Nell'estate 2001, il Consiglio di Sicurezza dell'ONU ha istituito un tribunale per i crimini commessi nel Ruanda nel 1994, dove in sei mesi furono sterminate circa 800.000 persone. Gli imputati sono una sessantina, ma è stato subito notato che si tratta solo di esponenti del vecchio governo di Habyrimana, mentre non è stato incriminato nessun esponente del Fronte Patriottico Ruandese (FPR), che prese il potere nell'agosto del 1994 e che senza dubbio ha commesso atrocità contro la popolazione civile. Da parte del collegio della difesa, inoltre, si solleva il problema delle grosse responsabilità internazionali - in particolare quelle dei governi degli USA, dell'Inghilterra e dell'Uganda - negli sviluppi della regione iniziati nel 1990 e conclusi con la tragedia del 1994. Lo scorso luglio l'avvocato dell'ex ministro dei Trasporti Andre Ntagerura ha invitato a deporre Uwe Friesecke dell'Executive Intelligence Review, affinché desse un quadro della realtà internazionale di quei fatti, e Wayne Madson, specialista dello spionaggio USA, affinché dicesse chi ha abbattuto l'aereo in cui il 6 aprile 1994 persero la vita i presidenti del Ruanda e del Burundi. Le due testimonianze sono state respinte dalla Corte, presieduta da Lloyd George Williams of St Kitts and Nevis, che evidentemente non intende fare luce sugli eventuali mandanti. In tal modo si colpisce solo l'élite Hutu e questo non contribuisce all’indispensabile processo di riconciliazione in Ruanda e Burundi. Nei numeri di novembre e dicembre 2002 il mensile «New African» ha pubblicato la documentazione preparata da Friesecke invitando i lettori a giudicare da soli se effettivamente la testimonianza fosse "irrilevante e inammissibile" come l’ha definita il giudice. Quando si cerca di stabilire le ragioni della catastrofe che ha colpito il Ruanda nel 1994 accade di frequente che i fattori strategici siano più spesso ignorati che riconosciuti. Senza tener conto di tali fattori, però, non si può stabilire la verità, per cui la giustizia diventa parziale. Mentre i protagonisti locali vengono puniti, spesso i principali colpevoli internazionali la fanno franca. Quelli verificatisi nel 1994 in Ruanda non furono conflitti armati interni, ma furono provocati da interventi dall'esterno. Limitando la discussione alla sola dinamica interna della società e della storia del Ruanda non è possibile risalire agli interventi dall'esterno, che definirono le condizioni per la catastrofe e assecondarono una delle parti del conflitto nelle sue operazioni militari. Negli anni Ottanta e Novanta, le potenze occidentali, specialmente quelle anglo-americane, ma anche quelle francofone nel ruolo di soci minoritari concorrenti, provocarono la crisi nella regione africana dei Grandi Laghi in due modi, rendendosi così responsabili della catastrofe che ne conseguì. Primo, rovinarono economicamente la regione, come pure il resto del continente africano, attraverso la politica degli aggiustamenti strutturali del FMI. Secondo, intervennero con operazioni coperte volte a manipolare i conflitti che covavano nella regione, allo scopo di esercitare il controllo politico. La combinazione dei due fattori condusse il Ruanda al disastro del 1994. Per comprendere questo fatto occorre tener conto delle seguenti considerazioni strategiche: 1. Gli avvenimenti del 1994 in Ruanda vanno inquadrati nel contesto della guerra in Africa Centrale, iniziata nel 1990 e protrattasi in una serie di conflitti armati fino ai nostri giorni. Da questo contesto risulta evidente come questi conflitti siano principalmente dovuti alla strategia geopolitica che le potenze occidentali, specialmente Stati Uniti ed Inghilterra, decisero di seguire nei confronti dell'Africa, e che merita di essere caratterizzata più propriamente come neo-colonialismo. 2. I favori accordati dai governi statunitense e britannico agli iniziatori della guerra nel 1990 è tale da imputare ai primi gravi responsabilità politiche, se non addirittura legali, per le conseguenze criminali delle loro azioni. 3. Le condizioni economiche imposte dalle istituzioni finanziarie internazionali al governo di Habyarimana distrussero la fabbrica sociale del Ruanda proprio quando veniva scatenata la guerra contro il paese, aggravando ulteriormente lo stato di disperazione della popolazione. 4. La disputa politica sul diritto dei rifugiati a rientrare nel paese si trasformò in un violento scontro, fino ad evocare uno spettro del passato del Ruanda, quello dello scontro tra gruppi etnici maggioritari e minoritari, che riesplose violento. L'assassinio di tre presidenti di stirpe Hutu nell'arco di soli sei mesi scatenò tensioni esplosive. 5. Le potenze occidentali non si mostrarono mai seriamente intenzionate a garantire i discutibili accordi di pace di Arusha. Dopo che questi vennero meno, esse decisero, ben coscienti di quali sarebbero state le conseguenze, di non intervenire in alcun modo per impedire la carneficina. 6. Gli avvenimenti nel Ruanda e nella regione mostrano come all'origine della politica occidentale in Africa non ci fossero soltanto gli interessi per le materie prime, ma anche l'ideologia diabolica del controllo demografico. 7. Queste considerazioni ci conducono alla conclusione che la teoria molto diffusa, secondo cui gli avvenimenti del 1994 in Ruanda furono la conseguenza del genocidio perpetrato da un gruppo etnico su di un altro gruppo etnico, non tiene conto del quadro completo dei fatti. È pertanto altamente discutibile che si considerino gli esponenti dell'elite politica di questo primo gruppo colpevoli di genocidio, per il semplice fatto che all'epoca dei fatti detenevano incarichi governativi. Sono accuse che diventano ancora più discutibili nel caso di Andre Ntagerura, personalità ben nota per il suo impegno allo sviluppo economico. L'invasione del Ruanda, iniziata il 1 ottobre 1990 ad opera di truppe provenienti dall'Uganda che si erano date il nome di Fronte Patriottico Ruandese (FPR), avviò un processo di devastanti guerre regionali che ancora oggi non si è concluso. In questa guerra il FPR si impadronì del potere nel luglio 1994. Due anni dopo le truppe ruandesi, burundiane e ugandesi invadevano lo Zaire, radevano al suolo i campi di rifugiati da Ruanda e Burundi nella provincia del Kivu, nello Zaire, e portavano al potere le cosiddette forze ribelli della Alleanza delle Forze Democratiche (AFD) con il loro nuovo leader Laurent Kabila, che si installarono a Kinshasa nel maggio 1997. Un anno più tardi, le truppe dall'Uganda e dal Ruanda invadevano di nuovo lo Zaire, che era diventato Repubblica Democratica del Congo, con il pretesto di sostenere il movimento ribelle del Rassemblement Congolais pour la Democratie (RCD Raggruppamento congolese per la Democrazia). Gli eserciti dello Zimbabwe, della Namibia e dell'Angola intervennero per salvare il governo di Kinshasa e affrontarono le forze d'invasione in una guerra di posizione che si svolse lungo il fronte che divide il Congo. Il Financial Times la definì cinicamente “la prima guerra mondiale africana”. Il numero delle vittime e l'entità dei disagi non trova paragoni nel periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale. Le vittime, dirette e indirette, dei 12 anni di conflitti dell'Africa centrale e orientale si possono stimare ad un minimo di cinque milioni, ma potrebbero essere anche otto milioni. Nel frattempo nelle provincie orientali del Congo le forze ribelli, controllate da Uganda e Ruanda, saccheggiano le risorse naturali del paese, specialmente diamanti e coltan, con un accanimento che non si era mai visto in passato. Come mai alla fine della Guerra Fredda, nel 1990, fu permesso che questa regione dell'Africa sprofondasse in una simile barbarie? Non erano state fatte promesse di pace ai paesi in via di sviluppo? L'Africa non avrebbe dovuto godere dei benefici derivanti sia dalla fine della guerra fredda che dalla cessazione dell'apartheid in Sud Africa? Sarebbe ingenuo cercare le risposte a queste domande nelle situazioni locali. L'Africa è diventata l'obiettivo di una nuova forma di unilateralismo emerso dopo la disintegrazione della superpotenza sovietica. In Africa l'alleanza tra Inghilterra e Stati Uniti ha condotto questo unilateralismo a nuovi estremi messi in atto con i vecchi metodi. I nuovi estremi sono quelli raggiunti nello sfruttamento delle risorse naturali e nelle sofferenze imposte alla popolazione. I vecchi metodi sono le operazioni coperte, militari e spionistiche, con cui si manipolano e gestiscono i conflitti regionali e locali per scopi politici. Il nuovo unilateralismo comporta anche un tentativo di ricolonizzazione dell'Africa da parte dell'establishment anglo-americano. La stampa britannica ne parla apertamente. Un esempio è dato dall'articolo di Norman Stone nell'edizione del 18 agosto 1996 del The Observer, “Perché l'impero deve contrattaccare”. Solo un programma di “re-imperialismo illuminato' dall'Europa può ristabilire l'ordine nel caos sanguinoso delle sue ex colonie in Africa”. L'ipocrisia di queste affermazioni sta nel fatto che gran parte di quel “caos sanguinoso” è stato creato proprio dalla politica occidentale di ingiustizia economica e finanziaria nei confronti dell'Africa, che è propria delle istituzioni come la Banca Mondiale e il FMI. Sovente poi, governi e servizi segreti occidentali si sono macchiati le mani di sangue con interventi diretti negli affari delle nazioni africane. Al governo belga sono occorsi quarant'anni per ammettere un proprio ruolo nell'assassinio di Patrice Lumumba in Congo, nel gennaio 1961, e per presentare le sue scuse. Al Foreign Office britannico sono occorsi trent'anni per rendere pubblici i documenti che confermano come Inghilterra e Israele fossero i veri manovratori del golpe di Idi Amin contro Milton Obote nel 1971. Adesso non è il caso di aspettare altri trenta o quarant'anni prima che le indagini confermino che i governi degli USA e dell'Inghilterra hanno avuto un ruolo nella serie di guerre e di rovesciamenti di regime susseguitisi in Ruanda, Burundi e Congo a partire dall'ottobre 1990. Le prove sono chiare già da oggi. Nell'aprile e maggio 2001, l'allora parlamentare americana Cynthia McKinney convocò una seduta della Sottocommissione per i diritti umani in seno alla Commissione rapporti internazionali per discutere della crisi umanitaria in Africa. In apertura dei lavori la McKinney dichiarava: “I resoconti che oggi ascolteremo contribuiranno a farci capire il perché dello stato in cui oggi versa l'Africa. Sentiremo come al nocciolo delle sofferenze africane c'è il desiderio occidentale, e soprattutto statunitense, di ottenere i diamanti, il petrolio, il gas e altre preziose risorse africane. Sentiremo come l'occidente, e soprattutto gli Stati Uniti, abbiano messo in moto una politica di oppressione e destabilizzazione animata non da principi morali, ma dallo spietato desiderio di arricchirsi sulle favolose ricchezze dell'Africa. Mentre pretendono di essere amici ed alleati di molti paesi africani, diverse nazioni occidentali, e mi vergogno di dover dire anche gli Stati Uniti, hanno in realtà tradito la fiducia di quei paesi perseguendo sistematicamente una politica militare ed economica a vantaggio del proprio tornaconto. I paesi occidentali hanno istigato la ribellione contro governi africani stabili incoraggiando, e persino armando partiti d'opposizione e formazioni ribelli affinché iniziassero l'insurrezione armata. Le nazioni occidentali hanno persino partecipato attivamente all'assassinio di alcuni capi di stato africani legittimi e regolarmente eletti per sostituirli con funzionari corrotti e malleabili. Le nazioni occidentali hanno persino incoraggiato e sono state complici dell'invasione illegale che alcune nazioni africane hanno commesso ai danni dei paesi vicini.” Alle sedute convocate dalla McKinney furono presentate le testimonianze di come alcune imprese del Commonwealth, quali la American Mineral Fields o la Barick Gold, che nel comitato dei consiglieri internazionali conta l'ex presidente George Bush senior e l'ex premier canadese Mulroney, abbiano preso accordi per future concessioni minerarie con le forze ribelli durante il periodo della guerra in Congo. Si discusse anche di come le attività condotte da queste imprese ai tempi della prima invasione del Congo/Zaire ad opera del Ruanda, nel 1996, venissero praticamente a coincidere con le attività di alcuni elementi dei servizi USA in rapporto all'avanzata dei ribelli dell'AFDL di Laurent Kabila. Gli elementi in questione erano funzionari delle ambasciate USA in Kinshasa, Kigali e Kampala e poi ancora della US Agency for International Development (USAID) e della US Defence Intelligence Agency (DIA). Alle audizioni fu presentata la testimonianza sulle operazioni coperte degli USA a sostegno della prima invasione del Ruanda nel Congo, del 1996, e poi di quella del 1998. Parte di questo sostegno fu un programma ufficiale di addestramento USA, l'Enhanced International Military Education and Training (E-IMET), condotto per conto del governo FPR a Kigali, prima dell'invasione del Congo/Zaire nell'ottobre 1996. Nelle campagne militari del Ruanda e dell'Uganda nel Congo, prima nel periodo 1996-97 e poi di nuovo nel 1998, ebbero un ruolo cruciale le operazioni coperte condotte da forze USA, comprendenti mercenari PMC (Private Military Contractors) come la Military Professional Resources (MPRI) di Alexandria nella Virginia. Fonti della regione dei Grandi Laghi hanno ripetutamente riferito che tra le forze dei ribelli ruandesi militavano soldati neri statunitensi. Il Pentagono e i servizi USA avrebbero inoltre fornito, e fornirebbero tutt'ora informazioni alle forze d'invasione, nelle diverse fasi dei combattimenti nel Congo orientale, via satellite o con altri mezzi. Se è così chiaramente assodato che gli interessi statunitensi e del Commonwealth britannico, governativi e privati, sono intervenuti in quelle operazioni che il governo FPR ruandese iniziò sin dal 1994 per occupare il Congo, resta da chiedersi in che misura essi avessero già le mani in pasta, nel periodo che va dal 1990 al 1994, quando il FPR prese il potere in Ruanda. Nella lotta per il potere in Ruanda dopo il 1959, centinaia di migliaia di Tutsi fuggirono in esilio, nei paesi limitrofi o anche oltremare. Verso la metà degli anni Ottanta una Diaspora Tutsi era già ben affermata negli Stati Uniti, in Canada, in Belgio, in Uganda, in Kenia ed altrove. Molti hanno lasciato il paese che erano bambini, altri sono nati nei luoghi d'esilio. Conoscevano il Ruanda solo dai racconti dei genitori. In Uganda fu organizzata la Rwanda Refugees Welfare Association (RRWF), che diventò successivamente la Rwandan Alliance for National Unity (RANU). Tra il 1981 ed il 1986, anno in cui Museveni prese il potere in Kampala, il RANU era attivo da Nairobi, in Kenya. Il suo settimo congresso si tenne di nuovo a Kampala, nel dicembre 1987, quando cambiò nuovamente sigla per chiamarsi Fronte Patriottico Ruandese (FPR). Diventò così un'organizzazione politica impegnata nella promozione del rimpatrio dei rifugiati e dei loro figli in Ruanda. Durante il regime di Obote in Uganda, migliaia di ruandesi in esilio entrarono nell'Esercito di Resistenza Nazionale (NRA) di Yoweri Museveni e combatterono con lui fino alla vittoria del 1986. I due personaggi principali furono Fred Rwigyema, che comandò le truppe FPR all'inizio dell'invasione del Ruanda il 1 ottobre 1990 e Paul Kagame che assunse il comando militare del FPR dopo l'uccisione di Rwigyema. Rwigyema conosceva Museveni dall'esilio in Tanzania, negli anni Settanta. Rwigyema e Kagame appartenevano ad un ristretto gruppo di amici di Museveni che iniziarono la guerriglia in Uganda nel 1981. Museveni, Rwigyema e Kagame appartenevano ad un gruppo di rivoluzionari radicali di sinistra talvolta chiamato “Il Kindergarten di Dar Es Salaam” che facevano riferimento all'ideologia di Franz Fanon e alla sua glorificazione della violenza come mezzo per effettuare cambiamenti rivoluzionari. Con il congresso mondiale dei rifugiati ruandesi che si tenne a Washington nell'agosto 1988 iniziò un notevole potenziamento della strategia del FPR volta a sollecitare il rimpatrio delle comunità in esilio. Il congresso fu organizzato dall'Associazione della Diaspora Banyarwanda a Washington e ottenne il sostegno della Commissione USA per i rifugiati, organizzazione finanziata dal governo e diretta da Roger Winter. La newsletter dei Banyarwanda ringraziò allora Roger Winter per “i suoi sforzi e contatti quodiani compiuti per loro”. Roger Winter diventò un attivo promotore di John Garang, leader dei ribelli e alleato di Museveni dell'Esercito di liberazione del popolo sudanese (SPLA) e per la causa del FPR a Washington. Roger Winter fu presente tra le truppe del FPR che compirono l'avanzata finale su Kigali nell'estate del 1994. Nel novembre 1996, durante l'attacco delle forze AFDL e ruandesi al campo dei rifugiati Mugunga presso Goma nello Zaire orientale, Winter era insieme a Laurent Kabila. Di questi egli parlò nella deposizione presso la Sottocommissione della camera per le operazioni internazionali e diritti umani il 4 dicembre 1996 a Washington. Il ruolo di Roger Winter nel FPR solleva un inquietante interrogativo. In che misura, nella sua veste di funzionario americano, influenzò le decisioni del FPR di adottare la politica del diritto dei rifugiati a rientrare in Ruanda con la forza? Non c'è nulla che può far credere che egli abbia scoraggiato la dirigenza del FPR dal seguire una strategia del rientro con la violenza. Anzi, dagli elogi che fece della vittoria del FPR in Ruanda, nel 1994, si può solo concludere che egli l'abbia sotenuta. È più probabile che egli abbia incoraggiato la dirigenza del FPR ad adottare tale strategia. Questo rappresenta un serio problema per il governo statunitense dell'epoca e merita delle indagini più approfondite. Il Ruanda aveva un governo internazionalmente riconosciuto che godeva di normali rapporti diplomatici con Washington, con altri stati e con l'ONU. Come ha quindi potuto il governo americano sostenere direttamente o indirettamente il FPR, quando questo era impegnato a rientrare nel paese con la violenza? Rientra nella strategia di impiegare le forze ribelli per cambiare i governi in Africa che successivamente è stata perseguita così apertamente da Washington. L'intenzione dichiarata del FPR di rientrare con la forza in Ruanda avrebbe dovuto incontrare una ferma reazione da parte del governo americano perché si trattava di una violazione flagrante delle convenzioni internazionali. Basti immaginare la situazione in cui i rifugiati dalla Germania dell'Est, che negli anni Sessanta si contavano in decine di migliaia nella Germania Occidentale, avessero allora costituito un'organizzazione con la quale cercare poi di invadere la Germania dell'Est negli anni Ottanta. Questo avrebbe probabilmente provocato la Terza Guerra Mondiale. Ma è più probabile che le forze americane, britanniche e francesi allora in Germania avrebbero bloccato tutto sul nascere. La dirigenza del FPR invece è potuta andare fino in fondo nella sua determinazione a rientrare nel Ruanda, se necessario con la forza, e invase il paese dall'Uganda a partire dal 1 ottobre 1990. La stragrande maggioranza di quelle forze ben armate erano membri attivi dell'Esercito di resistenza nazionale ugandese (NRA). I leader militari del FPR erano tutti alti ufficiali dell'esercito di Museveni. Si può così dire che il 1 ottobre 1990 l'Esercito ugandese ha invaso il Ruanda, anche se gli invasori si autodefinivano “ribelli“. Fred Rwigyema, comandante delle forze del FPR, era vicecomandante del NRA con il grado di general maggiore. Paul Kagame era maggiore del NRA e ne dirigeva lo spionaggio e il controspionaggio. Peter Bayingana era responsabile dei serivizi medici del NRA con il grado di maggiore. Chris Bunyenzi era maggiore del NRA e ne comandava la Brigata 306. Il maggiore Sam Kaka comandava la polizia militare del NRA. Sebbene il presidente ugandese Museveni abbia ripetutamente negato di essere al corrente dei preparativi dell'invasione, questo non è credibile, specialmente perché lui non ha mai mantenuto la promessa che avrebbe fermato “i ragazzi ruandesi”, come lui disse al presidente ruandese Habyrimana. Sulle prime l'invasione del FPR subì una serie di gravi sconfitte ad opera dell'esercito ruandese forte del sostegno militare della Francia, del Belgio e dello Zaire. Dei circa 4.000 invasori circa 1.800 furono uccisi mentre gli altri furono respinti oltre il confine ugandese. Se il presidente Museveni avesse seriamente voluto porre fine all'invasione, quello era il momento più opportuno per farlo. Invece il FPR riuscì a raggruppare le sue forze e a preparare una nuova offensiva sotto la nuova leadership del maggiore Paul Kagame che per ricoprire quell'incarico interruppe il suo corso di addestramento presso la Scuola del comando e dello stato maggiore degli Stati Uniti presso Forth Leavenworth. Questo fu possibile soltanto con sostanziali aiuti logistici dell'esercito ugandese. Questo fatto da solo basta a dimostrare che il presidente ugandese si era impegnato in quella guerra. L'invasione del Ruanda, nell'ottobre del 1990, si verificò nel momento in cui tutta l'attenzione mondiale era puntata sui preparativi di guerra degli gli Stati Uniti contro l'Iraq che iniziò nel gennaio 1991. L'Iraq fu punito perché aveva invaso il Kuwait nell'estate del 1990. Mentre invece per l'invasione ugandese del Ruanda il trattamento fu molto diverso. Invece di criticare quell'operazione, i governi statunitense ed inglese la sostennero completamente. Al Pentagono USA si teneva un programma di addestramento per gli ufficiali ugandesi al quale, come abbiamo visto, partecipò anche il maggiore Kagame. Quando questi sospese il corso che stava seguendo a Fort Leavenworth, per fare ritorno in Uganda, militari e servizi americani sapevano benissimo che andava ad assumere il comando delle truppe in guerra in Ruanda. Solo quattro mesi dopo che le forze d'invasione del FPR furono battute in Ruanda e respinte verso i territori ugandesi, Kagame era già riuscito a raccogliere un nuovo esercito di 5000 uomini ben equipaggiati per attaccare Ruhengeri il 23 gennaio 1991. Alla fine del 1992 il FPR contava in Ruanda almeno 12000 uomini. Il mantenimento di un tale esercito con viveri, uniformi, armi, trasporti e comunicazioni richiede un apparato logistico molto significativo e notevoli risorse finanziarie. Parte di questo denaro provenne dalla diaspora Tutsi, mentre il grosso dovette necessariamente provenire dall'esercito e quindi dal governo ugandese. La cosa fu ammessa persino dal presidente ugandese in un articolo apparso il 30 maggio 1999 sul giornale ugandese The Monitor: “L'Uganda decise due cose: 1) aiutare materialmente il Fronte Patriottico Ruandese (FPR) in modo che non fosse sconfitto; 2) incoraggiare il dialogo tra il presidente Habyarimana e i ruandesi della diaspora”. Nello stesso articolo Museveni ricorda di aver addestrato alla guerriglia il leader del FPR Fred Rwigyema, quand'era un ragazzo in Mozambico, e come questi, diventato general maggiore, era tra i 4.000 uomini di origine ruandese che facevano parte del nuovo esercito ugandese. Museveni riferisce anche di aver dato al general maggiore Kagame, che nel 1996 era ministro della Difesa a Kigali, l'idea di “reclutare una forza di 1200 soldati tra i Masisi Tutsi, addestrarli e integrarli nell'Esercito patriottico ruandese”. Kagame si mise al lavoro e nell'agosto 1996 aveva 2000 di questi soldati pronti per l'invasione del Congo/Zaire, all'inizio della marcia che portò Laurent Kabila al potere. In questa ed in altre occasioni, il presidente Ugandese riferisce che allo stesso modo fu preparata l'invasione del Ruanda del 1990. Museveni aveva preparato nel suo esercito una forza composta da migliaia di uomini e ufficiali di origine ruandese, ma quando questi attaccarono furono chiamati “ribelli Tutsi” sebbene fossero in realtà unità del NRA ugandese. Dalla stampa di quel periodo è evidente che governi e servizi segreti occidentali fossero chiaramente al corrente di questi metodi impiegati dall'Uganda contro i paesi vicini. Tuttavia il governo ugandese non godeva solo del sostegno politico dell'occidente, ma anche di quello economico, tanto da essere completamente dipendente dagli aiuti dei governi inglese e americano. Ancora oggi metà del bilancio ugandese è coperto da elargizioni dall'estero. Nel 1987 Lynda Chalker, ministro per gli affari esteri e del Commonwealth del governo britannico, mediò un accordo tra il governo ugandese e il FMI che fu sottoscritto a giugno. Da allora il governo ugandese ha sottoposto il paese alla ricetta degli aggiustamenti strutturali. Svalutazione, austerità, privatizzazioni, deregolamentazioni e abolizione delle tariffe hanno fatto di Museveni il modello del FMI per tutta l'Africa. A lui hanno indistintamente tributato lodi e onori tutti i governi occidentali e i vertici del mondo finanziario e bancario, a partire dall'Inghilterra, ex proprietaria coloniale dell'Uganda. La pubblicità per questo ex maoista seguace delle teorie rivoluzionarie di Franz Fanon fu tale che nel 1995 lo invitarono a tenere un discorso all'incontro annuale del World Economic Forum di Davos. Lynda Chalker, che oltre ad essere ministro del governo di John Mayor ricopriva l'incarico ancora più importante di esponente del Privy Council della Corona, intrattenne rapporti strettissimi con il presidente ugandese tanto che ne parlò anche un noto specialista africano, il giornalista inglese Richard Dowden. Secondo alcuni resoconti, Museveni avrebbe presentato la Chalker a Kagame. Lynda Chalker fu la prima personalità occidentale a visitare Kigali dopo la conquista del FPR al comando di Kagame. Vi fece aprire subito un'ambasciata britannica dove, durante i suoi viaggi in Africa, vi si trattenne di frequente per incontrare Kagame. Lasciato l'incarico governativo, la Chalker è passata ai vertici della Banca Mondiale e del World Economic Forum di Davos. Mantiene ancora ottimi rapporti con l'ex leader del FPR e attuale presidente ruandese. Yoveri Museveni è il caso esemplare di una nuova generazione di leader africani, che negli anni Settanta fecero parte di un vivaio di marxisti presso l'università di Dar Es Salaam ma che negli anni Ottanta e Novanta si trasformarono in liberisti riformisti per essere docilmente impiegati dai governi britannico e americano nei loro maneggi geopolitici in Africa. Oltre a farne un esempio di imposizione della politica del FMI, Washington e Londra costituirono attorno al governo ugandese, all'inizio degli anni Novanta, un'alleanza contro quella che viene definita la minaccia fondamentalista del Sudan. In secondo luogo sono state organizzate operazioni congiunte tra Uganda e FPR ruadese per ridefinire gli equilibri del potere nel centro e nel sud del continente africano. La guerra in Ruanda tra il 1990 ed il 1994 si colloca all'inizio di questo processo. I disegni anglo-americani diventarono più ovvi nei successivi avvenimenti nel Congo. Questo è il motivo per cui Nujoma, presidente della Namibia, definì nel 1998 la marcia delle truppe ruandesi e ugandesi nel Congo una minaccia alla sicurezza del proprio paese e dispiegò le sue truppe congiuntamente a quelle dello Zimbabwe per fermarla. Il 20 maggio 1997, dopo la presa del potere di Laurent Kabila a Kinshasa, il Times di Londra descrisse la geopolitca anglo-americana dietro Kabila in questi termini: “Nel novembre dell'anno scorso Washington dette il suo sostegno diplomatico alla ribellione nello Zaire orientale, prevalentemente dei Tutsi, che è sfociata in una rivoluzione con il rovesciamento di Mobutu la scorsa settimana. Di conseguenza ambienti francesi vedono una 'cospirazione anglofona' dietro il movimento di Kabila, in cui l'Inghilterra mette il know-how dell'era imperiale e gli americani i soldi e l'addestramento militare che sono occorsi ai Tutsi per invadere lo Zaire da un capo all'altro in soli sette mesi. Nella teoria cospiratoria forse qualcosa di vero c'è. Tra i beneficiari del cambiamento di regime ci sono George Bush, che insieme all'ex primo ministro canadese Brian Mulroney è consigliere della Barrick Gold di Toronto, la quale ha acquistato dai ribelli una concessione mineraria per l'oro di 80 mila chilometri quadrati nel nordest dello Zaire." Ma la cospirazione è più profonda e più sottile. L'articolo descrive poi l'alleanza dei nuovi leader africani su cui la strategia anglo-americana può fare affidamento: Yoweri Museveni dell'Uganda, Paul Kagame del Ruanda, John Garang dello SPLA sudanese, Issia Afewerki in Eritrea e Meles Zenawi in Etiopia. Mentre la popolazione continua a morire di fame e di stenti, i movimenti dei ribelli controllati da Ruanda e Uganda nel Congo orientale oggi riforniscono di preziose materie prime l'Europa e l'America settentrionale. Peter Scholl-Latour, uno dei più affermati giornalisti tedeschi che vanta quarant'anni di esperienza in Africa Centrale, ha recentemente riferito un fatto verificatosi nell'estate 2000 che gli è stato personalmente riferito da fonti molto attendibili di Kigali. Quando le tensioni tra gli ex alleati ruandesi e ugandesi giunsero fino a dei veri e propri scontri tra queste forze nel Congo, il sottosegretario di Stato USA per l'Africa, Susan Rice, intervenne personalmente a minacciare ambedue i governi di gravi conseguenze se non fossero immediatamente riprese le forniture del minerale strategico Coltan verso gli USA, interrotte a causa dei loro scontri. La versione completa in inglese, corredata di riferimenti alle fonti ed alla bibliografia è disponibile in rete: http://www.larouchepub.com/other/2002/2928arusha_uwe.html [Solidarietà,
anno XI n. 1, febbraio 2003] |