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La Palestina |
LA STORIA ANTICA
La terra che genericamente viene
chiamata Palestina, e che corrisponde più o meno
agli attuali Israele e Giordania
Occidentale, delimitata a Nord dal Libano e a Sud
dal triangolo del Sinai, è stata oggetto di conquista da parte
di molti popoli nell'arco di tutta la storia
conosciuta.
Le prime informazioni
che abbiamo sono attribuibili alla Bibbia, anche
se ben poche delle medesime hanno finora trovato
riscontro nelle ricerche archeologiche. (Nè ne
sono state peraltro contraddette).
Secondo
il resoconto biblico, antiche tribù di israeliti
conquistarono parte delle terre di Canaan, lungo
la costa mediterranea, verso il 1200 A.C. (Sono gli anni in cui Mosè avrebbe scritto
il Pentateuco).
Verso il 950, sotto Re
Salomone, fu costruito il Tempio di Gerusalemme. Alla sua morte il regno fu
diviso in due. A Nord, il Regno di Israele, a Sud
il Regno di Giudea. È in questo secondo che
rimasero i progenitori degli ebrei
contemporanei.
Nel 586 la Giudea fu
conquistata dai Babilonesi, che distrussero il
Tempio e cacciarono gli ebrei in una prima
diaspora, limitata ai paesi confinanti.
Nel 539 Ciro di Persia conquistò Babilonia, e sotto il suo
regno tollerante gli ebrei poterono tornare alle
terre da cui erano fuggiti. Nell'arco di 70 anni
sia Gerusalemmne che il suo Tempio erano stati
ricostruiti.
Nel 330 fu Alessandro
Magno a conquistare la Persia, estendendo quindi
anche alla Palestina la dominazione ellenica.
Questa durò fino alla cosiddetta rivolta dei
Maccabei, del 168, in cui gli
ebrei presero il potere in quello che sarebbe
stato l'ultimo loro periodo di controllo ufficiale
nella regione.
Nel 63 a.C. la Giudea venne conquistata dalla
armate di Pompeo, e divenne provincia dell'Impero
Romano.
Nel 70 d.C una
violenta rivolta popolare fu affogata nel sangue
dall'imperatore Tito, il Secondo Tempio fu
distrutto, e gli ebrei in fuga iniziarono quella
che è storicamente considerata la "diaspora" vera
e propria.
Durante la rivolta fu anche
sterminata la piccola comunità degli Esseni, una
setta sacerdotale eremitica, di stanza a Qumran,
che si era rifugiata nella fortezza di Masada, e
che ci ha lasciato i cosiddetti "Rotoli del Mar
Morto".
Alla caduta del'Impero Romano
(476) la
Palestina passò sotto quello Bizantino, e vi
rimase fino al 638, anno in cui
fu conquistata dagli arabi. Fu il secondo califfo,
Omar, a far costruire, sulle rovine del tempio di
Gerusalemme, la moschea di Al-Aqsa, creando così
una delle premesse per la disputa contemporanea.
(Il "Muro del Pianto" è quello che resta oggi del
Tempio, sopra il quale c'è appunto la nota
"spianata".)
Dai tempi del Califfo quindi,
e fatta eccezione per brevi periodi di controllo
cristiano durante le Crociate (XII sec.), la
Palestina è sempre rimasta sotto il dominio arabo,
per passare a far parte dell'Impero Ottomano
(Turchia) nell'XX
secolo.
LA STORIA MODERNA
Ci ritroviamo a fine secolo IXX con ampie comunità di ebrei disperse in
tutto il mondo, con diversi livelli di
integrazione sociale, in situazioni più o meno
armoniche, dopo aver trascorso secoli di
persecuzioni di ogni tipo, praticamente in ogni
luogo.
NASCE IL
SIONISMO
A seguito della pubblicazione del libro
del giornalista viennese Theodore Hertzl, "Der Judenstaat" (Lo stato ebraico),
si tenne a Basilea, nel 1897, il primo Congresso Sionista, con lo scopo di
discuterne collettivamente la proposta. Hertzl
partiva dal presupposto dell'impossibilità per gli
ebrei di venire assimilati dalle varie culture che
li ospitavano nel mondo, e voleva la creazione di
uno stato apposito, in cui essi potessero
convivere senza trovarsi necessariamente ai
margini della società.
Questo intento
trovava inoltre particolare riscontro nella
profezia biblica, che annunciava un futuro ritorno
degli israeliti alla "Terra Promessa", o Eretz
Israel.
Il Congresso concluse i lavori con
il cosiddetto "Programma di Basilea", il cui
obbiettivo era "la creazione di uno stato per gli
ebrei, in Palestina, garantito dalla pubblica
legge".
Subito i primi sionisti (lett. =
quelli della terra di Sion) iniziarono ad
immigrare in Palestina, soprattutto dalle regiorni
nord-orientali dell'Europa, dove la persecuzione
si faceva sentire in modo particolare. Nel 1903 erano già
25.000 quelli che si erano sistemati a vivere
accanto ai palestinesi, in quello che era allora
territorio dell'Impero Ottomano (Turchia). Una
seconda ondata ne portò altri 40.000 circa,
finchè, nel 1914, scoppiò la
I Guerra Mondiale.
Quattro anni di
combattimenti decretarono la sconfitta definitiva
dell'Impero Ottomano per mano delle forze alleate,
che nella zona mediorientale erano state
organizzate e sostenute dall'Inghilterra. Fu così
che nel 1918 la Palestina si ritrovò sotto il controllo
militare inglese, finchè nel 1920 l'allora
nascente Lega delle Nazioni (in seguito Nazioni
Unite) assegnò ufficialmente all'Inghilterra il
mandato per la conduzione dei "Territori della
Palestina".
Ecco come risultava (sotto a
sx) la mappa della zona dopo il mandato
internazionale.
Nel frattempo erano
avvenuti tre fatti
fondamentali:
Nel 1916, per avere
l'appoggio militare degli arabi contro gli
Ottomani, il commissario inglese in Egitto,
Sir Henry McMahon, aveva promesso loro
l'indipendenza, una volta finita la
guerra.
Contemporaneamente, grazie agli
accordi segreti Skies-Picot, Francia
ed Inghilterra si erano divise il futuro controllo
dell'intera
regione.
(Lo
Skyes-Picot non sarebbe mai stato implementato, ma
sulla sua falsariga Francia ed Inghilterra
finirono comunque per spartirsi il controllo della
zona). Ed infine vi fu la "Dichiarazione Balfour", che
impegnava l'Inghilterra ad un appoggio formale del
movimento sionista nel perseguimento dei suoi
obbiettivi.
Questa dichiarazione ha da sempre
diviso gli storici, poichè da una parte non
contiene alcun riferimento specifico ad uno
"stato" ebraico, dall'altro pone come condizione
inderogabile il rispetto dei diritti civili e
religiosi degli abitanti del luogo. È indirizzata
a Lord Rotschild, leader della comunità ebraica a
Londra.
The Balfour
Declaration
November 2nd, 1917
Dear Lord Rothschild,
I have much pleasure in conveying to you,
on behalf of His Majesty's Government, the
following declaration of sympathy with Jewish
Zionist aspirations which has been submitted to,
and approved by, the Cabinet:
His Majesty's Government view with favour
the establishment in Palestine of a national home
for the Jewish people, and will use their best
endeavours to facilitate the achievement of this
object, it being clearly understood that nothing
shall be done which may prejudice the civil and
religious rights of existing non-Jewish
communities in Palestine, or the rights and
political status enjoyed by Jews in any other
country.
I should be grateful if you would bring
this declaration to the knowledge of the Zionist
Federation.
Yours,
Arthur James Balfour
È
con estremo piacere che le porto, a nome del
governo di sua Maestà, la seguente dichiarazione
di simpatia per/favore verso/condivisione delle
aspirazioni degli ebrei sionisti, che è stata
sottoposta ed approvata dal Consiglio dei
Ministri.
Il governo di sua
Maestà vede con favore la creazione in Palestina
di una sede/ritrovo/focolare (home) nazionale per
il popolo ebraico, e si adopererà al meglio delle
proprie possibilità per facilitare il
raggiungimento di questo obbietivo, con la chiara
intesa che nulla sarà fatto che possa pregiudicare
i diritti civili e religiosi delle comunità
non-ebraiche già esistenti in Palestina, nè i
diritti o lo status politico di cui godono gli
ebrei in qualunque altra nazione nel
mondo.
Le
sarei grato se volesse portare a conoscenza della
Federazione Sionista questa dichiarazione.
Vostro
Arthur James
Balfour
RISENTIMENTO
ARABO
Fra il 1920 e il 1930,
durante
il mandato britannico, decine di migliaia
di ebrei emigrarono in Palestina. Le autorità
censirono, nel 1922, l'11% di
popolazione ebraica su un totale di 750.000
abitanti, e ai primi fermenti di guerra, nel '37, vi erano
circa 300.000 ebrei che si erano già insediati in
Palestina.
Vari episodi di violenza si registrarono già in
quegli anni, come ad esempio gli scontri
dell'Agosto del '29, che
videro oltre centi morti per parte. Quelli
palestinesi quasi tutti per mano della polizia
britannica.
Nel 1936 si arrivò addirittura ad uno sciopero generale dei
palestinesi, che protestavano per le continue
azioni terroristiche [il termine è usato
correttamente] da parte di gruppi sionisti
armati, come l'Irgun Zvai Leumi,
che agivano con il dichiarato scopo di "liberare
la Palestina e la Transgiordania" (la Giordania
attuale) con la forza.
Iniziano nel 1937
dieci anni cruciali, in cui vengono in luce e si
cristallizzano tutti gli elementi che saranno poi
alla base dei maggiori problemi
odierni.
Nel Luglio del 1937 una
commissione britannica, capeggiata dal Segretario
di Stato delle Indie, Lord Peel, raccomandò la
spartizione delle terre in due stati, uno
israeliano (un terzo delle terre circa,
comprensivo della Galilea e della pianura
costiera) ed un arabo.
I palestinesi respinsero questa idea, e
chiesero invece un arresto dell'immigrazione, con
l'implementazione di adeguate misure di protezione
per le minoranze all'interno di un unico stato
comune.
Il rifiuto inglese portò ad un
ritorno della violenza, finchè le proteste furono
definitivamente schiacciate con la forza
dall'esercito britannico.
WHITE
PAPER
Con l'avvicinarsi della guerra,
aumentò sensibilmente il ritmo di immigrazione
degli ebrei, che provenivano soprattutto
dall'Europa Centrale, e che iniziò a mettere a
rischio l'intero equilibrio del ciclo
produzione / sostentamento nella regione.
Nel Maggio del 1939 il governo
Britannico pubblicò il Documento Parlamentare
6019, noto come "White Paper", con il quale
intendeva porre un limite all'affluenza ormai
indiscriminata verso Israele. Nonostante questo, intere
navi cariche di immigranti viaggiavano di notte,
sottocosta, cercando di superare il blocco navale
inglese, per poi accostare alla prima spiaggia
libera e scaricare letteralmente fuori bordo
centinaia di persone alla
volta.
Quelli che venivano
arrestati finivano in campi di internamento
costruiti appositamente dagli stessi
inglesi.
GUERRA MONDIALE
Durante la guerra, i
vari gruppi armati sionisti si unificarono e
riorganizzarono sotto la guida di Irgun, con
l'intento di rivolgere contro gli stessi inglesi
la loro lotta di "liberazione del territorio".
Alla loro guida nel frattempo era stato eletto un
uomo che trent'anni dopo, nelle vesti di Primo Ministro di
Israele, avrebbe firmato uno storico trattato di
pace con l'Egitto di Anwar el Sadat: Menachem
Begin.
"RIVOLTA" SIONISTA E SPACCATURA
Fu sotto la guida di
Begin che nel Gennaio 1944 i sionisti
dichiararono ufficialmente una "rivolta" contro il
governatorato inglese.
Questo portò ad una
prima, storica spaccatura all'interno della
leadership ebraica, che vide da una parte i membri
del Yishuv, l'Agenzia Ebraica che rappresentava
ufficialmente gli interessi di quel popolo nel
mondo, che sosteneva una via legalistica
all'acquisizione del territorio, e dall'altra
appunto Irgun, che usando invece tattiche molto
simili a quelle dei terroristi odierni, diede
inizio ad una serie di attentati contro i centri
nevralgici dell'amministrazione britannica.
Nella foto sotto a
sinistra vedete quello che rimase della sede
dell'Intelligence britannica. Al centro l'ufficio
delle imposte. Ma l'attenato più
noto fu certamente quello
del King David Hotel di Gerusalemme (foto a
destra), che fu portato a termine da sei membri
dell'Irgun travestiti da arabi. Nell'attentato
morirono quasi cento persone, e le lunghe diatribe
riguardo al fatto che gli attentatori avessero
avvisato o meno la direzione dell'Hotel, mezz'ora
prima dell'esplosione, rimasero per
sempre
insolute.
LE
NAZIONI UNITE
Alla fine della guerra la situazione
era ormai giunta al limite, con arabi contro
ebrei, inglesi contro arabi, ebrei contro inglesi,
ma anche ebrei contro ebrei, con gli stessi leader
Yashuv che temettero per un momento una vera e
propria guerra civile. L'Inghilterra si vide così
costretta a rimettere
la
delicata questione nelle mani delle Nazioni Unite,
che erano da poco nate dalle ceneri della stessa
Lega delle Nazioni che le aveva assegnato il
mandato venticinque anni prima. Nel
frattempo gli scontri fra palestinesi ed ebrei si
facevano sempre più gravi, col confluire in
Palestina di nuove ondate di ebrei sopravvissuti
alla Shoah, oltre a quelli che avevano risposto
all'appello del sionismo da ogni altra parte del
mondo.
Un
Comitato Speciale delle Nazioni Unite tornò a
proporre una spartizione della terra, che
prevedeva la creazione contemporanea dello Stato
di Israele. Il piano (nella cartina sotto a sin.),
che assegnava il
57% delle
terre agli ebrei (giallo) ed il 43 agli arabi
(grigio), con Gerusalemme (bianco) sotto controllo
internazionale, fu accettato dai primi, ma
respinto dai secondi. Va notato che i
palestinesi non facevano direttamente parte delle
Nazioni Unite, e dovevano quindi farsi
rappresentare dai delegati dei confinanti paesi
arabi (arancione).
IL
PIANO UFFICIALE DI
SPARTIZIONE
Il 29 Novembre 1947 il piano fu
sottoposto al voto dell'Assemblea Generale, che
emise la storica risoluzione 181,
con 33 paesi a favore, 13 contrari, e 10
astenuti.
L'Inghilterra annunciò l'intenzione di
restituire il mandato il 15 Maggio del 1948. Ma i
fermenti provocati dalla decisione ONU esplosero
molto prima di quella data, precipitando la
regione in uno stato di caos, e mettendo gli
inglesi in serie difficoltà: da una parte,
neltentativodidomare la rivolta, il numero dei
morti fra i loro soldati continuava a salire,
dall'altra si facevano sempre più forti le
pressioni da parte degli Stati Uniti per
permettere l'immigrazione ad un numero ancora
maggiore di ebrei. Ora in chiaro contrasto con
l'Inghilterra, sembrava essere passato decisamente
agli USA il ruolo di sostenitori della causa
sionista.
Le prime operazioni sistematiche di "pulizia" -
così definite da loro stessi - furono intaprese
dai sionisti contro i palestinesi nel
Dicembre del 1947.
NASCE LO STATO DI
ISRAELE
Il 9 Aprile 1947 le
milizie di Irgun e Lehi massacrarono l'intera
popolazione del villaggio di Deir Yassin. La
notizia si sparse in fretta dappertutto, ed i
palestinesi iniziarono a fuggire in massa verso il
Libano a Nord, la Cisgiordania ad Est, e l'Egitto
a Sud del paese.
Il 14 Maggio 1947 veniva
proclamato a Tel Aviv il nuovo stato di Israele,
mentre gli ultimi reparti di soldati inglesi
lasciavano in fretta e furia il territorio. I
palestinesi ricordano quella data come "al-Nakba", che significa "La
Catastrofe".
Le forze israeliane,
assistite dai gruppi militanti di Irgun e Lehi, si
impadronirono immediatamente del territorio a loro
assegnato, appropriandosi anche di sostanziose
porzioni destinate invece ai Palestinesi. In poche
gli israeliani controllavano l'intera Galilea, il
Negev, Gerusaslemme Ovest, e buona parte delle
pianure costiere.
Il giorno seguente gli
eserciti di Giordania, Siria, Egitto, Libano e
Iraq attaccarono Israele, ma furono sconfitti con
relativa facilità dalla superiorità militare
israeliana. Si venne così ad un armistizio, i cui
confini (cartina sopra a destra) ricalcavano da
vicino quelli del precedente Mandato Britannico.
La differenza più vistosa era costituita dalla
striscia costale di Gaza, che andava agli
egiziani, e la Cisgiordania (West Bank) con
Gerusalemme Est, che passava sotto il diretto
controllo della Giordania.
In altre parole,
da un punto di vista geografico, Israele aveva
sostituito in pieno gli inglesi nel controllo
dell'intero territorio palestinese, fatto salvo
per quelle zone - Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme
Est - che avrebbe poi invaso in seguito.
GLI ANNI DI ARAFAT
Nel 1959 Yassir Arafat, un palestinese nato in
Egitto, fondava in Kuwait un'organizzazione
segreta chiamata Al Fatah, a nome della quale, nel 1964,
dichiarava la lotta armata contro Israele.Nello stesso anno i paesi arabi, nel tentativo
di tenere sotto controllo il popolo palestinese,
creavano il PLO (Palestinian Liberation Organization, OLP).
Ma i palestinesi, che fino ad allora erano stati
spettatori passivi degli scontri fra arabi ed
israeliani, ambivano a quel punto ad agire
indipendentemente. E nel 1968, quando Al
Fatah ed Arafat inflissero gravi perdite
all'esercito israeliano nella località di Karameh,
in Giordania, i palestinesi ritrovarono il lui il
loro leader naturale.
Nel 1969 Arafat veniva acclamato presidente del PLO a furor
di popolo.
GUERRA DEI
SEI GIORNI
Nel frattempo la mappa del
territorio era ancora cambiata. Nel 1967 vi era
stata la guerra-lampo, o "Guerra dei sei
giorni", in cui le armate di Moshe Dayan avevano
facilmente sconfitto quelle egiziane, dopo
averne distrutto a terra, in un attacco a
sorpresa, buona parte dell'aviazione. I nuovi
confini di Israele presentavano ora un
territorio quasi raddoppiato, che andava della
rive del Mar Rosso (penisola del Sinai), fino
alle Alture del Golan (Siria), e comprendeva la
Cisgiordania e la città di
Gerusalemme.
Un altro mezzo milione di
palestinesi era stato nel frattempo sradicato
dalle proprie abitazioni, e si era andato a
riversare nei già ribollenti campi profughi dei
vicini paesi arabi.
Le Nazioni Unite
emettevano allora la famosa risoluzione 242 - vero e proprio oggetto del contendere,
a partire da quel giorno - che sottolineava
"the
inadmissibility of the acquisition of territory
by war", l'inammissibilità di
acquisizione di territori con la guerra, e
chiedeva il "withdrawal of Israeli
armed forces from territories occupied in the
recent conflict", il ritiro delle forze
armate israeliane dai territori occupati nel
recente conflitto.
Ciò non sarebbe avvenuto. |
GUERRA DELLO
YOM KIPPUR
Sei anni dopo, nel 1973,
Egitto e Siria si lanciarono alla riconquiesta dei
territori perduti, in quella che fu definita la
"Guerra dello Yom Kippur". Inizialmente gli arabi
ebbero la meglio, ma la reazione israeliana,
grazie anche ad una notevole iniezione di
armamenti da parte degli Stati Uniti, portò le
armate di Tel Aviv a conquistare ancora più
territorio di quello che già avevano in Siria,
oltre alla sponda occidentale del Canale di Suez.
A quel punto intervenne l'ONU che impose,
con la altrettanto nota risoluzione 338, la
sospensione dei combattimenti e l'obbligo per le
parti di cercare un accordo per una pace duratura.
Nel frattempo era scesa in campo l'Arabia
Saudita, che aveva messo in ginocchio l'occidente
scatenando la crisi del petrolio del 1973, grazie
ad un criterio di vendita che discriminava
apertamemte - con prezzi più o meno di favore -
fra "nemici" ed "amici " di Israele.
È
lecito supporre che questa mossa abbia contribuito
non poco alla decisione degli Stati Uniti di
appoggiare vigorosamente la risoluzione
338.
IL PATTO CON
WASHINGTON
Ormai già da anni
il petrolio aveva focalizzato l'attenzione dei
grandi sul Medio Oriente, e vi erano stati
svariati incidenti - come quello del 1969 in cui
Israele abbattè "per sbaglio" quattro caccia russi
- che avevano fatto intravvedere la possibilità di
uno scontro diretto fra Russia ed America. Si era,
dopotutto, in piena guerra fredda.
Gli
schieramenti, che si erano andati delineando nel
tempo, vedevano a quel punto la Russia apertamente
schierata con i paesi arabi, gli Stati Uniti
altrettanto con Israele, mentre Francia ed
Inghilterra si barcamenavano in una poco credibile
posizione di "neutralità". Fu in questo periodo
che Israele ottenne dagli Sati Uniti la tacita
garanzia di una protezione contro l'obbligo di
implementare la 242. Iniziò così il sempre più
sistematico uso del diritto di veto che gli Stati
Uniti ancora oggi esercitano, nel Consiglio di
Sicurezza, contro ogni mozione che vada a chiaro
discapito dello stato amico.
Con gli enormi
interessi sul petrolio a far da ago della
bilancia, nacque anche la tendenza, fra gli stati
europei, a prendere posizioni sempre più ambigue,
e non certo utili alla stabilizzazione della
regione. Chi ci andava di mezzo, ancora un volta,
era il popolo palestinese, nuovamente escluso da
lotte e interessi decisamente più grandi di
loro.
Nel frattempo la lunga battaglia di
Arafat con Israele era culminata, nel 1972, con
l'uccisione di 11 atleti israeliani alle le
Olimpiadi di Monaco. A torto o a ragione, Arafat
era riuscito ad imporre all'attenzione del mondo
il problema palestinese.
ARAFAT ALL'ONU
Le Nazioni Unite
avevano sancito ufficialmente "il diritto di
ogni popolo che viva sotto occupazione militare
straniera, a cercare di liberare la propria
terra con qualunque mezzo a
disposizione".
Ma nel 1974 Arafat si presentò alle Nazioni Unite, come
rappresentante del suo popolo, a porgere il ramo
d'ulivo. Proponeva la fine della lotta armata,
in cambio di un serio impegno internazionale a
risolvere l'intera questione.
E alla
fine del 1974 il
Dipartimento di Stato americano ricosceva
ufficialmente, per la prima volta, "the legitimate
interests of the Palestinian Arabs must be taken
into account in the negotiating of an
Arab-Israeli peace", che le legittime
aspirazioni degli arabi di Palestina debbano
essere prese in considerazione nell'ambito delle
trattative di pace
arabo-israeliane.
IL RITORNO
DEI SIONISTI
Ma la prospettiva di una possibile
convivenza con i palestinesi non piaceva ai leader
sionisti, che predicavano invece un ritorno
all'intero territorio "biblico". In quel momento
si trovavano in netta minoranza nello schieramento
parlamentare, ma non appena il
partito Hirut - erede del gruppo d'azione Irgun
del '48, e padre dell'attuale Likud - riuscì ad
andare al governo, nel 1977, il lento
processo di distensione iniziato in quegli anni si
arrestò bruscanente.
Il primo ministro
Menachem Begin, erede del leader sionista Ben
Gurion, inaugurò la politica "dello stato di
fatto", tesa all'installazione del maggior
numero possibile di "coloni" nei territori
occupati, per rendere sempre più difficile un
ritorno alla situazione di allora. Adducendo
motivi di sicurezza, fu per la prima volta
dichiarata apertamete da parte di Israele
l'intenzione di non restituire un solo metro della
terra conquistata nel 1967 dal generale Dayan.
L'allora ministro dell'Agricoltura, Ariel
Sharon, creò un apposito comitato per la
supervisione delle operazioni di colonizzazione,
che avrebbe poi presieduto fino al 1981.
ANWAR EL
SADAT
A sbloccare la sempre più tesa situazione fra
arabi e israeliani fu una mossa a sorpresa del
presidente egiziano, Anwar el Sadat, che si
presentò un giorno (1977) di fronte
al parlamento di Tel Aviv, e fece un discorso di
apertura che avrebbe portato in poco tempo
all'effettiva pace fra Egitto e Israele.
Forse fu solo una coincidenza, ma nel
frattempo alla presidenza americana era salito
Jimmy Carter, pacifista dichiarato, che aveva
battuto l'uscente Gerald Ford, subentrato a sua
volta da due anni al dimissionario Nixon.
CAMP
DAVID
E fu proprio Carter, nel 1978, ad
ospitare gli storici "Accordi di Camp David", in
cui l'Egitto riconosceva - primo fra gli stati
arabi nella storia - lo stato di Israele. Questo
in cambio si ritirava dai territori occupati nel
'73, restituendo il Sinai con il prezioso Canale
di Suez. Un anno dopo i due stati avrebbero
firmato un trattato di pace ufficiale, che è
ancora oggi in vigore.
Questo accordo,
condotto separatamente dall'Egitto, irritò
profondamente gli altri stati arabi, che
iniziariono un periodo di boicottaggio,
commerciale e morale, verso l'ex-alleato.
Se fra gli israeliani ci sono i sionisti,
che vorrebbero l'intera regione tutta per loro,
fra gli arabi ci sono tanti estremisti, che a loro
volta vorrebbero "respingere in mare lo stato di
Israele con tutti i suoi abitanti." E fu proprio
un gruppo di questi, uscito dalle fila
dell'esercito di Sadat, ad assassinare il
presidente egiziano nel 1981.
LIBANO
Nel 1982, le
azioni di guerriglia contro gli israeliani
partivano prinjcipalmente dal vicino Libano, che
già ospitava migliaia di rifugiati palestinesi,
oltre allo stesso PLO di Arafat, con sede a
Beirut.
In seguito ad un attentato,
fallito, alla vita del primo ministro israeliano a
Londra, l'esercito di Tel Aviv invase il Libano,
col dichiarato intento di spazzare via la
guerriglia palestinese. Lo guidava il neo-promosso
generale Ariel Sharon, il quale però non si
accontentò di eliminare buona parte delle basi dei
guerriglieri al Sud, ma prosegui la sua marcia
fino alla capitale, dove impose anche l'espulsione
immediata del PLO dal paese.
SABRA E
CHATILA
Mentre Arafat si rifugiava con i suoi in
Tunisia, i campi profughi restavano alla completa
mercè degli israeliani e della Falange Cristiana
libanese, loro alleata. Fra l'11 e il 16 Settembre
del 1982, i
falangisti sterminarono l'intera popolazione dei
campi di Sabra e Chatila, dopo che l'esercito
israeliano li ebbe circondati per chiudere ogni
possibile via di fuga. I morti furono circa duemila.
Fu una vera e propria mattanza, e lo scandalo
che seguì, nello stesso Israele, portò ad
un'inchiesta che si concluse con le dimissioni di
Sharon dai vertici dell'esercito.
PRIMA
INTIFADA
In seguito allo
sterminio, era esplosa la cosiddetta "prima
intifada", che coinvolse l'intera popolazione
palestinese dai territori occupati di Gaza a
quelli della Cisgiordania (West Bank), e che
sarebbe durata fino al 1993. Da Tunisi,
che ci provasse davvero o meno, Arafat riusciva a
fare ben poco per controllare il suo popolo in
rivolta.
E quando il PLO propose finalmente
una tregua, con un ritorno alle trattative basato
sull'implementazione della 242 (confini 1967) e
della 338 (confini 1973), ricevette uno sdegnoso
rifiuto da parte di Israele, che annunciava di
"non essere disposto a trattare con organizzazioni
terroristiche". Iniziava così quel lento processo
di delegittimazione di Arafat dalla guida del suo
popolo, che si sarebbe concluso solo nel 2002, con
l'umiliazione finale, impostagli da Sharon, della
prigionia di Ramallah.
MADRID
Alla fine della
prima Guerra del Golfo, nel 1991, gli Stati
Uniti di George H. Bush ripresero in mano la
questione palestinese, e nonostante la rigida
posizione dell'allora leader sionista, Yitzhak
Shamir, riuscirono a convincere le parti in causa
a convergere in quello che sarebe passato alla
storia come il Summit di Madrid.
Pare che
il Segretario di Stato, James Baker, in una rara
presa di posizione contro Israele, abbia
personalmente imposto di trattenere una garanzia
bancaria di 10 miliardi di dollari, avviata verso
Israele, fino a summitt avvenuto.
A Madrid
Arafat, osteggiato da Israele, non potè andare, e
il suo popolo fu rappresentato da una delegazione
mista di giordani e di leader palestinesi minori.
Partecipò anche la Siria, che sperava di ottenere
la restituzione delle Alture di Golan, perse ad
Israele nel 1967.
Sotto gli occhi del
mondo, furono dati 45 minuti a ciascuna della
parti per chiarire la propria posizione e
presentare le proprie richieste. I
giordano-palestinesi puntarono tutto su una
soluzione di convivenza pacifica, Shamir si
preoccupò soprattutto di perorare la causa di
Israele e di riaffermarne il diritto alle terre
conquistate, e il Ministro degli Esteri siriano
dedicò gran parte del suo tempo a rivangare il
passato "terroristico" dello stesso Shamir. Come
ovvia conseguenza gli incontri bilaterali,
previsti a seguito del summitt, mostrarono presto
di avere il fiato corto.
OSLO
La situazione fu sbloccata dal ritorno al
governo dei laburisti, guidati da Yitzhak Rabin,
nel 1992.
Invece di ripartire dagli incontri bilaterali,
arenati in uno stallo irreversibile, il nuovo
ministro degli esteri, Shimon Peres, prese
contatti segreti direttamente con la dirigenza
palestinese. Questi incontri, avvenuti nella
lontana e neutrale Norvegia, culminarono con i
cosiddetti "Accordi di Oslo", nei quali i
palestinesi riconoscevano il diritto di Israele ad
uno stato proprio, mentre ottenevano dallo stesso
l'impegno per un progressivo ritiro dalle terre
occupate nel 1967.
Il momento di distensione - senza
dubbio il più alto in assoluto dell'intera vicenda
- portò alla storica stretta di mano fra Rabin e
Arafat, alla Casa Bianca, davanti ad uno
smagliante Clinton fresco di mandato. Per
l'occasione fu anche promulgata una pomposa
Dichiarazione dei Principi, che formalizzava
solennemente gli accordi intercorsi.
Arafat, Rabin e Peres avrebbero poi condiviso
anche il Premio Nobel per la Pace.
Nonostante le apparenze, gli accordi erano però
fragili ed incompleti, poichè avevano dovuto
demandare al futuro questioni fondamentali come il
ritorno dei profughi palestinesi, o il controllo
di Gerusalemme.
PALESTINIAN
AUTHORITY
Allo scopo di gestire il processo di pace fu
ufficialmente creata la Palestinian Authorithy, e
quando Arafat fece il suo ritorno trionfale a
Gaza, nel 1994, ne divenne
automaticamente il presidente.
Il
progressivo ritiro dei coloni, previsto dagli
accordi, incontrava però una solida resistenza da
parte degli stessi, come di tutta l'ala sionista
del paese, mentre in certe zone gli israeliani
procedevano addirittura ad impiantare nuove
colonie.
RABIN
ASSASSINATO
La strategia inaugurata da Begin cominciava a
dare i suoi frutti. A peggiorare le cose
intervenne nel 1995 l'assassinio
di Rabin, da parte di un giovane fanatico
sionista. Che abbia agito di propria iniziativa, o
fosse invece una pedina manovrata dalla leadership
sionista, con quel gesto diede voce a tutti gli
ebrei che non perdonavano a Rabin la restituzione
della "terra promessa".
NETANIAHU
Seguì, nel 1966, un'ondata
di attacchi suicida, da parte dei palestinesi, che
facilitarono l'ascesa al governo del "falco"
Netaniahu. Il leader "dal pugno di ferro" prendeva
il posto di Shimon Perez, che a sua volta aveva
sostituito Rabin alla sua morte.
Netaniahu era dichiaratamente contrario agli
accordi di Oslo, e come prima cosa fece togliere
il veto che impediva nuove installazioni di coloni
nei territori occupati. Questo portò un'immediato
aumento della tensione, sia a livello locale che
internazionale.
WYE
RIVER
Nonostante la rigida posizione di Netaniahu, la
Casa Bianca riuscì ad imporgli, con gli "Accordi di Wye
River", la restituzione di buona
parte di Hebron, oltre all'impegno per ulteriori
restituzioni a breve termine, in
Cisgiordania. Ma quando
venne il momento di effettuare queste
restituzioni, il governo di destra si spaccò, e
favorì il ritorno al potere dei laburisti.
BARAK
Nel 1999 Ekud
Barak vinse le elezioni, dopo aver promesso agli
israeliani "un accordo definitivo con Arafat entro
un anno".
E
l'accordo sarebbe anche potuto arrivare, negli
ultimi mesi di presidenza Clinton, non fosse stato
per quello che molti hanno definito l'errore
supremo di Arafat. Egli infatti rifiutò di
firmare, nonostante gli fosse stato offerto - o
così almeno si dice - molto di più di quello che
potesse sperare, e sicuramente molto di più di
quanto molti israeliani fossero disposti a
concedere. (Se poi anche questo accordo sarebbe
mai stato implementato, resterà una delle mille
domande senza risposta).
IL RITORNO
DI SHARON
Nel momento di incertezza che seguì il
fallimento della trattativa, ricomparve
alla guida del Likud Ariel Sharon. Un
mese prima delle elezioni, dovute alla
caduta di Barak, l'ex-generale fece la sua storica
passeggiata sulla spianata di Al-Aqsa, scatenando
l'inevitabile reazione dei palestinesi. Ebbe
inizio così la seconda intifada,
che di certo contribuì non poco alla sua
schiacciante vittoria elettorale.
L'inizio del suo mandato fu segnato da una
inarrestabile spirale di violenza, in cui ad ogni
attentato palestinese seguiva una rappresaglia
israeliana, e viceversa. In questo periodo i carri
armati israeliani penetrarono più volte nel
territorio palestinese, col dichiarato intento di
annientare le basi dei guerriglieri.
Il campo di raccolta di Jenin fu letteralmente
raso al suolo, con un numero di vittime che è
stato impossibile verificare, a causa del veto
posto dagli Stati Uniti alla commissione ONU
creata con quel proposito.
Durante una delle incursioni, Sharon fece anche
circondare dai suoi carri armati il centro di
comando del PLO, nel quale Arafat rimase
praticamente prigioniero per tre mesi.
Nessuno stato straniero intervenne in favore
del vecchio leader, che inutilmente lanciava
appelli alla comunità internazionale perchè
ponesse fine al suo imprigionamento. Il suo tempo
era finito, e forse solo lui non se n'era ancora
accorto.
Pochi mesi dopo, gli attentati dell'11 Settembre 2001 ridisegnavano completamente gli equilibri politici
e psicologici del mondo intero, e portavano, fra
le altre cose, ad una esasperata pressione di
Israele sui territori occupati.
ROADMAP FOR
PEACE
Nel 2003 veniva messa a punto da Stati Uniti, Russia,
Europa Unita e ONU la cosiddetta "Roadmap for
Peace", un piano abbastanza generico e poco
convincente, le cui intenzioni stridevano
clamorosamente con la quotidiana avanzata del muro
di separazione fra i due territori, fortemente
voluto da Sharon, che proseguiva anche dopo la
richiesta ufficiale di smantellamento da parte
dell'ONU.
MORTE DI
ARAFAT
Yassir Arafat moriva a Parigi, nel novembre del 2004, dopo
aver dovuto finalmente passare
la mano a personaggi più graditi ad Israele
e all'amministrazione Bush. Ecco
la situazione sul terreno, al momento della sua
scomparsa:
Nella cartina di sinistra, in giallo, le zone
occupate dai coloni, in verde scuro le varie
strade di raccordo costruite e controllate da
Israele. In quella a destra, i quadrati neri
indicano i vari posti di blocco israeliani, mentre
lungo la linea giallo-rossa sorge oggi buona parte
del muro di separazione che sta per essere
completato.
Dopo quasi un secolo di lotte,
e centinaia di migliaia di morti per parte,
abbiamo oggi, da un lato del muro, il popolo di
Israele che vive nella costante paura e nella
diffidenza generalizzata. Mentre dall'altro, con
ormai intere generazioni nate e cresciute
all'interno dei campi profughi, il destino del
popolo palestinese rimane tanto incerto quanto lo
era all'inizio di questa tormentata - e forse
irrisolvibile - tragedia storica.
Se di
fallimento si può parlare, è certamente quello
della società umana nel senso più ampio della
parola.
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