Beirut, 30 luglio 2006

Diciottesimo giorno di guerra

Francesco Polesello *




Questa mattina mi sono alzato come ogni mattina, ma non sapevo che questa sarebbe stata una delle peggiori mattine della mia vita.
Dopo qualche minuto ricevo sul cellulare la notizia della strage di Qana: in 50 raids degli aerei israeliani nella notte erano morte più di 40 persone, di cui 21 bambini!
Allora accendo la televisione per accertarmi della notizia e iniziano a scorrere le immagini angoscianti di quei piccoli corpi innocenti straziati dalla ferocia israeliana: ho pianto, pieno di rabbia, di incomprensione verso un’umanità che ha dimostrato la sua assoluta indifferenza verso questa aggressione al popolo libanese.
Mi chiedo perché in questa guerra dove sono morte fino ad oggi (secondo il Ministero della Salute libanese) più di 750 persone di cui più della metà bambini e 2000 feriti, il mondo non ha fatto sentire la sua voce, perché il mondo è così schiavo dell’amministrazione Bush, perché i movimenti pacifisti si sono mossi per l’Iraq e non si sono mossi per il Libano, perché Israele sta compiendo azioni che ricordano tristemente i metodi nazisti, mi chiedo perché ma le risposte in realtà le conosco.
Mi sento frustrato, impotente!
Il popolo libanese invece è annichilito e arrabbiato al contempo.
Sta montando una rabbia popolare, un sentimento di odio profondo contro Israele che prima della guerra non conoscevo, persino le nuove generazioni, che la guerra civile l’avevano conosciuta solo nei racconti o attraverso le immagini, ora manifestano odio e vendetta.
Tutti gli amici libanesi mi dicono che mentre prima erano contro Hezbollah perché partito estremista, ora lo appoggiano.
In effetti il discorso di ieri di Nasrallah (il capo ideologico di Hezbollah) ha suscitato in Libano vivo apprezzamento.
Ci si è finalmente resi conto che loro sono l’ultimo baluardo per la difesa del Paese.
Ricevo in questo momento un altro messaggio: Kofi Annan chiede un immediato cessate il fuoco e la condanna della strage di Qana.
Bravo! E quindi?
Parole, parole …
Abbiamo bisogno di fatti concreti!
Il mondo si rende conto che gli israeliani hanno ammazzato osservatori ONU, sparato contro le ambulanze, le auto civili, i furgoni carichi di frutta e verdura, le auto dei giornalisti, gli edifici civili, le fabbriche di latte, che usano le famigerate cluster bombs, di quanti bambini sono morti e di quanti altri vivranno odiando?
Il mondo, già, ma qui ci si chiede dov’è il mondo?
Quanto durerà ancora prima che qualcuno fermi questo macello è la domanda che qui tutti si pongono, ma nessuno sa rispondere.
Siamo tutti stanchi, nervosi ma attivi.
Chi può, infatti cerca di aiutare, di dare una mano ai profughi in fuga: sono ormai più di 1.000.000 su una popolazione di 4.400.000.
Ma nonostante gli sforzi e la volontà non è ancora sufficiente.
Ogni tanto ricordo i giorni precedenti la guerra, quando il Libano viveva quella breve settimana che doveva durare due mesi assieme alle mie due figlie e mia moglie che erano venute a trovarmi: pochi attimi felici che di colpo si sono infranti.
Fortunatamente sono riuscito a rispedirle a casa con la prima evacuazione, ma certamente Elena ed Emma ricorderanno, avranno memoria di quest’infamia.
Dovrà però essere una memoria improntata alla comprensione ed alla tolleranza reciproca, improntata ad un atteggiamento pacifico e umanitario.
Quegli stessi sentimenti che il Libano aveva finalmente ritrovato ma che la stupidità, l’arroganza e la ferocia hanno dissolto in una notte calda notte di luglio.
Ormai i giorni passano e la guerra qui è ormai quotidianità, ma non rassegnazione.
Intanto sui canali locali scorrono le immagini cariche di sangue e di tragedie che ti scuotono, che ti svegliano dal torpore che ci ha invaso, quasi volessimo svegliarci domattina e dire: per fortuna era solo un incubo, ma non è così!



* Il compagno Polesello, già Segretario della Federazione Friulana del PdCI, per ragioni di lavoro si trova a Beirut da oltre un anno.