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Rigoberta Menchù
Aids in Africa, un business per le multinazionali dei farmaci |
«I
poveri non sono mendicanti. Non hanno bisogno dell’elemosina
e non vanno trasformati in vittime. Bisogna aiutare l’Africa
a creare il proprio sviluppo». La premio Nobel per
la Pace Rigoberta Menchù, non ha dubbi sul ruolo dell’Occidente
nel Terzo Mondo. Parole dure, ma non isolate, nella seconda giornata
del VI Summit mondiale dei premi Nobel per la Pace in corso a
Roma. «Il destino dell'Africa è intimamente legato
al nostro destino. Siamo noi che abbiamo saccheggiato le loro
ricchezze, i loro diamanti, il loro petrolio. Siamo noi che abbiamo
sterminato i loro animali, portando molte specie vicino all’estinzione.
Abbiamo il dovere di riparare a tutto quello che abbiamo fatto»,
dice Kerry Kennedy, la figlia di Robert F. Kennedy, nel suo intervento
al Summit. La Kennedy è presidente di «Speak Truth
to Power» e della «Robert F. Kennedy Memorial»,
organizzazioni impegnate da anni nella difesa dei diritti umani.
All’appello a «non dimenticare l'Africa»
si è unito anche Frederick Willem De Klerk, ex presidente
del Sudafrica e Nobel per la Pace: «Le emergenze in
Africa restano, e possono essere risolte solo attraverso la collaborazione
della stessa Africa». Nel suo intervento il sindaco
di Roma, Walter Veltroni, ha annunciato la sua partenza oggi per
il Ruanda. Il sindaco sarà accompagnato da 97 studenti
romani. «Andiamo lì per aprire una scuola e un
acquedotto. Dobbiamo accompagnare la speranza del Ruanda, un paese
che sta costruendo la sua identità». Stretta
nel suo scialle di cotone colorato, in un rigoroso abbigliamento
indigeno, Rigoberta Menchù, la donna guatemalteca, simbolo
delle battaglie degli indios, risponde alle domande de l’Unità.
Molti
esperti di Africa come Latouche ritengono che «il
semplice aiuto umanitario allunghi l’agonia dell’Africa»,
occidentalizzandola. Lei cosa ne pensa?
«Sono d’accordo. Non è sufficiente regalare
fondi per il mio paese o per il continente africano, è
necessario rafforzare le organizzazioni locali, è importante
dare dignità alle persone che vivono lì. Non esiste
una ricchezza sufficiente a dare assistenza a tutti i poveri del
mondo. Inoltre, si creerebbe una dipendenza che trasforma la popolazione
in vittime. E non è opportuno convertire un popolo in vittime.
Questo è quello che abbiamo vissuto anche noi. Sentirsi
vittime elimina l’autostima, distrugge la leadership locale,
le persone perdono la loro cultura e non valorizzano il loro patrimonio
spirituale e culturale. Non bisogna limitarsi all’assistenza:
i poveri non sono mendicanti. Devono mantenere la loro dignità.
C’è un altro aspetto, poi, che normalmente non si
considera. I governanti che ci sono in questi paesi, spesso sono
caratterizzati da corruzione, anche se a volte vengono definiti
“democratici”. Il sistema elettorale è in crisi
in Africa. Si discute molto, a livello mondiale, sulle proteste,
le marce, gli scioperi. Alcuni pensano che questi strumenti possono
debilitare lo Stato e la governabilità. Ma anche bloccare
l’iniziativa di un popolo vuol dire limitare la governabilità,
visto che prima o poi i problemi esplodono. Bisogna appoggiare
i popoli perché rafforzino le loro iniziative di protesta
e non bisogna limitarle».
Se
non soltanto l’assistenza, come intervenire allora nella
tragedia africana? E qual è il ruolo che possono avere
le Ong (Organizzazioni non governative)?
«Bisogna avere un equilibrio tra l’aiuto ufficiale
e l’aiuto non governativo. Dobbiamo rafforzare la leadership
e le organizzazioni locali. E le Ong possono essere un ostacolo,
quando queste ultime si sostituiscono agli attori locali. C’è
il rischio che le Ong portino settarismo, divisione e si trasformino
in intermediari. E questi ultimi che siano governativi o non governativi
sono negativi. Dobbiamo tornare ad avere un equilibrio, è
l’unica possibilità per ottenere l’approvazione
della comunità locale».
Il
ruolo delle missioni cattoliche?
«Devono rispettare le culture. Un errore molto grave
commesso dalla Chiesa cattolica è stato quello di omogeneizzare
le persone, un fenomeno negativo da tutti i punti di vista, poiché
vuol dire andare contro la natura umana, contro la diversità.
Quindi è il momento che la Chiesa rispetti le differenza
culturali, linguistiche ma anche la spiritualità delle
persone. Altrimenti continuano ad essere dei colonizzatori».
L’Africa
è devastata dall’Aids. Ma i brevetti dei farmaci
impediscono la produzione di farmaci generici. Gli altri sono
cari. Come uscirne?
«Credo che il tema dei brevetti sia interessantissimo.
L’Aids e le gravi malattie sono state trasformate in un
business per le multinazionali. Invece di democratizzare il prezzo
delle medicine, queste diventano sempre più care. Si tratta
di una contraddizione rispetto alla preservazione della vita.
Alcune multinazionali chiedono soldi per la ricerca e trasformano
il farmaco in uno strumento di profitto. Ma se si democratizzasse
l’uso della scienza medica, tutti i malati avrebbero accesso
ai farmaci. Abbiamo 100 farmacie in Guatemala che vendono farmaci
generici: più riusciamo a far utilizzare generici e più
i prezzi si riducono. Si guadagna ugualmente anche se i prezzi
sono inferiori perché se ne vendono una maggiore quantità.
Purtroppo con il pretesto dei costi di ricerca si lucra sulla
vita umana».
l'Unità,
25.11.2005
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