Vietnam avvelenato


Più di quattro milioni di persone subirono gli effetti dell’Agente Arancio, il micidiale defogliante alla diossina di cui l’aeronautica Usa riversò cento milioni di litri sul sentiero di Ho Chi Minh. Ancora oggi i figli dei reduci devono convivere con gravi patologie.

E chiedono giustizia


ERBICIDA TOSSICO USATO PER SCOVARE I VIET CONG

Agente Arancio era il nome in codice usato dall'esercito statunitense per indicare un erbicida usato durante la guerra del Viet Nam, tra il 1961 e il 1970. Si tratta di un liquido incolore, il suo nome infatti deriva dall'arancione delle striscie presenti sui fusti usati per il suo trasporto.
L'impiego militare ufficiale era per rimuovere le foglie degli alberi e negare la copertura ai viet cong. L'agente arancio era all'incirca una miscela degli erbicidi 2,4-D(2,4-acidodiclorofenossiacetico) e 2,4,5-T(2,4,5-acidotricolofenossiacetico) sviluppati durante gli anni Quaranta.
Come defogliante militare l'agente arancio fu smesso nel 1971, quando si scoprì che aveva come sottoprodotti delle diossine tossiche ritenute responsabili di malattie e difetti alla nascita sia nella popolazione vietnamita che nei veterani di guerra statunitensi. Si scoprì che aveva proprietà cancerogene che colpivano principalmente le donne.

 

«Gli aerei passavano più volte spargendo una nuvola giallastra dall'odore acre. Ci sentivamo soffocare. Dopo alcuni giorni le foglie degli alberi iniziavano a cadere. Nessuno ci aveva avvisato della pericolosità della sostanza e per anni abbiamo bevuto l'acqua dei pozzi e mangiato i prodotti della terra»
Nel Peace Village, il reparto specializzato nella cura delle vittime della diossina, operano tre medici e 24 infermiere specializzate. Il 90% dei bambini malati vengono abbandonati alla nascita dalle famiglie. Per i casi più gravi non c’è speranza di miglioramento e sono condannati a una lunga degenza. Per gli altri si tenta un recupero che restituisca loro una vita quasi normale

Testi Di Livio Senigalliesi
 

Trenta aprile 1975: le truppe nordvietnamite entrano a Saigon. Finisce così la guerra del Vietnam. Ma non per tutti. Sono quattro milioni le persone che subiscono gli effetti dell'Agent Orange (Agente Arancio), il defogliante alla diossina che l'aeronautica Usa riversò nel paese. Ancora oggi i figli dei reduci devono convivere con gravi patologie. E chiedono giustizia.
Nguyen Van Lanh giace da 22 anni su una stuoia in una stanza buia come una caverna e dalla sua bocca sempre spalancata escono urla che lacerano il silenzio. Gli hanno legato le mani con uno straccio per evitare che si graffi e la madre Le Thi Mit lo accarezza cercando di calmarlo.
Siamo nel folto della giungla, nel villaggio di Cam Nghia, Provincia di Quang Tri, appena a sud della zona demilitarizzata che durante la guerra divideva il Vietnam del Nord da quello del Sud. Ci si arriva percorrendo una strada di terra rossa che si arrampica tra le colline coperte da una vegetazione lussureggiante. Abbandonato il fuoristrada si prosegue a piedi. Il sole e la natura circostante rendono la passeggiata gradevole, ma giunti alla meta la situazione diventa di colpo angosciante.
Nguyen Van Lanh ha un fratello più piccolo, Van Truong, di 16 anni, che striscia verso la soglia della baracca e guarda atterrito gli estranei che hanno invaso la sua solitudine domestica. Porta sempre una mano sugli occhi, come se non volesse vedere, e continua a rivoltarsi su stesso senza trovare pace.
La guerra del Vietnam si è conclusa nel 1975 ma i fratelli Nguyen, nati dopo la fine del conflitto, ne sono ancora vittime. La malattia mentale da cui sono afflitti e le deformità fisiche sono conseguenza dell'Agente Arancio, l'erbicida dall'alto contenuto di diossina che gli aerei Usa hanno fatto piovere tra il 1961 e il 1971 sul delta del Mekong e nella zona degli altopiani centrali ai confini col Laos. Cento milioni di litri di una miscela altamente tossica furono usati per defogliare le foreste lungo il sentiero di Ho Chi Minh, rifugio dei vietcong. Lo scopo dell'operazione Ranch Hand era quello distruggere la coltre verde della foresta, individuare il nemico e colpirlo con bombe al napalm ad alto potenziale sganciate dai B-52.
Le Thi Mit, madre dei fratelli Nguyen, ha 58 anni ed un volto segnato dalle sofferenze di una vita fatta di dolore e povertà. Ricorda i tempi della guerra: «Gli aerei passavano più volte spargendo una nuvola giallastra dall'odore acre. Ci sentivamo soffocare. Gli occhi lacrimavano. Dopo alcuni giorni le foglie degli alberi iniziavano a cadere. Nessuno ci aveva avvisato della pericolosità della sostanza e per anni abbiamo continuato a bere l'acqua dei pozzi e a mangiare i prodotti della terra. Si trattava di sopravvivere».
Alla fine della guerra i coniugi Nguyen ebbero un figlio, Van Phu. Morì all'età di quattro anni a causa delle malformazioni. Poi arrivarono i suoi fratelli, anche loro malati. Stessi sintomi. Non parlano, non sentono. Non possono stare né seduti né in piedi. Non chiedono mai nulla, nemmeno da mangiare.
Dice Le Thi Mit: «Viviamo di un piccolo sussidio mensile del governo. Mio marito Van Loc lavora nei campi e così riusciamo a mangiare. I ragazzi li imbocco, uno dopo l'altro. Così da più di vent'anni. Vi ringrazio di essere venuti. È necessario che tutto il mondo sappia».
Il dramma dei fratelli Nguyen non è purtroppo un caso isolato. I numeri sono impressionanti. Secondo le stime diffuse dalla Croce Rossa vietnamita sono 4 milioni le persone che dal termine del conflitto subiscono gli effetti dell'Agent Orange. Cinquecentomila sono i casi più gravi che vengono curati in centri specializzati come il Tu Du Hospital di Ho Chi Minh City, una struttura moderna costruita agli inizi anni '90. Attualmente accoglie 60 bambini vittime dell'Agente Arancio provenienti da varie province.
Nel Peace Village, il reparto specializzato nella cura delle vittime della diossina, operano 3 medici e 24 infermiere specializzate. Il 90% dei bambini affetti vengono abbandonati alla nascita dalle famiglie e passano tutta la vita nell'ospedale. Per i casi più gravi non c'è speranza di miglioramento. Per gli altri si tenta un recupero che permetta loro di vivere una vita quasi normale e di svolgere un lavoro.
Miss Truong Thi Ten, una delle infermiere specializzate di maggior esperienza, ci guida alla visita del reparto iniziando da una sorta di dark room dove vengono conservati in flaconi di formalina i feti nati morti o deceduti subito dopo la nascita a causa delle gravi malformazioni. Abbiamo davanti agli occhi una galleria degli orrori che fa capire l'entità del problema: una strage silenziosa che continua dagli anni '70 e che miete ogni anno migliaia di vittime innocenti che non hanno nulla a che fare con la guerra combattuta dai loro padri o dai nonni più di trenta anni fa. Girando tra le corsie s'incontrano bambini di ogni età. Vengono dalle aree del delta del Mekong, dalla provincia di Kontum e dalle altre province ai confini col Laos e la Cambogia. Recenti prelievi effettuati nelle zone colpite sulle vittime, gli animali e la falda acquifera confermano che la contaminazione continua anche ai nostri giorni attraverso il ciclo alimentare. La diossina, assunta attraverso il cibo o il latte materno, entra in circolo, raggiunge gli organi bersaglio e provoca tumori o mutazioni del Dna, in una catena di infinite sofferenze.
Nguyen Duc e Viet giunsero al Tu Du Hospital appena nati, 24 anni fa. I due gemelli provenivano dal distretto di Sa Thay, provincia di Kontum, uno dei luoghi più contaminati. Uniti all’altezza della pelvi, un bacino, due gambe, un pene, all’età di 8 anni vennero operati e divisi. Duc ebbe un destino più favorevole. Grazie alle cure superò gli handicap fisici, riuscì a studiare e ad inserirsi nello staff dell’ospedale. Il fratello Viet tuttora vegeta nel letto, curato dalle infermiere e dalla madre Lam Thi di 52 anni.
Nell’aula adibita allo studio incontro una giovane che scrive col piede: Pham Thi Thuy Linh, ha 12 anni ed è nata senza braccia. Scrive e lavora al computer usando i piedi. Ha una scrittura molto ordinata, bellissima. Se si troveranno i soldi per le protesi il suo futuro sarà diverso.
La catastrofe ambientale e sociale è ancora evidente in alcune aree rurali come la Valle di A-Luoi, ad ovest di Huè, nei pressi della frontiera col Laos. Qui la vita degli abitanti – gruppi minoritari di etnia Pa Co – è molto difficile. Un grande cartello all’entrata del villaggio di Dong Son ricorda il pericolo: vietato coltivare e bere l’acqua dei pozzi. «È proibito portare anche gli animali al pascolo. Viviamo del solo contributo dello Stato» dice Quynh Bay, un ex-combattente. «Questa è una zona maledetta, non c’è futuro. Dai tempi della guerra la terra è malata e ogni famiglia ha almeno un bambino disabile». Sua figlia, la piccola Ho Thi Nga, di 7 anni, non parla, non sente e si regge a mala pena sulle gambe.