Maurizio Chierici

Da Rossanda a Tutino: voci e ricordi di chi ha conosciuto Fidel

Di qua e di là dal mare il commento di tanti analisti ripete il sollievo: comincia l'addio del dittatore comunista, ultimo sopravvissuto alla dottrina dell´orrore. Il comunismo-liberista di Cina e Vietnam, ortodossi nel partito unico e nella centralizzazione del potere, vengono considerati meno pericolosi dei discorsi di Fidel. Sfogliando gli appunti ritrovo le voci di chi ha conosciuto e incontrato Castro. Mentre raccoglieva le memorie nel suo bellissimo libro, Rossana Rossanda ricordava sottovoce: «Il nostro amico Carlos Franqui, direttore di "Revolucion" voleva che Karol ed io incontrassimo il comandante ed anche il comandante voleva incontrare Karol, come scoprimmo, perché scrivesse su Cuba un libro simile a quello appena uscito sulla Cina. Era il 26 luglio 1967, anniversario dell'assalto al Moncada e fummo portati in Oriente ad ascoltarlo. Ricordo che di comunisti ce n'erano pochissimi e Castro sottolineò l'autonomia del movimento 25 luglio». Comincia un viaggio su montagne semideserte. Castro e gli uomini dormivano sotto un tendone-caserma. La Rossanda e le donne sotto l'altro tendone. Fidel li invita all'Isola dei Pini per festeggiare il 41° compleanno. La Rossanda e Karol cominciano a farsi un'idea sul pensiero politico del festeggiato: «Era un rivoluzionario, non un comunista. Non è la stessa cosa. Non è che i comunisti e i loro regimi non abbiano avuto gli stessi difetti ma forse vengono anche a prescindere dal marxismo. Castro non aveva idea né del marxismo, né della storia dei socialismi reali. I suoi ascendenti sembravano piuttosto Bolivar e Sandino. Quando parlammo dell'Urss ci accorgemmo con sorpresa che del 1917, degli anni 20, del dissidio con Trotskj non sapevano quasi niente, né lui, né i suoi amici. Che Trotskj l'avesse fatto uccidere Stalin, Castro non voleva credere.»

Ad Anghiari Saverio Tutino sta preparando il suo premio sui diari. Cuba lo manda all'Avana nel '62 per raccontare la crisi dei missili. Torna da corrispondente nel '64 «per cercare di innamorarsi di una rivoluzione antimperialista alle porte degli Stati Uniti». Viene dalla Resistenza in Piemonte, ha studiato a Parigi: ha 40 anni. Nel '62 il viaggio interminabile da Praga con Cubana, sosta con perquisizione di 10 ore in Canada, lo avevano emozionato. Isola prigioniera? «Ma la vita dei cubani sembrava in preda a una strana febbre. Gli stranieri - soprattutto italiani - assistevano impressionati ad una allegra esibizione delle milizie e alle parate a passo di danza. Reduci dalla vittoria nella baia dei Porci e ancora frastornati dalle promesse di costruire il socialismo, i cittadini festeggiavano l'avvento di una patria finalmente tutta loro.» Nel '64 diventa amico di Celia, madre del Che, ma il Che respinge l'intervista: «Il partito comunista italiano è troppo pacifista.» Il rapporto con Castro resta quello tra un giornalista comunista e un leader della rivoluzione. Al pranzo di compleanno all'isola dei Pini c'è anche Saverio. Ma il clima è cambiato. «Sul piano alimentare Cuba era ridotta male. In due anni la fiesta cubana de la revolucion aveva distrutto il patrimonio zootecnico. Due anni di bistecche per tutti, pranzo e cena. Dall'Urss arrivavano scorte di burro e di carne in scatola, ma anche queste erano venute meno da quando si era deciso di dare la priorità alle armi.» La conclusione è amara: «Castro si era gettato nelle braccia dell'Unione Sovietica per aver garantito un appoggio duraturo, senza bisogno di elezioni, e un posto legittimo nella coesistenza. Scoperti i missili russi si scopriva anche il gioco di Kruscev che accettava di ritirarsi immediatamente per consolidare accordi tra le grandi potenze: "Niquita, Mariquita- lo que se da - non se quita", gridavano i cubani (e nessuno lo impediva). "Mariquita, quello che si dà non si toglie". Davano del frocetto a Kruscev. Ma per Fidel era la scelta da cui dipendeva il suo futuro.» Si spegne l'entusiasmo di Tutino. Cominciano i sospetti. Castro lo manda via.

Un signore tornato a San Donà del Piave è il primo italiano ad incontrare Fidel. Il quale gli «prepara con le sue mani» un piatto di spaghetti ai frutti di mare. È successo a Città del Messico mentre Fidel, Raul, il Che e gli altri preparavano l'impresa del Granma. Gino Doné veniva dalla Resistenza. Era stato mandato a Città del Messico con un pacco di dollari raccolti da chi stava organizzando la rivoluzione anti Batista. Castro lo nomina tenente della retroguardia. Si perdono di vista nella prima imboscata, ma l'orgoglio di quell'avventura ne accompagna la vita avventurosa. «Fidel mantiene sempre le promesse».

Pronipote di De Cespedes, uno dei padri dell'indipendenza cubana, Alba De Cespedes (nata a Roma nel 1911) è la scrittrice italiana e poi francese famosa negli anni 40, 50, 60. Assieme ad Antonioni trascrive in cinema il Cesare Pavese de «Le amiche». Emanuela Favonio scopre negli archivi dell'Avana «la lettera d'amore» di Alba a Castro il quale a cena in casa di Celia le suggerisce il titolo del suo ultimo romanzo incompiuto «Con gran amore», storia di un popolo e della famiglia De Cespedes. Era arrivata a Cuba senza idee precise sulla rivoluzione. Se ne innamora. Scopre che gente fino a ieri senza cultura, va a teatro a vedere Pirandello, divora libri. Aveva lavorato per combattere ovunque l'analfabetismo, e all'Avana si commuove.

«Senza Fidel chi sarei stata?», dubbio di Soleda Cruz. Migliaia di ragazzi sono cresciuti sulle sue favole: mulatta del Sud, cresce nella miseria di un pueblo contadino, niente scuola. Una signora prova a insegnarle l'alfabeto. Ma la rivoluzione cambia il paese. Va all'università, diventa ambasciatore all'Unesco. «Penso che Raul abbia in mano la carta che può cambiare il paese. Basterà dare voce ad un altro partito e nessuno potrà più dire niente su Cuba». Eloy Guttierrez Menoyo risponde al telefono. È stato uno dei comandanti della rivoluzione, ma si è ribellato con le armi appena l'influenza socialista -a suo parere- «la stava tradendo». Arrestato, condannato a 30 anni, è tornato libero dopo 22. È tornato all'Avana nel primo raduno della diaspora. Al ricevimento partecipa Castro. Gli si avvicina. «Perché ti sei fatto crescere i capelli?». «Perché piacciono alle donne». «A me no». Fidel è un tipo strano, Guttierrez Menoyo ne è convinto.

l'Unità, 03.08.06