Tecnicamente sono «poveri che lavorano». E spesso lavorano molto, giornate che non sembrano finire mai e che lasciano in tasca pochi spiccioli. Un miliardo e quattrocento milioni di lavoratori nel mondo vivono con meno di due dollari al giorno, e circa un terzo di loro - 550 milioni - non arriva ad un dollaro, la soglia nera della povertà estrema. E quanto emerge dall’ultimo rapporto dell’Ilo, International Labour Organization, sullo stato dell’occupazione nel mondo. Un quadro con molte ombre: mai come oggi la forza lavoro globale è stata tanto estesa, 2,8 miliardi di persone nel 2003, ma un lavoratore su due vive in miseria. Il lavoro, quindi, da solo non basta a ridurre la povertà nel pianeta. «Donne e uomini di tutto il mondo aspettano una giusta opportunità di avere un lavoro decente. - dice Juan Somavia, direttore generale dell’agenzia Onu - Creare posti di lavoro migliori e più numerosi deve essere una priorità nello sforzo globale per ridurre la povertà». Di strada da fare ce n’è molta. Dati alla mano risulta che il tasso di disoccupazione globale è del 6,3% - 185,9 milioni in cifre assolute - ma il divario tra il nord e il sud del mondo rimane inalterato, con la sola eccezione dell’Asia, in particolare dell’Est e del Sud, che in quest’ultimo decennio ha compiuto un grosso passo avanti e che con i suoi successi ha spinto significativamente il barometro globale verso un miglioramento. Se infatti nel 1990 i lavoratori che vivevano con meno di 2 dollari al giorno erano il 57,2 per cento, nel 2003 questo dato si è ridimensionato scendendo al 49,7%. Cifre che celano grandi disparità tra una regione e l’altra del pianeta: il segno positivo si è concentrato soprattutto in Asia e particolarmente nel quadrante meridionale, dove la popolazione con un reddito giornaliero di due dollari è passata dal 79,1% nel ‘90 al 49,2 nel 2003. Molto più contenuto è stato il miglioramento in Nord Africa e Medio Oriente (dal 33,9% al 30,4), del tutto irrilevante nell’Africa Subsahariana, dove in 13 anni il segno positivo ha coinvolto solo lo 0,1% della forza lavoro: dall’89,1% all’89. E con previsioni per il futuro assai poco incoraggianti e decisamente lontane dagli obiettivi del Millennio, che prevedevano per il 2015 il dimezzamento del numero delle persone minacciate dalla fame. Per il prossimo decennio l’Ilo prevede che sarà possibile comunque tagliare a metà la percentuale dei lavoratori che vivono con meno di un dollaro al giorno. Ad un tasso di crescita del Pil calcolato intorno al 4,7% - inferiore al 5% previsto per il periodo 95-05 - sarà possibile centrare l’obiettivo per il 2015, anche se con sensibili differenze nelle diverse regioni del mondo: ce la faranno la Cina, il Sud e il Sud-est asiatico. Potrebbero farcerla anche il Medio Oriente, il Nord Africa e le economie in transizione. Secondo l’Ilo resteranno fuori l’America Latina e Caraibica, mentre è fin da ora irrimediabilmente esclusa l’Africa sub-sahariana. Più difficile sarà centrare l’obiettivo di ridimensionare la percentuale dei lavoratori che oggi possono contare su 2 dollari al giorno: solo l’Est asiatico, stando alle stime Ilo, ha una realistica possibilità di farcela. La ricetta per ridurre la povertà secondo l’organizzazione Onu passa attraverso un incremento della produttività accompagnata da politiche che garantiscano i livelli di occupazione. È un processo che va gestito - il rapporto ricorda il caso degli Stati Uniti che negli ultimi dieci anni hanno visto aumentare Pil e produttività, ma non l’occupazione, che semmai è in flessione. Quindi, più occupazione e più produttività, ma perché questo binomio sia possibile è necessario che i governi garantiscano ai lavoratori sicurezza sociale e formazione: la possibilità di convertirsi ad altri settori, fluttuando sul mercato del lavoro, per evitare che i benefici si limitino alle sole imprese. Il rapporto Ilo segnala anche la necessità di prestare maggiore attenzione alla situazione dei lavoratori agricoli, che attualmente rappresentano il 40 per cento nei paesi in via di sviluppo. Partire dalle campagne è essenziale per combattere fame e miseria. «La chiave per ridurre il numero dei lavoratori poveri è nel creare opportunità d’impiego decente e produttivo e nel promuovere una più giusta globalizzazione come strategie per la riduzione della povertà», dice Juan Somavia. Più lavoro, dunque, e soprattutto più dignità per uomini e donne. da l'Unità, 7.12.04 |