Bolivia: Morales nazionalizza le risorse energetiche

miaggo, 2006

Il presidente Morales annuncia la nazionalizzazione


Il presidente boliviano Evo Morales ha firmato il decreto di nazionalizzazione degli idrocarburi: "Il paese recupera la proprietà, il possesso e il controllo totale e assoluto delle proprie risorse" - ha dichiarato il presidente che ha inviato l'esercito a controllare i giacimenti. Tutte le sigle delle multinazionali petrolifere firmatarie di quella settantina di contratti dichiarati illegali dal Tribunale Costituzionale della Bolivia lo scorso anno che non accetteranno le nuove disposizioni in materia di idrocarburi entro 180 giorni dovranno lasciare il paese: i loro titoli sono subito scesi in borsa.

Tecnicamente, il decreto annulla la precedente disposizione secondo cui lo stato rinuncia ai diritti su gas e petrolio una volta estratti dal sottosuolo. I soldati sono effettivamente arrivati nel sito dato in concessione alla brasiliana Petrobras, il maggior investitore straniero in Bolivia, che come le altre compagnie straniere ha ora 180 giorni di tempo per rinegoziare i suoi contratti di sfruttamento con la compagnia pubblica Yacimentos Petroliferos Fiscales Bolivianos a cui è stato assegnato il controllo di tutti i giacimenti. Ma come ha annunciato il vice presidente, Alvaro Garcia, sono 56 i siti in cui sono stati inviati i militari.

Davvero un colpo inatteso” - commenta Giovanna Vitrano per Selvas “Si sapeva del progetto di nazionalizzare gli idrocarburi, ma quasi tutti pensavano che ci sarebbe voluto del tempo, che i polveroni che si stavano alzando sulla Costituente, sul progetto El Mutun, sulla Lab (Linee Aeree Boliviane), erano tutte cortine di fumo per coprire il non mantenimento della promessa fatta dal presidente Morales il giorno del suo ingresso al Palacio Quemado, promessa sulla quale ha fondato tutta la sua campagna elettorale. Ci sbagliavamo tutti”.

La scelta della ricorrenza della Festa dei lavoratori è tutt’altro che casuale. Il primo presidente “indio” della storia boliviana sa di aver bisogno del massimo dell’appoggio popolare perché è chiaro a tutti che le grandi compagnie, in particolare la brasiliana Petrobras e la ispano-argentina Repsol-Ypf, anche se “amici”, faranno tutto il possibile per difendere i propri interessi e i grandi investimenti effettuati negli anni” - nota Adalberto Belfiore per Lettera22. L’effetto del decreto presidenziale è stato quello di una doccia fredda, specialmente in Brasile e Spagna, paesi le cui compagnie sono più impegnate in Bolivia.

La Bolivia possiede giacimenti petroliferi non giganteschi ma riserve di gas seconde solo al Venezuela, non è la prima volta: già negli anni '30 furono nazionalizzate le proprietà della Standard Oil e alla fine degli anni '60 quelle della Gulf, entrambe statunitensi. Ma queste misure, che pur generarono forti introiti allo stato, non produssero alcun beneficio per il paese né alleviarono le misere condizioni della popolazione boliviana. La Bolivia è anche il paese più povero del subcontinente e lo sfruttamento delle risorse petrolifere e di gas costituisce il 15 per cento del PIL boliviano e le oltre 50 compagnie straniere hanno finora goduto di condizioni fiscali considerate tra le più blande al mondo.

"Il fatto politicamente rilevante è che ormai alcuni paesi dell’emisfero americano, Venezuela, Cuba ovviamente, ma anche Argentina e Brasile hanno costruito un nuovo asse geopolitico senza Washington (anzi che vede gli Usa come un ‘competitor’ o un avversario, anche se la partita di Brasilia è parzialmente diversa) - commenta Claudio Landi su Lettera 22: d’altra parte, tutti i leader e movimenti latinoamericani emergenti, moderati alla Lula e bolivariani alla Chavez tendono nettamente a sinistra. E all’elenco - che comprende anche paesi come l’Uruguay - peraltro potrebbe aggiungersi ora anche il Perù, dopo le imminenti prossime elezioni presidenziali che vedono in vantaggio il candidato ‘nazionalista’. Tutti questi paesi, chi più chi meno, chi con una strategia antagonista con gli Usa, chi per questioni molto pragmatiche, (i contratti e la crescita economica, le materie prime e il petrolio), si sono ritrovati spesso a Pechino con i dirigenti cinesi".

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