via Getty Images)
Nel 2017 podcast Veleno, di Pablo Trincia e Alessia Rafanelli, riaccende i riflettori sul caso, criticando duramente le indagini dell’epoca e le modalità di interrogatorio dei bambini, intervistando ex imputati e testimoni, compresi alcuni dei piccoli testimoni di allora, oggi convinti di essere stati manipolati. Veleno getta pesanti dubbi anche sulle condanne confermate in cassazione. L’ascolto riapre le ferite e torna a smuovere le coscienze. Nonostante lo scalpore e l’introduzione di nuovi elementi, il procuratore della repubblica di Modena dichiara di non voler riaprire l’inchiesta. Per una curiosa coincidenza, nel 2017 a capo della procura c’è Lucia Musti, vent’anni prima pubblico ministero al processo di Bologna contro Marco Dimitri. Torniamo ai primi anni del nuovo secolo. Per qualche tempo il panico morale sull’Sra sembra affievolirsi, ma all’improvviso, nel 2007, riesplode con il caso della scuola Olga Rovere di Rignano Flaminio, in provincia di Roma. La vicenda è in tutto e per tutto la fotocopia del caso McMartin, ormai conosciuto anche in Italia da giornalisti, sociologi, operatori dell’infanzia. Ogni elemento coincide: la scuola materna, i sotterranei, gli educatori accusati, il pulmino che porta i bambini nei luoghi degli abusi e perfino la presenza tra gli “orchi” di un personaggio del mondo dello spettacolo: nel caso italiano, l’autore televisivo Gianfranco Scancarello, marito di una delle maestre. E proprio come nel caso McMartin, il processo si conclude con la piena assoluzione degli imputati, in tutti i gradi di giudizio. Anche in questo caso, le sentenze – l’ultima del 2014 – criticano i metodi usati per interrogare i bambini. Lo scrittore Antonio Scurati si ispira anche alla vicenda di Rignano Flaminio per scrivere un romanzo su falsi abusi e panico morale, Il bambino che sognava la fine del mondo, con il quale giunge in finale al premio Strega 2009. Il tema sembra ormai normalizzato, qualcosa di cui poter discutere con il giusto distacco, ma non c’è da illudersi. Le leggende d’odio non scompaiono. Tornano sotto il pelo dell’acqua della cultura e prima o poi riemergono. L’abuso rituale satanico tornerà, anche in Italia. Anzi, sta già tornando, seppure ibridato con altri miti, sulla scia di quanto accade negli Stati Uniti di Trump. Dove il complottismo sull’Sra ha incontrato il complottismo politico. False detectives Non è da escludere che proprio il successo di True detective possa aver favorito il collegamento tra Sra e ambienti politici. Collegamento poi diventato automatismo, quasi una sinapsi culturale. La figura di uno dei due protagonisti della serie, l’ex poliziotto Rustin “Rust” Cohle, è giocata sul cliché del conspiracy freak: la vita appartata, il garage pieno di indizi e reperti, la mappa del complotto che si compone sulla parete aggiungendo e spostando biglietti, fotografie e documenti, l’indagine fai-da-te con irruzione finale nel covo della setta. È un perturbante gioco di specchi quello tra Cohle e i detective dilettanti che incontreremo seguendo le strade di QAnon: il personaggio di finzione riflette un certo tipo antropologico, che a sua volta sembra rimodellarsi sul personaggio di finzione. Umberto Eco aveva già fatto notare che spesso le teorie del complotto sono direttamente influenzate da romanzi, film e altre opere di fiction. A questo tema dedicò il suo romanzo del 2010 Il cimitero di Praga. Non sembra un caso che nelle fantasticherie sull’Sra si registri spesso la presenza di attori famosi, o comunque personaggi del cinema o della tv: Chuck Norris nel caso McMartin, Scancarello nel caso di Rignano Flaminio e – stiamo per vederlo – Tom Hanks nella narrazione di QAnon. “Nell’affresco sono una delle figure di sfondo” La lettera “Q” sarebbe un riferimento alla “Q clearance”, descritta come un’autorizzazione ad accedere a documentazioni segretissime. In realtà la “Q clearance” è un permesso richiesto dal dipartimento dell’energia statunitense, che si occupa solo di centrali nucleari, dunque non ha attinenza con ciò che l’anonimo – o il gruppo di anonimi – racconta. A essere precisi, Q non racconta niente: manda messaggi stringati, enigmatici, che gli utenti di 4chan chiamano “briciole”, come quelle di Pollicino. Le briciole non sembrano avere alcun senso, o meglio, sono aperte a qualunque interpretazione: “Il futuro prova il passato”; “Impara a leggere la mappa”; “Il Padrino III”. Oppure acronimi e numeri: “Dnc -> (Sr 187) (Ms-13) -> Dws”, oltre al ricorrere del numero 17. Secondo QAnon, la candidatura di Trump è stata voluta dai militari per sgominare la cricca di pedofili Da quest’ultimo dettaglio deriverà una spasmodica attenzione per l’apparire del numero nei discorsi e nei tweet di Donald Trump. La Q è la 17ª lettera dell’alfabeto inglese, e qualunque uso del 17 da parte del presidente sarà interpretato come segnale di riconoscimento, o ammicco, in direzione di Q. Nell’autunno 2017, come ricostruisce la Nbc, i messaggi di Q sono ripresi e diffusi da alcuni mediattivisti di destra. È così che si sviluppa il fenomeno QAnon. Ben presto si forma una comunità di autodichiarati “fornai”, che raccolgono le briciole e ne fanno un “impasto”, cioè cercano di cogliere i riferimenti, trovano puntini da unire, forzano ogni elemento dentro uno schema in apparenza coerente. La narrazione che ne risulta è chiamata The storm, la tempesta. Il nome è ispirato a una frase che Trump ha pronunciato il 6 ottobre, mentre posava per una foto di gruppo con rappresentanti delle forze armate. “Questa è la quiete prima della tempesta”, ha detto. I giornalisti presenti gli hanno chiesto di spiegarsi, ma non l’ha fatto. Secondo alcuni era un riferimento alle tensioni con la Corea del Nord, oppure con l’Iran. Secondo la comunità di QAnon era un avvertimento alla cabal. In italiano cabal si può tradurre con “cricca”, ma in inglese ha una connotazione in più: il termine deriva dalla cabala, la tradizione esoterica ebraica, dunque – soprattutto se usato in certi contesti – evoca il sempiterno “complotto giudaico”. Secondo QAnon, una cricca di politici – in gran parte democratici, ma anche repubblicani ostili a Trump – e figure dell’establishment controlla da decenni il governo americano, dunque gran parte del pianeta, e al contempo gestisce una vasta e capillare rete di pedofili. Della cricca fanno parte Bill e Hillary Clinton, Barack e Michelle Obama, il senatore John McCain, diverse celebrità di Hollywood – il più tirato in ballo è Tom Hanks – e l’artista Marina Abramovi?. Ha un ruolo importante anche la Cemex, multinazionale messicana dei materiali da costruzione, il cui vero business sarebbe il traffico di bambini. Oltre, naturalmente, a George Soros, vera e propria figura-jolly dell’odierno complottismo. Durante gli incontri segreti della cabal si svolgerebbero, oltre alle violenze su minori, rituali di vampirismo e cannibalismo. Il 9 luglio 2016 Hillary Clinton avrebbe partecipato, a casa di Marina Abramovi?, a una cena satanica con riti a base di latte umano, sperma, sangue mestruale e sangue di maiale. Secondo QAnon, la candidatura di Trump alla Casa Bianca è stata voluta dai militari per sgominare la cricca di pedofili e salvare il paese.
Durante un comizio del presidente statunitense Donald Trump a Wilkes-Barre, Pennsylvania, il 2 agosto 2018. (Victor J. Blue, Bloomberg via Getty Images)
In Italia comincia a riprendere queste storie il cospirazionista Maurizio Blondet, in articoli poi condivisi sui social network dal futuro presidente della Rai Marcello Foa. Nell’autunno 2017 Trump e il suo entourage sono da tempo oggetto di un’indagine federale condotta dal procuratore speciale Robert Mueller. L’ex direttore dell’Fbi indaga sui presunti legami fra Trump e la Russia di Putin, e sulle possibili interferenze russe nelle elezioni statunitensi dell’anno prima. Ma secondo QAnon, questa versione è solo una copertura. Non è Trump a essere sotto inchiesta: in realtà Mueller sta investigando sui Clinton e su Obama, per conto di Trump. Quest’ultimo è un genio che sta lavorando nell’ombra e giocando – è l’espressione utilizzata più spesso – una “partita a scacchi in 4d”. La partita finirà con il “grande risveglio”, il momento in cui l’operazione di Trump colpirà la rete pedofila e i capi di quest’ultima saranno imprigionati a Guantanamo. A tale scopo, il dipartimento della giustizia avrebbe già pronti 25mila rinvii a giudizio, al momento sigillati, destinati alla dirigenza del Partito democratico e ai principali esponenti della cabal. La missione di Q è preparare al gran giorno la parte più avveduta dell’opinione pubblica. Non è chiaro perché mai Trump avrebbe autorizzato qualcuno a preavvertire i suoi nemici, per giunta su un forum come 4chan, facendo trapelare dettagli di un piano che in teoria sarebbe segretissimo. Del resto, questa – come vedremo – è la contraddizione di base di tutta la letteratura complottista. Il grande risveglio è sempre dato per imminente. Quando, il 25 agosto 2018, muore John McCain, su 8chan si ipotizza non sia davvero morto di tumore: probabilmente si è suicidato per evitare l’arresto e la prigionia a Guantanamo. Nei primi mesi del 2018, la comunità di QAnon si sposta da 4chan a 8chan, forum ancor meno moderato, talmente permissivo che sulle sue bacheche si trovano anche filmati di autopsie e immagini di pornografia infantile. In pratica, per denunciare complotti di pedofili immaginari si sceglie un forum frequentato da pedofili veri. Allo stesso tempo, QAnon colonizza zone della rete ben più visibili e accettabili: prima Reddit, poi YouTube, poi Twitter. Non solo: diversi soggetti cominciano a produrre e vendere online, soprattutto su Amazon, felpe, magliette, cappellini, tazze e vari articoli da regalo a tema QAnon. Nell’aprile 2018 viene anche lanciata l’applicazione chiamata QDrops, che consente di ricevere le “briciole” sul proprio smartphone e seguire il lavoro dei “fornai” in tempo reale. In brevissimo tempo, scala la classifica delle app più scaricate dall’App store di Apple e dal Play store di Google. QAnon si diffonde velocemente nella destra americana, in particolare nella fascia anagrafica dei boomer, gli over cinquanta. Anche le celebrità che abbracciano la causa sono boomer, come l’attrice Roseanne Barr, tanto che l’alt-right, composta in prevalenza da persone sotto i quaranta, comincia a ironizzare su QAnon in quanto teoria per “attempati”. Il 7 aprile 2018 a Washington si tiene una manifestazione a favore di QAnon. Partecipano solo 200 persone, ma è la prima uscita della teoria del complotto nel “mondo reale”, fuori dei forum di internet. Poco dopo, la fuoriuscita si trasforma in una serie di incursioni violente. Il 15 giugno, un uomo armato di fucile blocca il ponte della diga Hoover, in Nevada, mettendosi di traverso con un furgone blindato. Si chiama Matthew Wright, ha trent’anni. Prima di essere arrestato, grida frasi che rimandano a QAnon e mostra un cartello nel quale chiede alla Casa Bianca di “pubblicare l’Oig report”, il rapporto dell’ufficio dell’ispettore generale sulle email di Hillary Clinton. In realtà il rapporto è già stato pubblicato il giorno prima. Ha più di 500 pagine, ma QAnon deve averlo letto al volo, perché ha subito fatto sapere di ritenerlo un falso. Trump avrebbe in mano il rapporto autentico. Se reso pubblico, proverebbe che l’Fbi, il dipartimento della giustizia e i democratici hanno infranto la legge nel tentativo di impedire la vittoria di Trump. Eppure, per qualche motivo, Trump lo tiene nel cassetto. Negli stessi giorni, in Arizona, un’improvvisata milizia di destra esplora i dintorni dell’interstatale 19, a ridosso del confine col Messico, in cerca di “campi di pedofili”. Si fanno chiamare Veterans on patrol (Vop). Il loro capo, Michael Lewis Arthur Meyer, 39 anni, è un seguace di QAnon ed è convinto che nei dintorni vi siano luoghi dove dei bambini sono tenuti prigionieri e violentati. Luoghi di proprietà della Cemex. I Vop cercano di convincere la polizia di Tucson che un bivacco di senza dimora abbandonato su un terreno della Cemex mostra segni della presenza di bimbi in schiavitù. La polizia fa un sopralluogo, ma non trova nulla. Il 12 luglio, Meyer è arrestato per violazione di proprietà privata. In polemica con le autorità che ignoravano le sue segnalazioni, aveva occupato una torretta sul terreno “incriminato”. L’8 agosto, a Orange County, California, l’ufficio dello sceriffo arresta Forrest Clark, 51 anni, accusato di aver appiccato il grande incendio soprannominato “Fuoco sacro”, che sta divorando migliaia di ettari di boschi. “Questo posto brucerà!”, aveva annunciato Clark, noto fanatico di complotti e, da alcuni mesi, seguace di QAnon. Douglas, Wright, Meyer, Clark, e prima ancora Welch. Tutti sembrano proiezioni nella vita reale del Rust Cohle di True detective. Nel frattempo c’è stata una svolta. Il 31 luglio una folla entusiasta ha accolto Trump a Tampa, Florida, indossando magliette di QAnon e alzando cartelli con scritto “Noi siamo Q”. Hanno rubato la scena al presidente, e i giornalisti hanno parlato solo di loro. È stata la definitiva irruzione di QAnon nelle cronache nazionali e, di lì a poco, internazionali. Su 8chan, Q ha commentato: “Benvenuti nel mainstream. Sapevamo che questo giorno sarebbe arrivato”. Comincia una nuova fase. Anche molti che finora erano distratti si rendono conto che c’è un problema. La domanda è: come affrontarlo? QAnon alla Casa Bianca Se prima di Tampa il presidente poteva aver ammiccato ai “fornai” scrivendo “17” in un paio di tweet, ora gioca col complotto in modo scoperto. Il 24 agosto 2018 Trump riceve nello studio ovale Lionel Lebron, sessant’anni, conduttore radiofonico e apostolo di QAnon. Lebron pubblica subito la foto in cui appare, gongolante, in posa col suo eroe. In pratica, Trump ha accolto alla Casa Bianca un tale che accusa due suoi predecessori – Obama e Clinton – di capeggiare una setta satanica di pedofili. Accusa estesa all’intera opposizione e ad alcuni repubblicani, come il senatore John McCain, che proprio in quelle ore sta morendo. L’episodio riassume la bizzarria dell’intera vicenda. Di solito il complottismo si dice contro i “poteri forti”. La postura del complottista è quella di chi denuncia malvagità e ipocrisie del potere. In questo genere di storie è raro che il buono sia il capo del governo, figurarsi il politico più potente della Terra. Ma QAnon racconta proprio questo. “Stavolta gli eroi sono già al potere”, scrive Molly Roberts sul Washington Post, “eppure i seguaci di QAnon continuano a vedersi come vittime. Come mai, anche con il loro uomo alla Casa Bianca, si sentono così sotto attacco?”. Sul New York Times, Michelle Goldberg dà una risposta: QAnon serve a ridurre “la dissonanza cognitiva causata dal divario fra Trump come lo immaginano i suoi fedeli seguaci e Trump com’è nella realtà (…). Non ti metti a fantasticare che il tuo leader sia un genio nascosto se non ti rendi conto che agli occhi di molti sembra tutt’altro. Non ti serve una storia esoterica su come segretamente la tua parte stia vincendo, se sta vincendo davvero”. Il ceto medio bianco che ha votato Trump aveva aspettative enormi. Aspettative di rivalsa, anzi, di catarsi. Trump le ha incoraggiate in ogni modo, ma ora siamo a metà mandato e non c’è stata alcuna palingenesi o rinascita. Peggio ancora, non c’è stato nemmeno un miglioramento: nessuna misura è stata introdotta per frenare l’impoverimento del ceto medio. La conclusione ovvia sarebbe: Trump non sta facendo nulla per i suoi elettori. Ma sarebbe come ammettere di essersi illusi, di aver creduto a diversivi: la sicurezza, gli immigrati, il muro al confine con il Messico… Credere a QAnon aiuta a non sentirsi traditi e truffati: sembra che Trump non stia facendo nulla per i suoi elettori; in realtà, combatte una battaglia segreta contro i pedofili che hanno in mano il pianeta. Ma il nazionalismo degli elettori di Trump che gridano “Make America great again!” è inconciliabile con lo scenario dell’inchiesta Mueller. Il presidente indagato per aiuti che avrebbe ricevuto dalla Russia di Putin? Inimmaginabile. QAnon risolve anche questo dilemma: sostenendo che il compito di Mueller non è indagare Trump ma colpire la cricca dei pedofili satanisti, restituisce al presidente il suo alone di patriota. Genio, paladino della libertà, difensore dei bambini, salvatore dell’America e del mondo… Come potrebbe Trump non sentirsi lusingato? Forse per questo non prende mai le distanze, anzi, cavalca l’onda. Ormai la curiosità per QAnon è alle stelle ed escono articoli in tutto il mondo. Ogni riga scritta su 8chan e Reddit finisce sotto i riflettori e si riattiva un circolo vizioso, quello tipico del rapporto tra giornalismo mainstream e complottisti. Lo fa notare Paul Musgrave sul Washington Post: “QAnon e altri fenomeni simili sono largamente amplificati dai mezzi di informazione. Negli ultimi anni (…) abbiamo imparato molto su come le comunità di internet possano manipolare l’attenzione pubblica per sembrare più grandi e potenti di quanto siano”. Su The Guardian, Whitney Phillips rincara la dose: “Tante reazioni giornalistiche alle tattiche di manipolazione mediatica adottate dai troll sono rimaste uguali nel tempo. Di fatto, la copertura giornalistica ha incentivato proprio i comportamenti che condanna. In questo modo, garantisce che le medesime tattiche saranno usate anche in futuro, perché si sono dimostrate efficaci”. Eppure alcune di quelle tattiche si sono dimostrate efficaci anche per smontare il complottismo e disinnescare il panico morale. È accaduto in Italia, e forse da quella storia si potrebbero trarre utili indicazioni. Luther Blissett project Per rispondere, bisogna tornare al 1994. A partire da quell’anno, centinaia di attivisti, artisti e agitatori culturali adottano lo pseudonimo Luther Blissett per firmare opere, performance e azioni di vario genere. È un gioco di ruolo dal vivo, e durerà cinque anni. Consiste nel creare la reputazione di un provocatore immaginario, un personaggio mitico a metà tra il “bandito sociale” e il “trickster”. Per ragioni che non saranno mai chiarite si sceglie il nome di un ex calciatore inglese, transitato nel Milan per una sola stagione, nel 1983-1984, poco prima dell’era Berlusconi. Luther Blissett agisce in diversi paesi, ma il fenomeno si radica soprattutto in Italia, dove opera una rete di collettivi, il Luther Blissett project (Lbp), i cui nodi principali sono a Bologna e a Roma. In breve tempo, l’Lbp diventa noto per alcune beffe molto elaborate ai danni dei mezzi di informazione. Spesso chi critica il complottismo arriva a sostenere che i complotti non esistono Nel dicembre 1994 una troupe della trasmissione Chi l’ha visto? cerca, tra Friuli Venezia Giulia e Regno Unito, l’illusionista inglese Harry Kipper, scomparso mentre girava l’Europa in bicicletta per tracciare sulla mappa la parola “ART”. È sparito lungo l’asta verticale della T, al confine tra Italia e Slovenia. Storia intrigante, ma falsa in ogni dettaglio, perché Kipper non esiste. Nel 1998 il mondo dell’arte si appassiona alle opere e alla biografia di Darko Maver, artista serbo inventato di sana pianta, del quale Blissett simulerà perfino la morte in un carcere di Podgorica, sotto i bombardamenti aerei della Nato. Sono solo due esempi tra i molti possibili. Ogni volta Blissett rivendica, spiegando quali difetti del sistema dell’informazione e quali automatismi culturali ha sfruttato per diffondere le false notizie. La spiegazione è sempre il momento più importante. Le beffe puntano ad attirare l’attenzione su temi sensibili e sui modi in cui i mezzi di informazione ne parlano. Per questo, quando anche in Italia monta il panico morale su pedofilia e satanismo, l’Lbp si chiede come sgonfiarlo. Una delle prime mosse è procurarsi il libro di Debbie Nathan e Michael Snedeker Satan’s silence. Ritual abuse and the making of a modern american witch hunt, uscito negli Stati Uniti nel 1995. Gli autori ricostruiscono la genealogia dell’abuso rituale satanico (Sra), denunciano la terapia della memoria recuperata, mettono in fila casi di falso ricordo e forniscono elementi per riaprire diverse inchieste. Nel gennaio 1996, l’arresto dei Bambini di Satana è l’occasione per agire. La tarantella dei satanisti La beffa più complessa – in realtà un insieme di beffe concatenate – si svolge a Viterbo. Comincia nel febbraio 1996 ma sarà rivendicata solo a marzo dell’anno dopo. A leggere i giornali di quei mesi, Viterbo sembra assediata dal Maligno e i boschi dei dintorni affollati di satanisti. I giornali pubblicano più volte i comunicati di un gruppo di anonimi vigilantes cattofascisti – il Comitato per la salvaguardia della morale (Cosamo) – impegnato a interrompere messe nere e riempire i satanisti di legnate. Niente di tutto questo esiste: Blissett spaccia ai giornali dicerie, falsi comunicati e immagini sfocate, materiale ripreso e pubblicato senza alcuna verifica. Dopo un anno, i satanisti viterbesi passano dalle cronache cittadine a quelle nazionali. L’8 febbraio 1997 Studio Aperto, telegiornale di Italia 1, trasmette un video proveniente dal Cosamo. È un rituale filmato di nascosto. La scena è a lume di candela, si distinguono appena sagome di personaggi incappucciati, chini sulle ginocchia e intenti a pronunciare strane formule. Si sente gridare una ragazza… poi la ripresa si interrompe. Blissett spedisce la sequenza completa alla Rai, che la manda in onda il 2 marzo durante Tv7, settimanale di approfondimento del Tg1. Nella parte non inviata a Studio Aperto, gli incappucciati si alzano, qualcuno fa partire una tarantella e tutti, compresa la ragazza, si mettono a ballare. Su la Repubblica, Loredana Lipperini scriverà un resoconto dell’intera beffa. Nel frattempo, una beffa meno complessa ma molto efficace è avvenuta a Bologna a spese del Resto del Carlino. È il 2 agosto 1996 e il cronista Biagio Marsiglia rientra dalle vacanze. In redazione trova una busta arrivata settimane prima e indirizzata proprio a lui. Dentro c’è la ricevuta di un deposito bagagli, accompagnata da un messaggio scritto coi titoli di giornale: “Ritira la borsa alla stazione. Riguarda i Bambini di Satana. Importante”. Marsiglia corre alla stazione. Per ritirare la borsa, che è lì da un mese, deve pagare 295mila lire. Quando la apre, trasecola. Contiene un teschio, altre ossa umane e due fogli: un comunicato del Cosamo, sigla già nota a Viterbo ma non a Bologna, e la fotocopia di un articolo del Corriere di Viterbo intitolato: “Cacciatori di satanisti”. Il comunicato dice: Reperto: teschio e ossa umane trafugati durante il famoso rito prima del loro arrivo. Doveva essere usato per il bambino. Più cose tra l’Appennino e la bassa di quante ne contengano le tue cronache. C’è anche una pista viterbese. Con la presente avvisiamo il pubblico della nostra presenza in città (…). Sul Carlino del giorno dopo appare un articolo con foto a colori dei reperti e il titolo: “Entrano in scena i ‘cacciatori di Satana’ . Un misterioso comitato fa ritrovare al Carlino un teschio, ossa e lettere. Il lugubre fardello era sistemato in uno zainetto. Si tratta di resti sottratti alla setta di Marco Dimitri?”. Mentre il cronista era in ferie, l’Lbp ha scritto una “rivendicazione preventiva”. È uscita su Zic il 12 luglio col titolo “Un teschio per il Carlino” e raccontava in anticipo quel che sarebbe accaduto. È il principio della predizione in busta sigillata, molto usata dai prestigiatori, ed è la prova che si tratta di una beffa. Teschio e ossa sono autentici, ma hanno più di cent’anni e vengono da un ripostiglio dell’università di Bologna. Un comunicato alle agenzie stampa sottolinea la figuraccia del Carlino e annuncia l’inizio dell’inchiesta a puntate. Incuriositi, si fanno vivi diversi giornalisti. Blissett consegna loro fotocopie diSatan’s silence e altri materiali. Il Carlino fa finta di nulla, insiste col sensazionalismo e continua a trattare gli imputati da colpevoli, ma altri due giornali – la Repubblica e Mattina, supplemento locale dell’Unità – adottano una linea più scettica. Dubbi sulle accuse ai Bambini di Satana arrivano dal mondo della cultura: prendono posizione scrittori come Carlo Lucarelli ed Enrico Brizzi. La mossa più spiazzante la faranno i centri sociali occupati, accogliendo i Bambini di Satana nel loro coordinamento cittadino 2001, odissea negli spazi. Il clima intorno al processo è mutato, gli imputati non sono più solo “mostri” e i loro avvocati possono lavorare con meno pressione addosso. L’impianto accusatorio va in pezzi. I Bambini di Satana sono assolti. Nell’autunno 1997 esce il libro di Luther Blissett sul caso, Lasciate che i bimbi. “Pedofilia”, un pretesto per la caccia alle streghe. Lucia Musti, pubblico ministero al processo, legge e rileva “inciviltà della forma espressiva e abuso del diritto di critica”. Si ritiene diffamata da espressioni come “personaggio assetato di protagonismo e luci della ribalta”, e intenta una causa civile. Le sue richieste? Ritiro del libro dal commercio, distruzione di tutte le copie e un miliardo di lire a risarcimento dei danni morali e materiali. L’atto di citazione si può leggere nelt erzo numero della rivista Quaderni rossi di Luther Blissett (gennaio 1999), interamente dedicato alla nuova vicenda giudiziaria. L’azione legale di Musti inaugura un lungo strascico della campagna sui Bambini di Satana e impedisce all’Lbp di intervenire come vorrebbe nel caso dei “diavoli della bassa”, del quale aveva cominciato a occuparsi. Il tribunale accoglie le richieste di Musti – seppure ridimensionandole a 80 milioni di lire – ma la sentenza arriva a tiratura del libro esaurita e dopo il fallimento dell’editore. Nessuna copia da sequestrare, niente soldi per il risarcimento. Tra i condannati c’è anche il firmatario del contratto per conto del Luther Blissett project. Molti anni dopo, quel firmatario scriverà il testo che state leggendo. L’occhio di Carafa nell’America di Trump Q si svolge tra il 1517, anno in cui Lutero inchioda le sue 95 tesi al portone della cattedrale di Wittenberg, e il 1555, anno della “pace di Augusta” che pone fine a un trentennio di guerre di religione. Il romanzo racconta un lungo duello a distanza tra un eretico sovversivo dai molti nomi e un agente provocatore papista. Quest’ultimo infiltra i movimenti radicali dell’epoca e diffonde notizie false inviando lettere firmate con il nome biblico Qohelet (in ebraico, il “radunante”). Qohelet allude a una sua vicinanza al potere, a informazioni preziose alle quali può accedere: “Già ho avuto modo di illustrarVi come le mie orecchie avrebbero potuto aiutarVi, data la loro prossimità a certe porte che celano intrighi”, scrive al predicatore Thomas Müntzer, guida spirituale dell’insurrezione contadina scoppiata in Svevia nel 1524. Le missive di Qohelet convincono gli insorti a radunarsi a Frankenhausen, in Turingia, dove cadono in una trappola mortale. La rivolta è sconfitta, ma altre seguiranno: il protagonista del romanzo vi prenderà parte, e Qohelet sarà lì a sabotarle. E a fare rapporto al suo superiore, in dispacci firmati Q. Il capo di Q è l’arcivescovo Gian Pietro Carafa, che nel corso del libro diventa cardinale, capo dell’inquisizione romana e infine papa col nome di Paolo IV. La carriera di Q segue la sua: dopo un’ultima missione nell’Europa del nord, la più pericolosa, l’agente è chiamato in Italia. Più vicino al potere, ma in posizione defilata. “Nell’affresco sono una delle figure di sfondo”, dice la prima riga del suo diario. È il 1545. L’Italia sarà il luogo della resa dei conti tra i due avversari. Mentre termina il quinquennio blissettiano e gli autori di Q fondano Wu Ming, il romanzo è tradotto e pubblicato in quasi tutta l’Europa, in buona parte dell’America Latina, in Russia, in Turchia, in Giappone, in Corea del Sud. E negli Stati Uniti, dove esce nel 2004. Lì è apprezzato in alcune nicchie, ma resterà poco noto. Per questo i giornalisti americani, seguendo le briciole di QAnon, tarderanno a fare il collegamento. Non solo saltano all’occhio le somiglianze tra il Q del romanzo e il Q di 4chan, ma c’è una forte eco tra QAnon e le beffe di Luther Blissett sul satanismo. Se sono coincidenze, sono tante e fanno impressione. Ci informiamo e scriviamo brevi commenti su Twitter. Il primo è del 12 giugno 2018. Prende corpo l’ipotesi che faremo in interviste e conferenze: forse chi ha creato QAnon aveva in mente il nostro romanzo e le nostre beffe, e voleva prendersi gioco della credulità dei sostenitori di Trump. Presto, però, la beffa è sfuggita di mano e ha acquisito vita propria, coi risultati che vediamo. Ormai è andata troppo avanti nella direzione sbagliata e non è più rivendicabile: chi ammetterebbe di avere avviato, per sventatezza, un gioco di ruolo fascista che scatena pazzoidi armati?
Se davvero QAnon è partito come beffa, ha fatto lo stesso percorso del Piano concepito da Belbo, Diotallevi e Casaubon, i protagonisti di un altro romanzo, uscito nell’ottobre del 1988. Lo ha scritto Umberto Eco, si intitola Il pendolo di Foucault. “Non si prosegua l’azione secondo un Piano” Dopo la stagione dell’impegno politico, negli anni ottanta l’Italia è in pieno “riflusso”. Molti che hanno sventolato il libretto rosso di Mao ora si interessano alla new age, a dottrine spirituali o a filosofie esoteriche. Milano pullula di psicoterapeuti-santoni, sedicenti alchimisti, circoli rosacrociani eccetera. È un mercato appetibile, e un giorno i tre redattori della Garamond ricevono l’incarico di trovare titoli per due collane dedicate a occultismo, esoterismo, complottismo. Una – Iside Svelata – a pagamento, l’altra – Hermetica – dal taglio più “scientifico”. Belbo, Diotallevi e Casaubon si trovano sepolti nel ciarpame. Devono fronteggiare un’invasione di dattiloscritti che rimasticano le stesse teorie paranoiche sui templari, i Rosacroce, i massoni e gli ebrei. Nel gergo della casa editrice, gli autori di quei testi sono chiamati “i diabolici”. Il pendolo di Foucault non è una parodia del complottismo, ma un apologo su quanto sia vano tentare la via della parodia Per noia e frustrazione, i tre decidono di fare un gioco, o meglio, un esperimento: imitare la logica fallace dei diabolici, intrecciare tutte le teorie del complotto esistenti e produrne una che spieghi l’intera storia del mondo. È la nascita del Piano. Solo che si fanno prendere dal gioco, fino a smarrirsi nel labirinto. E succede di peggio: in una reazione a catena di equivoci, il Piano diventa vero. O meglio, è creduto vero negli ambienti dei diabolici, con conseguenze tragiche. Il romanzo comincia a disastro già in corso. Casaubon, l’io narrante, ricostruisce la discesa nell’abisso, mano a mano che gli intenti critici della burla evaporavano e l’ironia lasciava il posto ad altro. “Quando ci scambiavamo le risultanze del nostro fantasticare”, ricorda, “ci sembrava, e giustamente, di procedere per associazioni indebite, cortocircuiti straordinari, a cui ci saremmo vergognati di prestar fede – se ce lo avessero imputato. È che ci confortava l’intesa – ormai tacita, come impone l’etichetta dell’ironia – che stavamo parodiando la logica degli altri. Ma (…) il nostro cervello si abituava a collegare, collegare, collegare ogni cosa a qualsiasi altra cosa (…). Credo non ci sia più differenza, a un certo punto, tra abituarsi a fingere di credere e abituarsi a credere”. Il pendolo di Foucault non è una parodia del complottismo, ma un apologo su quanto sia vano, e controproducente, tentare la via della parodia. La satira su questi temi può far ridere chi è già scettico, ma per chi vede complotti ovunque non esistono interpretazioni “eccessive”. Non c’è quasi nulla che non possa essere creduto. Sbrogliare la matassa di QAnon è anche un modo per celebrare il trentennale del romanzo di Eco. “Una beffa di sinistra” Scrivono di questa ipotesi Artnet, Quartz, Spin, Motherboard, Alternet,Süddeutsche Zeitung, L’Humanité, la Repubblica, Telepolis e altri mezzi di informazione. Intervista Wu Ming anche Henry Jenkins, forse il più importante studioso di cultura pop e comunità digitali. Uno “strillo” sulla pagina Facebook di Artnet dice: “All’improvviso la storia di Luther Blissett, il movimento italiano di sabotatori dell’informazione, è diventata importante per il dibattito politico in America”. La parola prank (beffa) è stata pronunciata, e ha modificato la cornice di senso dentro cui si analizza QAnon. Anche la destra tradizionale, che finora aveva esitato o snobbato i complottisti, prende le distanze da QAnon con decisione. Sul sito conservatore The Federalist Georgi Boorman scrive: La mitologia di Q è estrema e iperbolica, va molto oltre quella che in contesti più umoristici sarebbe ritenuta satira. Ecco perché si è ipotizzato che Q non sia affatto di destra, bensì qualcuno di sinistra che sta provocando (trolling) la destra. Alcuni forum trumpisti, come il sub-reddit The_Donald, recepiscono il messaggio e proibiscono riferimenti a QAnon nelle discussioni, lamentando che questa storia li sta facendo sembrare “un branco di idioti”. Branco di cui, evidentemente, fa parte “The Donald” in persona, che dopo pochi giorni riceve Lionel Lebron nello studio ovale. Complotti veri e immaginari I complotti sono sempre esistiti, esistono ed esisteranno. Un complotto consiste semplicemente in più persone che si mettono d’accordo in segreto per agire contro qualcun altro. Nel codice penale esistono i reati associativi, che sono reati di complotto. Ma in questa inchiesta parliamo di una precisa tipologia di complotto: quello politico o politico-criminale. Come distinguere quelli veri? Di solito i veri complotti politici: a) hanno un fine preciso; b) coinvolgono un numero di attori limitato; c) sono messi in pratica in modo imperfetto, perché la realtà è imperfetta; d) finiscono una volta scoperti e denunciati, cosa che solitamente avviene dopo un periodo piuttosto breve, anche se gli effetti possono persistere a lungo; e) sono inseriti nel loro contesto storico e inseparabilmente legati a esso. Smontare le teorie del complotto è facile. Il difficile è convincere chi ci crede a non crederci più Corrisponde a questa descrizione il complotto politico per antonomasia, il Watergate, che ha donato un suffisso a molti dei successivi: Irangate, Gamergate, Pizzagate, Pedogate, una lista lunghissima. Quel complotto: a) aveva un fine preciso: spiare i nemici di Richard Nixon e sabotarne le attività; b) coinvolgeva una cerchia ristretta di collaboratori di Nixon – passati alla storia come “i sette del Watergate” – e una squadra di guastatori soprannominati “gli idraulici”, dediti al cosiddetto ratfucking (fottere i ratti, cioè creare problemi ai Democratici); c) fu attuato in maniera confusa e maldestra, tanto che gli idraulici furono sorpresi mentre nascondevano microfoni nella sede del Partito democratico al Watergate hotel di Washington; d) fu scoperto e indagato dopo poco più di un anno, nel giugno 1972, e anche se Nixon si dimise solo nel 1974, il ratfucking cessò subito; e) ha definito un’epoca della storia americana: ricordare il Watergate equivale a ricordare gli Stati Uniti degli anni settanta. Se restiamo in quel decennio ma ci spostiamo in Italia, vediamo che i principali complotti politici dell’epoca furono portati avanti – con molte pecche e sbavature – da un numero considerevole ma comunque limitato di persone in seguito identificate, indagate, il più delle volte processate. Terroristi, infiltrati, agenti segreti, faccendieri, piduisti… Di quasi tutti conosciamo nomi e cognomi. Nonostante si insista più spesso sui “misteri” che sulla conoscenza accumulata negli anni, di quei complotti sappiamo molto. Spesso furono investigati e denunciati in tempo reale: il complotto per incolpare gli anarchici della strage di piazza Fontana fu compreso e denunciato quasi subito nella controinchiesta La strage di stato. La “strategia della tensione” durò una quindicina d’anni e terminò insieme alla fase storica di cui era parte. I suoi fini – anticomunisti, antisindacali, reazionari – sono stati individuati con buona approssimazione. Molti responsabili non hanno pagato, ma la verità storica è in gran parte acquisita. Il complottismo, invece, rovescia ogni caratteristica dei complotti reali. Qui i complotti: a) hanno il fine più vasto immaginabile: dominare, conquistare o distruggere il mondo; b) coinvolgono un numero di attori potenzialmente illimitato, che cresce a ogni resoconto, dato che chiunque neghi l’esistenza di un complotto è immediatamente denunciato come complice; c) il loro presunto svolgimento è coerentissimo, perfetto, tutto figura attuato secondo i piani e nel minimo dettaglio; d) proseguono anche se descritti e denunciati in innumerevoli libri, articoli e documentari; e) durano indefinitamente: alcuni sono in corso da decenni, perfino secoli. Il complotto templare, a sentire chi ci crede, dura da ottocento anni, trascende ogni epoca e contesto storico. In fondo smontare le teorie del complotto è facile, basta isolarne le caratteristiche. Il difficile è convincere chi ci crede a non crederci più. Cosa non va nel debunking? Da alcuni anni c’è molta attenzione per il debunking, sempre più persone lo praticano e si tengono anche dei corsi, eppure le teorie del complotto già smontate continuano a circolare e intanto ne nascono di nuove, che si diffondono rapidamente. Perché? I teorici del complotto lavorano sullo stupore, sulla fascinazione, sui punti di vista inconsueti. Nel fare questo, intercettano e soddisfano bisogni autentici: nelle nostre vite abbiamo bisogno di sorpresa, meraviglia, nuove angolature da cui guardare il mondo e sentirci diversi. I teorici del complotto forniscono tutto ciò e fanno sentire speciali i loro seguaci. Non a caso usano la metafora della “pillola rossa” tratta dal film Matrix: prendere la pillola rossa significa scoprire la verità sul complotto e vedere finalmente la griglia nascosta della realtà. Al contrario, i debunker hanno spesso la postura del guastafeste, di chi fa scoppiare il palloncino con uno spillo. Tanto più se si fanno forti di un’autorità politica, giornalistica o accademica, e trattano gli interlocutori da sprovveduti. Riferendosi al dibattito italiano sui vaccini, il divulgatore scientifico Andrea Capocci ha parlato di “approccio muscolare e tecnocratico” al debunking, atteggiamento che “piace molto ai media ma non sposta nulla”. L’attacco frontale del debunker al suo interlocutore produce scintille, fa spettacolo, soprattutto se condito da epiteti come “ignorante” o “asino”, ma anziché convincere genera risentimento. L’interlocutore si irrigidisce nella posizione che sente “alternativa”, così il debunker passa per mero difensore dello stato delle cose e ottiene il risultato opposto a quello desiderato. Il paradosso è che a difendere lo stato delle cose sono proprio le teorie complottiste. Nell’aprile del 2018 la rivista scientifica Political Psychology ha pubblicato uno studio dal titolo Blaming a few bad apples to save a threatened barrel: the system-justifying function of conspiracy theories (Incolpare poche mele marce per salvare un cesto in pericolo: la funzione delle teorie del complotto è giustificare il sistema). Gli autori spiegano che le teorie del complotto, anche se “rappresentate come alternative e sovversive nei confronti delle narrazioni dominanti”, in realtà “possono rafforzare, anziché minare, il sostegno allo stato delle cose quando la sua legittimità sia minacciata”. Chi crede alle teorie del complotto tende ad accusare piccoli gruppi di cattivi, anziché cercare cause sistemiche. “Imputando tragedie, disastri e problemi sociali all’agire di pochi malvagi,” dice lo studio, “le teorie del complotto possono distogliere l’attenzione dai difetti intrinseci ai sistemi sociali”. Potremmo definire le teorie del complotto “narrazioni diversive”. Il complottismo parte da problemi reali, ma ingigantisce dettagli, ne dà interpretazioni distorte e addita capri espiatori, dunque distoglie dal lavoro per risolvere i problemi reali. Per usare una metafora da elettricisti, il complottismo è la “messa a terra” del capitalismo: disperde in basso le energie e impedisce che le persone siano “folgorate” dalla consapevolezza che il sistema non funziona. Il disastro climatico – come spiega anche Naomi Klein nel suo Una rivoluzione ci salverà. Perché il capitalismo non è sostenibile – ci mette di fronte all’urgenza di cambiare modo di produzione, ma molte energie necessarie al cambiamento sono intercettate e deviate da teorie sulla forma del pianeta (terrapiattismo), sul rilascio nell’atmosfera di agenti psicoattivi (scie chimiche) o sull’immigrazione come grande complotto. Sì, l’immigrazione. Il disastro climatico influenza i nuovi spostamenti di massa dall’Africa, dal Medio Oriente, dall’Asia, dall’America Latina. Siccità, caldo estremo, alluvioni e uragani rendono vaste parti del pianeta inabitabili o quasi, lacerano il tessuto sociale, contribuiscono a scatenare guerre. Anche la guerra in Siria ha importanti concause climatiche. Tutto questo spinge le persone ad andarsene, e la situazione è destinata a peggiorare. Ma in Italia e in buona parte d’Europa ha preso piede una narrazione diversiva indicata come “sostituzione di popoli”, “sostituzione etnica” o “piano Kalergi”. Si tratterebbe di un piano per popolare l’Europa e l’occidente di neri, musulmani e vari soggetti che minacciano “le nostre radici” o tout court “la nostra razza”. E chi è il burattinaio, l’uomo che muove le migrazioni mondiali? Naturalmente George Soros. Perché faticare con la critica dell’economia politica e con la climatologia, quando la spiegazione è così semplice? Servono pratiche di debunking che riconoscano i bisogni intercettati dal complottismo e affrontino il nucleo di verità senza il quale nessuna teoria del complotto potrebbe funzionare. Mostrare la sutura Finora abbiamo chiamato gli illusionisti solo per la parte distruttiva. È tempo di lavorare sulla parte costruttiva: come fare debunking in modo nuovo? Nell’illusionismo contemporaneo si sperimentano pratiche di “autodebunking”, cioè modi di rivelare il trucco dietro un numero di magia senza rovinarne l’incanto, anzi, amplificando il senso di meraviglia, ma spostandolo su un piano di maggiore consapevolezza: dal semplice stupore per l’effetto al più complesso stupore per le tecniche utilizzate e il grande impegno necessario a far riuscire il trucco. Mariano Tomatis suggerisce di prendere esempio dal duo americano Penn & Teller: “In due numeri davvero sorprendenti – Il gioco dei tre bussolotti e L’uomo tagliato in tre – (Penn e Teller) svelano senza scrupoli il trucco utilizzato: contro ogni aspettativa, ciò non minaccia in alcun modo lo stupore dell’esibizione. Nella prima parte del numero l’appello è all’emozione e all’irrazionalità; la seconda invoca un piacere di segno opposto (…) che nasce dall’apprezzamento dei tecnicismi dietro la magia – quella ‘sutura’ che nella prima parte non si scorgeva”. L’ultima frase si riferisce all’espressione “mostrare la sutura”, usata sul blog Giap per descrivere sia le rivendicazioni delle beffe blissettiane sia l’uso di “titoli di coda” in alcuni libri di non-fiction creativa. In un altro numero di Penn & Teller, uno dei due si mette al volante di un camion pieno di blocchi di cemento armato, passa sul corpo dell’altro lasciandolo incolume e poi spiega il trucco, suscitando nel pubblico ancora più entusiasmo. L’intervento di Wu Ming nel dibattito su QAnon è stato un tentativo di indebolire la teoria del complotto mostrandone la “sutura”, cioè le coincidenze con le beffe e il romanzo di Luther Blissett, e al tempo stesso mantenere il senso di meraviglia, grazie all’evocazione dello spirito di Luther Blissett. Tentativo solo in parte riuscito. Il problema del complottismo non si risolve con l’intervento tattico di un piccolo gruppo di sperimentatori, ma con strategie messe a punto e attuate dal maggior numero auspicabile di persone. Da un movimento di massa. Oltre QAnon Il 21 agosto 2018 due importanti collaboratori di Trump – il suo ex avvocato Michael Cohen e l’ex responsabile della campagna elettorale Paul Manafort – sono riconosciuti colpevoli di reati collegati all’elezione del presidente e alla sua amministrazione, in processi contigui all’inchiesta Mueller, che ora si avvicina al presidente. In un’altra situazione, la base di Trump avrebbe protestato e manifestato contro la tempesta giudiziaria che stava per colpire il suo capo. Invece, una parte – minoritaria ma significativa – di quella base ha trascorso l’ultimo anno vaneggiando di pedofili e cene sataniche. Erano convinti che le inchieste non fossero vere, e ora non sanno cosa pensare. Per la prima volta la fiducia in QAnon vacilla. QAnon ha distratto una parte della destra americana in un momento cruciale, e screditato una grossa fetta di sostenitori di Trump. Si potrebbe azzardare che, in fondo, qualcosa dell’intento originario della beffa sia rimasto. Ma anche se fosse, l’esito non compenserebbe i danni fatti. Aizzare con leggende d’odio milioni di persone non può essere la via da seguire. Una verifica fatta con Google Trends il 21 ottobre 2018 mostra che, dopo il picco d’agosto, l’interesse per QAnon è sceso ai livelli pre-estivi. Anche le “briciole” di Q arrivano su 8chan sempre più di rado, con lunghi intervalli tra una e l’altra. Il 24 ottobre il secret service (l’ente che si occupa della sicurezza di presidenti ed ex presidenti) e le forze dell’ordine intercettano alcuni pacchi bomba – ordigni molto rudimentali – indirizzati a George Soros, Hillary Clinton, Barack Obama e altri personaggi solitamente presi di mira da Trump, dalla destra e, con la torsione estrema che abbiamo visto, da QAnon. Uno dei destinatari è l’attore Robert De Niro, molto odiato dai sostenitori di Trump. Pochi minuti dopo le prime notizie, i seguaci di QAnon sono già sulla difensiva. È un false flag, dicono, un’operazione “sotto falsa bandiera”: Clinton e gli altri si sono spediti gli ordigni da soli. Si imbastisce, ma con meno verve del solito, l’ennesimasottoteoria del complotto. Le bombe sono una manovra dei pedofili per incolpare Trump e favorire i Democratici alle elezioni di metà mandato. E così, dopo quasi un mese di riflettori spenti, i mezzi di informazione tornano a menzionare QAnon, in articoli su come le destre stanno commentando i pacchi-bomba. Dopo anni trascorsi a descrivere i propri nemici politici come capi di un’organizzazione satanica che tiene bambini in schiavitù e li violenta, si trova – o si finge di trovare – inverosimile che qualcuno possa decidere di passare all’azione e colpire quei nemici. Il 26 ottobre l'Fbi arresta Cesar Altieri Sayoc, 56 anni, di Aventura, Florida. Sayoc è un fanatico sostenitore di Trump, ma per la comunità di QAnon è un attore, l’arresto è finto ed è parte dell’operazione false flag. In generale, l’impressione è di stanchezza. Forse il gioco sta logorando i giocatori. Alla fine del ventesimo secolo il panico morale sull’Sra era scemato, ma la leggenda non era svanita: ai margini dell’attenzione pubblica si era trasformata per poi tornare in scena, nell’America di Trump, come “scena primaria” del Pizzagate e di QAnon. Ora anche QAnon sembra aver perso presa, ma non svanirà, e i suoi elementi continuano a ricombinarsi. Presto o tardi appariranno in nuove forme. E se la storia dell’Sra insegna qualcosa e alcuni segnali dei mesi scorsi non sono fuochi fatui, potrebbe accadere anche da noi. Il 18 settembre a Trieste il consigliere comunale Fabio Tuiach – ex Lega, ora Forza nuova – ha presentato una mozione contro l’artista Marina Abramoviç, definendola “nota satanista”. Lo abbiamo visto nella prima puntata: è una diceria nata col Pizzagate, inglobata in QAnon, portata in Italia dal cospirazionista Maurizio Blondet, diffusa sui social dal nuovo presidente della Rai Marcello Foa e ripresa su Libero. Alla fiera dell’ovest, per due soldi, la destra italiana una bufala comprò. grazie a: https://www.internazionale.it/ |