Nato
nel 1887 e laureatosi ad Harvard nel 1910, Reed era figlio
di un liberale di Portland, nell'Oregon, che s'era coltivato
le antipatie locali per avere avversato il trust dei
legnami
(foto di Tina Modotti) John Reed non era mai stato un teorico, ma sapeva imparare da ciò che vedeva, e vedeva con straordinaria chiarezza: la sua formazione era stata quasi esclusivamente un processo di osservazioni dirette. Trotskij lo definì "un uomo che sapeva vedere ed ascoltare." Nell'aprile del 1913, negli Stati Uniti, s'era recato a Paterson, nel New Jersey, per seguirvi il famoso sciopero dei setaioli, era stato arrestato e aveva passato quattro giorni in prigione. Il risultato fu che, in giugno, egli produsse una rivista sullo sciopero di Paterson al Madison Square Garden. I suoi amici del mondo elegante ne rimasero scandalizzati: John Reed, che solo pochi mesi prima aveva organizzato una specie ben diversa di spettacolo al Dutch Treat Club per lo svago degli scrittori meglio pagati di New York, li aveva in un certo senso traditi. Si sentirono sempre piu traditi nei sette anni di vita che restavano a Reed, e molti di essi seppero anche prendersi la rivincita. La sera della rappresentazione 1.200 operai/attori attraversano l'Hudson ed entrano in un Madison Square Garden stracolmo per andare a raccontare la loro lotta ai lavoratori di New York. È uno spettacolo, per così dire, interattivo, in cui il pubblico è chiamato a partecipare alle scene di massa (i comizi, il funerale di Valentino Modestino, lavoratore di origine italiana ucciso dalla polizia, l'arrivo delle "madri dello sciopero", donne che accudiranno i bambini degli scioperanti mentre i loro genitori sono in lotta). Nel gran finale tutti insieme, i 1.200 operai attori e i 15.000 operai spettatori fanno tremare le pareti del Madison Square Garden al canto dell'Internazionale. Quando, dopo sei mesi spensierati trascorsi in Europa, Reed divenne redattore dell'American Magazine, credeva che il suo futuro fosse di guadagnare un milione di dollari e poi sposarsi. Nel frattempo però andava conoscendo New York e i dubbi crescevano. Nelle sue poesie e nei suoi racconti si nota un senso di crescente simpatia e solidarietà per i poveri e per gli oppressi, e non c'è quindi da stupirsi se la rivista progressista Masses dal febbraio 1913 lo ebbe tra i suoi più assidui collaboratori. Ma fu Paterson, la vista di migliaia di scioperanti affamati, indignati, decisi, che gli fece capire quante cose al mondo ci fossero piu importanti delle sue velleità poetiche. Ed eccolo, verso la fine del 1913, partire alla volta del Messico come inviato speciale del Metropolitan Magazine. Una settimana dopo aver raggiunto l'esercito, conobbe Pancho Villa: un rivoluzionario romantico, coraggioso, sostenuto dalla parte piu povera e più oppressa del popolo messicano, che combatteva contro il potere. Ciò era sufficiente per John Reed, che diventò amico personale di Villa, fraternizzò coi suoi soldati e rischiò la morte nelle loro battaglie. Da tutte queste esperienze nacque un libro incandescente, il "quadro romantico di romantici guerrieri", Messico insorto. Durante il viaggio di ritorno in patria, Reed si fermò a Ludlow, nel Colorado, dove imparò molto di più di quel che non avesse appreso con Villa: la polizia privata dei proprietari delle miniere (la Rockefeller's Colorado Fuel and Iron Company) era giunta a mitragliare e a incendiare le tende degli scioperanti, uccidendo uomini, donne e bambini. Giuntovi dieci giorni dopo il massacro e vedendo le rovine del luogo dove gli scioperanti erano stati bruciati vivi con mogli e i figli, decise di scoprire il motivo di quanto era avvenuto: ci riuscì ed il suo articolo su Ludlow rivela una comprensione e una maturità di giudizio sulle forze sociali che in Messico insorto ancora non erano emerse. Alludiamo al fatto di Ludlow perché Reed doveva fare qualcosa dello stesso genere, ma su scala infinitamente più vasta, in seguito. Ma per il momento la sua fama si basava sulle sue corrispondenze dal Messico e quindi fu inviato in Europa, dov'era scoppiata la guerra, prima sul fronte occidentale e poi su quello orientale. La guerra messicana in qualche modo era stata piena di colore, umana, comprensibile. Ma la guerra mondiale si rivelò tetra, disumana, opprimente. Reed era troppo onesto per romanzare sui massacri brutali, scientifici, e la Guerra sul Fronte Orientale fu assai meno ricca di colore di Messico insorto. Egli si rendeva conto di quanto stava accadendo e, quantunque i suoi articoli sul Metropolitan fossero ampiamente descrittivi, in Masses parlò nettamente di questa "guerra di mercanti". In Russia, dove fu imprigionato per trentun volte, vide i sintomi di una rivoluzione imminente. Per tutto il 1916 e i primi mesi del 1917, Reed indagò su tutti gli aspetti della guerra, soprattutto i meno eroici, ma ora le grandi riviste popolari che si erano contese la sua collaborazione cominciavano a cedere alla pressione dei fautori della guerra, e Reed si vide a poco a poco ridotto alla sola stampa radicale. Gli uomini di Harvard e molti dei suoi vecchi amici non gli rivolgevano più la parola. E tuttavia Reed non era propriamente un rivoluzionario. Votò per Woodrow Wilson nel 1916, "perché WalI Street era contro di lui". Egli era contrario al conflitto, sapeva che quella era una guerra imperialista; si rendeva conto che il capitalismo prima o poi doveva essere battuto e voleva dare il suo contributo in questa lotta; ma non aveva nessun piano concreto per la distruzione dell'ordine esistente e solo la più vaga idea del tipo di sistema sociale che doveva sostituirlo. Aspettava di vederlo coi propri occhi, e in quei dieci giorni che sconvolsero il mondo la vide. Non ci fu mai il minimo ondeggiamento nelle idee di Reed, dopo di allora. Sapeva che solo il proletariato poteva distruggere il capitalismo, che esso doveva essere guidato da un partito disciplinato, essere pronto a resistere alla violenza dei suoi nemici e a conquistare la macchina governativa per stabilire la propria supremazia. Egli si mise a disposizione dell'Ufficio di Propaganda Rivoluzionaria Internazionale, che preparava giornali ed opuscoli da distribuire tanto tra gli eserciti degli Alleati quanto tra quelli dell'Intesa. Parlò anche, nel gennaio del '18, ai Soviet Panrussi. Tuttavia il suo compito principale, come lui e i capi della Rivoluzione lo concepivano, era quello di raccogliere materiale sulle lotte rivoluzionarie e l'organizzazione dei Soviet, in modo che fosse possibile spiegare tutto ciò agli operai americani. Poiché le sue carte gli vennero confiscate appena fu sbarcato in America, egli non poté cominciare subito il libro, ma narrò la storia della Rivoluzione sul Liberator, che aveva preso il posto del soppresso Masses, e nel corso di conferenze tenute in numerose città. Quando le sue carte gli furono restituite, egli scrisse Dieci giorni che sconvoIsero il mondo. Per apprezzare pienamente la grandezza del libro, bisognerebbe confrontarlo coi resoconti scritti dagli altri americani, sia favorevoli sia contrari, che si trovavano in Russia durante la rivoluzione. In realtà, non si può paragonarlo a niente di ciò che è stato scritto sulla conquista del potere da parte dei bolscevichi: in quel libro si sente che John Reed ha visto tutto ed ha compreso tutto. Il poeta ch'era in lui rendeva vivido ogni particolare, il rivoluzionario dava significato ad ogni dettaglio: Dieci giorni non sono solo il frutto di impressioni personali, come Messico insorto, ma un libro analitico, accuratamente documentato; le sue descrizioni hanno la concretezza che rivela la sensibilità e l'acutezza del poeta (e si tenga presente l'etimologia: dal greco poièin, fare) Il dramma è quello dei grandi eventI, chiaramente compresi e raccontati con un misto di obiettività e partecipazione. Dieci giorni che sconvolsero il mondo è il racconto di una straordinaria avventura, dell'evento più significativo del XX secolo ed è anche un travolgente appello rivoluzionario. Il giovane dilettante era scomparso e il John Reed tornato dalla Russia era un uomo maturo, con un piano d'azione preciso. Il suo scopo aveva due facce: raccontare la storia della rivoluzione, smentendo le menzogne della stampa borghese e creando un'opinione pubblica favorevole al riconoscimento della Russia e al ritiro delle truppe americane; ed organizzare dei socialisti militanti, di sinistra, in un effettivo corpo rivoluzionario. Dieci giorni fu il suo contributo principale alla prima causa, ma non il solo: messo al bando dalla stampa capitalistica, scriveva largamente per quella radicale e faceva conferenze ininterrottamente per tutto l'Est e il Middle West, ancorché l'arresto fosse sempre un pericolo incombente e, cinque o sei volte, divenisse anche una realtà. Nell'organizzare l'ala sinistra del movimento socialista nordamericano, divenne anche I'anima dei giornali Età rivoluzionaria e La Voce del Popolo. All'inizio del 1917, Reed sposa la giornalista Louise Bryant. Quando nacque in America il Partito Comunista del Lavoro, il 31 agosto 1919, egli ne fu uno dei capi riconosciuti. Non c'è da stupirsi, quindi, se Reed fu accolto entusiasticamente al suo ritorno in Russia nell'autunno 1919. Dieci giorni, tradotto dalla moglie di Lenin, la Krupskaja, e particolarmente raccomandato dallo stesso Lenin, era stato venduto in innumerevoli copie proprio quando più ferveva la guerra civile ed era usato come testo nelle scuole dell'Unione Sovietica. Inoltre Reed ritornava non piu soltanto come un semplice giornalista pieno di simpatia per la causa sovietica, ma come rappresentante ufficiale del Partito Comunista Americano. In Russia fu addetto all'Internazionale comunista e in questa veste compì varie missioni. Nell'aprile 1920 fu arrestato in Finlandia, mentre tentava di ritornare negli Stati Uniti. Dopo parecchie settimane di isolamento completo e di dieta a base di pesce secco, fu rilasciato e rimandato in Russia. Attivissimo al secondo congresso dell'Internazionale Comunista, nell'estate di quello stesso anno venne nominato membro del Comitato Esecutivo. Era, quella, una strana posizione per John Reed, poeta. Egli non era un rivoluzionario di professione, ma semplicemente uno scrittore, a cui erano state offerte una grande occasione e una grande responsabilità, che egli aveva accettato in pieno. Quanto ebbero a dire taluni su un'abiura del comunismo da parte sua, nel 1920, è una pura favola. A Baku, o nel suo viaggio di ritorno a Mosca, John Reed mangiò della frutta che non era stata lavata e che portava il germe fatale del tifo. Qualche giorno dopo veniva ricoverato d'urgenza all'ospedale, ma nonostante le cure di quattro medici lo sviluppo della malattia non potè essere bloccato. Forse, se gli Stati Uniti non avessero imposto un blocco (!) che impediva l'accesso in Russia d'ogni specie di medicinali, la fine avrebbe potuto essere diversa. Reed morì il 17 ottobre 1920. Una delle ultime cose che fece fu la correzione della raccolta dei suoi discorsi pronunciati al congresso dell'Internazionale. Il suo corpo fu vegliato da soldati dell'Esercito Rosso, e fu sepolto nella Piazza Rossa: ai funerali parlarono Bucharin, Aleksandra Kollontai, Radek. La rivista Liberator annunciò così la sua scomparsa: “John Reed è morto mentre compiva il suo dovere rivoluzionario.” Gli americani di passaggio per Mosca visitarono la sua tomba presso le mura del Cremlino, e non solo quelli che sono fieri di ritenersi compagni di John Reed, ma anche coloro che lo irridevano o fingevano di versare una lacrima perché "un grande poeta si rovinò per diventare un rivoluzionario di quart'ordine". Reed non fu un grande poeta, ma, se fosse vissuto, avrebbe anche potuto diventarlo. Inoltre, anche se non fu un rivoluzionario (almeno così com'era concepito all'epoca) o un organizzatore o un teorico di alto livello, fu un eccezionale scrittore rivoluzionario. John Reed trovò se stesso quando ebbe scoperto la rivoluzione. Se non l'avesse scoperta, o se avesse respinto le responsabilità che questa scoperta gli addossava, sarebbe rimasto il poeta che era stato agli inizi. Ma il fatto che fosse comunque un poeta spiega molti dei grandi meriti di Dieci giorni, e, per fortuna, Reed fu una specie particolare di poeta. Non si rifugiò in una torre d'avorio, ancorchè rivoluzionaria, a scrivere versi quando la rivoluzione chiedeva del giornalismo; fece del giornalismo e vi si espresse da poeta, appunto. E quando i doveri della rivoluzione lo portarono dal giornalismo all'agitazione e all'organizzazione, egli fece del suo meglio in compiti che non s'era scelto lui, e, anche in questo caso, lo fece da poeta. John Reed avrebbe potuto, in altre circostanze, scrivere della grande poesia rivoluzionaria. Scrisse Dieci giorni che sconvolsero il mondo. Opere:
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