[Q 3, p. 328 (PP, p. 70)] Della espressione “spontaneità” si possono dare diverse definizioni, perché il fenomeno cui essa si riferisce è multilaterale. Intanto occorre rilevare che non esiste nella storia la “pura” spontaneità: essa coinciderebbe con la “pura” meccanicità. Nel movimento “più spontaneo” gli elementi di “direzione consapevole” sono semplicemente incontrollabili, non hanno lasciato documento accertabile. Si può dire che l’elemento della spontaneità è perciò caratteristico della “storia delle classi subalterne”, e anzi degli elementi più marginali e periferici di queste classi, che non hanno raggiunto la coscienza della classe “per sé” 1] e che perciò non sospettano neanche che la loro storia possa avere una qualsiasi importanza e che abbia un qualsiasi valore lasciarne tracce documentarie. 2] Esiste dunque, una “molteplicità” di elementi di “direzione consapevole” in questi movimenti, ma nessuno di essi è predominante, o sorpassa il livello della “scienza popolare” di un determinato strato sociale, del “senso comune” ossia della concezione del mondo tradizionale di quel determinato strato. [...]Che in ogni movimento “spontaneo” vi sia un elemento primitivo di direzione consapevole, di disciplina, è dimostrato indirettamente dal fatto che esistono delle correnti e dei gruppi che sostengono la spontaneità come metodo. A questo proposito occorre fare una distinzione tra elementi puramente “ideologici” ed elementi d’azione pratica, tra studiosi che sostengono la spontaneità come “metodo” immanente e obiettivo del divenire storico e politicanti che la sostengono come metodo “politico”. Nei primi si tratta di una concezione errata, nei secondi si tratta di una contraddizione immediata e, meschina che lascia vedere l’origine pratica evidente, cioè la volontà immediata di sostituire una determinata direzione a un’altra. Anche negli studiosi l’errore ha un’origine pratica, ma non immediata come nei secoli. L’apoliticismo dei sindacalisti francesi dell’anteguerra conteneva ambedue questi elementi: era un errore teorico e una contraddizione (c’era l’elemento “sorelliano” 3] e l’elemento della concorrenza tra la tendenza politica anarchico-sindacalista e la corrente socialista). [...]Il movimento torinese 4] fu accusato contemporaneamente di essere “spontaneista” e “volontarista” o bergsoniano (!). 5] L’accusa contraddittoria, analizzata, mostra la fecondità e la giustezza della direzione impressagli. Questa direzione non era “astratta”, non consisteva nel ripetere meccanicamente delle formule scientifiche o teoriche; non confondeva la politica, l’azione reale con la disquisizione teorica; essa si applicava a uomini reali, formatisi in determinati rapporti storici, con determinati sentimenti, modi di vedere, frammenti di concezioni del mondo, ecc., che risultavano dalle combinazioni “spontanee” di un dato ambiente di produzione materiale, con il “casuale” agglomerarsi in esso di elementi sociali disparati. Questo elemento di “spontaneità” non fu trascurato e tanto meno disprezzato: fu educato, fu indirizzato, fu purificato da tutto ciò che di estraneo poteva inquinarlo, per renderlo omogeneo, ma in modo vivente, storicamente efficiente, con la teoria moderna. 6] Si parlava dagli stessi dirigenti di “spontaneità” del movimento; era giusto che se ne parlasse: questa affermazione era uno stimolante, un energetico, un elemento di unificazione in profondità, era più di tutto la negazione che si trattasse di qualcosa di arbitrario, di avventuroso, di artefatto e non di storicamente necessario. Dava alla massa una coscienza “teoretica”, di creatrice di valori storici istituzionali, di fondatrice di Stati. Questa unità della “spontaneità” e della “direzione consapevole” ossia della “disciplina”, è appunto l’azione politica reale delle classi subalterne, in quanto politica di massa e non semplice avven-tura di gruppi che si richiamano alla massa. Si presenta una quistione teorica fondamentale a questo proposito: la teoria moderna può essere in opposizione con i sentimenti “spontanei” delle masse? (“spontanei” nel senso che non sono dovuti a un’attività educatrice sistematica da parte di un gruppo dirigente già consapevole, ma formatisi attraverso la esperienza quotidiana illuminata dal “senso comune”, cioè dalla concezione tradizionale popolare del mondo, quello che molto pedestremente si chiama “istinto”e non è anch’esso che un’acquisizione storica primitiva ed elementare). Non può essere in opposizione: tra di essi c’è differenza “quantitativa” di grado, non di qualità: deve essere possibile una “riduzione, per così dire, reciproca, un passaggio dagli uni all’altra e viceversa. [...] Trascurare e peggio disprezzare i movimenti così detti “spontanei”, cioè rinunziare a dar loro una direzione consapevole, ad elevarli a un piano superiore inserendoli nella politica; può avere spesso conseguenze molto serie e gravi. Avviene quasi sempre che a un movimento “spontaneo” delle classi subalterne si accompagna un movimento reazionario della destra della classe dominante, per motivi concomitanti: una crisi economica, per esempio, determina malcon-tento nelle classi subalterne e movimenti spontanei di massa da una parte, e, dall’altra, determina complotti di gruppi reazionari, che approfittano dell’ indebolimento obiettivo del governo per tentare dei colpi di Stato. Tra le cause efficienti di questi colpi di Stato è da porre la rinunzia dei gruppi responsabili a dare una direzione consapevole ai moti spontanei e a farli diventare quindi un fattore politico positivo. Esempio dei Vespri siciliani e discussioni degli storici per accertare se si tratti di movimento spontaneo o di movimento concertato: mi pare che i due elementi si siano combinati nei Vespri siciliani, l’insurrezione spontanea del popolo siciliano contro i provenzali, estesasi rapidamente tanto da dare l’impressione della simultaneità e quindi del concerto esistente, per l’oppressione diventata ormai intollerabile su tutta l’area nazionale, e l’elemento consapevole di varia importanza ed efficienza, con il prevalere della congiura di Giovanni da Procida con gli Aragonesi. Altri esempi si possono trarre da tutte le rivoluzioni passate, in cui le classi subalterne erano parecchie e gerarchizzate dalla posizione economica e dall’omogeneità. I movimenti “spontanei” degli strati popolari più vasti rendono possibile l’avvento al potere della classe subalterna più progredita per l’indebolimento obiettivo dello Stato. Questo è ancora un esempio “progressivo”; ma sono, nel mondo moderno, più frequenti gli esempi regressivi.Concezione storico-politica, scolastica e accademica, per cui è reale e degno solo quel moto che è consapevole al cento per cento e che anzi è determinato da un piano minutamente tracciato in antecedenza o che corrisponde (ciò che è lo stesso) alla teoria astratta. Ma la realtà è ricca delle combinazioni più bizzarre ed è il teorico che deve in questa bizzarria rintracciare la riprova della sua teoria, “tradurre” in linguaggio teorico gli elementi della vita storica e non viceversa la realtà presentarsi secondo lo schema astratto. Questo non avverrà mai e quindi questa concezione non è che una espressione di passività . [1] Espressione filosofica, propria soprattutto di Kant, che significa più o meno “autonoma, autosufficiente”.[2] La storia delle classi popolari appare “spontanea” perché gli elementi di direzione non sono documentabili e non perché non vi siano. [3] Da Georges Sorel (v. note a L’operaio di fabbrica). [4] I Consigli di fabbrica e l’Ordine Nuovo. [5] L’accusa di “bergsonismo” venne fatta al gruppo dell’Ordine Nuovo al convegno di Firenze del PSI (1917), e più volte ripetuta nella pubblicistica politica. Dal nome del filosofo francese Henry Bergson (1859-1941), le cui posizioni influenzarono largamente Sorel. [6] Cioè con il marxismo. |