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Luciano Canfora
Il revisionismo storico |
Prolusione al III Congresso del PdCI - Rimini, febbraio 2004
Vorrei
esordire ricordando una verità elementare: che cioè
la storia la scrivono i vincitori. E poiché la lunga guerra
europea e poi mondiale incominciata nel 1914 e sviluppatasi in
più fasi è finita, dopo vari rivolgimenti, paci
apparenti, cambi di fronte, con la sconfitta dell'Unione Ssovietica
nel 1991, è evidente che per ora, e per lungo tempo ancora,
la storia che prevarrà sarà quella scritta dai nemici
dell'Unione Sovietica e quindi dell'antifascismo.
Non
stupisca quel "quindi": l'antifascismo, anche non comunista,
ebbe sempre una considerazione rispettosa della storia e del ruolo
dell'URSS.
Non
è casuale che un capofila del revisionismo storiografico
come François Furet, nel suo troppo vezzeggiato pamphlet Il passato di un'illusione, abbia presentato reiteratamente
l'antifascismo europeo come "l'utile idiota"
di Stalin. E la sua opera non è rimasta senza seguito,
ora che saldamente la grande stampa e salvo rare eccezioni la
grande editoria stanno passando nelle mani di coloro che riscrivono
la storia appunto nell'ottica degli ultimi vincitori.
Per
l'Europa borghese, corresponsabile dell'agosto '14 e levatrice
perciò della rivoluzione, fu appunto, sin da allora, il
comunismo il principale problema. La nascita del fascismo, e poi
dei fascismi, fu la risposta estrema e pienamente avallata dalle
classi dominanti nei confronti di tale "grande pericolo".
Due
scene tornano alla mente, emblematiche in questo senso:
-
la sfilata delle camicie nere a Napoli pochi giorni prima della
marcia su Roma e tra loro, in camicia bianca, Enrico De Nicola
con il braccio levato nel saluto romano;
-
e circa due anni dopo, Benedetto Croce, che vota la fiducia al
governo Mussolini, pur dopo il delitto Matteotti.
Questo
non è moralismo storiografico. Nei due casi che ho ricordato
non c'era costrizione, quella costrizione o necessità che
si invoca per giustificare la debolezza di tanti lapsi per salvare
magari una cattedra universitaria. Era invece il segno chiaro
dell'iniziale consenso della borghesia anche colta, anche illuminata,
verso il fascismo visto come argine contro l'unico pericolo: la
rivoluzione comunista.
Ecco
perché è cruciale continuare a studiare l'esperienza
del fascismo nella sua interezza e non limitandosi - come sarebbe
più comodo - al suo infame crepuscolo. Perché solo
studiandolo per intero sin dai suoi esordi si comprende che esso
fu figlio legittimo delle classi dominanti. Le quali hanno fatto
buon viso a tale mezzo estremo pur di mantenere l'ordine sociale
costituito. Certo, col tempo, una parte si è tirata indietro,
ma era ormai troppo tardi ed il fascismo, forte di un largo consenso,
stava già portando il mondo intero alla guerra e alla rovina.
La
domanda da porsi è dunque: Quali erano le fattezze del
nemico contro cui si faceva ricorso ad un rimedio così
estremo? Cos'era quel "comunismo" contro cui tutti,
dal giovane De Gaulle al ministro di Sua Maestà britannica
Winston Churchill, dalle armate polacche ad Ovest ai generali
giapponesi ad est si scatenarono sin dal primo momento, in un
attacco concentrico che rischiò di essere mortale?
Oggi
che l'URSS è finita da un pezzo, lo sforzo dei vincitori
è di dimostrare che quello fu il regno del male, della
soprafazione, della smisurata e ininterrotta ecatombe. Il cosiddetto
"Libro nero" è la Bibbia di questo sforzo
senza soste. L'implicazione che va di pari passo con tali diagnosi
è molto chiara: recuperare in larga parte un giudizio positivo
sul fascismo che - si dice ormai apertamente - poneva rimedio
(ipocritamente alcuni dicono doloroso rimedio) ad un male di gran
lunga peggiore.
Questo
è oggi il terreno di scontro in quell’ambito necessariamente,
strutturalmente, "impuro" che è la storiografia.
Dati i nuovi rapporti di forza, la partita è già
largamente vinta dai grandi strumenti di informazione (grande
stampa, tv, saggistica): ogni giorno viene ripetuto in modo martellante
e ossessivo che quello, il comunismo, era il grande male, mentre
si suggerisce talora scopertamente che il fascismo fu comunque
un male minore o, a piacer vostro, una dolorosa necessità.
Restano fuori dell'opera di salvataggio le leggi razziali, ma
si tenta poi di far credere - ed è menzogna - che esse
fossero effettivamente operative e micidiali solo con Salò.
La
partita è dunque ardua. Si tratta di recuperare
la memoria di una fase storica - l'URSS e il socialismo:
una memoria che resta positiva soprattutto nella mente di chi
ne trasse vantaggio, per esempio i ceti ormai ridotti alla fame
nella nuova Russia mafio-capitalistica. I quali però non
hanno voce, men che meno voce storiografica. La loro voce è
coperta dal fragore di una pubblicistica storiografica che dà
con ogni disinvolta lettura l'immagine più fosca dell'impero
del male.
Né
vale opporre le testimonianze d'epoca, anche le più diverse,
anche quelle che quantunque ostili, davano tuttavia ampio riconoscimento
a quel mondo nuovo che faticosamente nell'entusiasmo di intere
generazioni si cercò allora di costruire.
Certo,
noi sappiamo di essere di fronte a una mistificazione, né
ignoriamo che già con la rivoluzione francese si assistette
alla medesima parabola storiografica. Dopo la sua fine, con la
vittoria della Restaurazione, la sua immagine dominante fu solo
quella di un cumulo insensato di crimini. Solo molto dopo la lettura
di quel grande avvenimento cambiò: ma passò molto
tempo e l'orientamento della storiografia mutò quando un
nuovo movimento democratico risospinse indietro la lettura demonizzante
divenuta dominante. Né manca ancora oggi chi della Rivoluzione
francese parla con il tono e l'orrore del conte De Maistre. Pochi
faziosi si ostinano oggi a credere che la Rivoluzione francese
fosse soltanto Vandea e repressione, tribunale rivoluzionario
e "ghigliottina a vapore", per dirla con un ironico
poeta. Certo, la rivoluzione fu anche questo, ma fu soprattutto
altro e durevole. Analogamente ci vorrà tempo perché
sia dissipata la attuale forma mentis da libro nero. Io credo
che lo storico del futuro, se onesto, non potrà non prendere
atto del fatto che comunismo e rivoluzione coloniale su scala
planetaria sono un unico gigantesco e positivo fenomeno che ha
man mano messo in crisi nel corso del secolo ventesimo "
il mondo di ieri". E già questo basterebbe, per ribaltare
gli schemi oggi dominanti.
Per
il momento la questione che ci sta di fronte può essere
così espressa: pensiamo noi che un nuovo andamento della
vicenda politica e sociale possa avviare - come già avvenne
per la rivoluzione francese - quel riassestamento storiografico
che permetta di leggere l'esperienza del socialismo nelle sue
giuste dimensioni e in un'ottica non più demonizzante?
Non è facile dare una risposta certa, anche se molti segnali
fanno intendere che l'ondata di piena della mistificazione è
ben lunge dall'essere passata.
L'importante
è che sia chiara la posta in gioco. Il recupero storiografico
di una parte più o meno grande dell'esperienza fascista
e la contestuale demonizzazione martellante dell'esperienza comunista
non sono un'operazione erudita: sono un'operazione politica con
voluti effetti politici. Si tratta di travolgere la nozione positiva
di antifascismo (concetto che assume il fascismo come male principale)
e di fondare un ordine costituzionale conforme alle aspirazioni
di quei ceti che a suo tempo non esitarono ad avvallare appunto
il fascismo come rimedio.
Non
ci lasceremo abbagliare dalla varietà degli argomenti e
dei tentativi. Uno è il punto di partenza, uno l'obiettivo:
ribaltare il giudizio che era consolidato nella coscienza degli
italiani intorno all'esperienza fascista. Qualche professore in
cerca di gloria o qualche supergiornalista dirà che non
è vero: che c'è un ambito vastissimo in cui il revisionismo
storiografico si è da sempre esercitato e continua ad esercitarsi.
Ma questa ovvietà, che nessuno contesta, serve a mascherare
il problema specifico. Esso riguarda il fascismo italiano e la
sua sdramatizzazione in funzione della politica italiana.
Il
ragionamento parte dalla cosiddetta scoperta del consenso.
Apparente scoperta. Apparente per un duplice motivo: perché
l'intuizione di come il fascismo si fosse via via radicato, ferme
restando le sue origini violente e soprafattorie in un consenso
di massa, era il cardine delle fondamentali "Lezioni
sul fascismo" di Palmiro Togliatti, incentrate appunto
sulla nozione del fascismo come "regime reazionario di massa";
e inoltre perché quel consenso - che non fu né costante
né indiscusso - è stato per lo più documentato
con il dubbio strumento delle ingannevoli perché corrive
carte di polizia. E andrebbe dunque studiato in modo ben altrimenti
critico.
L'implicazione
di questa apparente scoperta è ben nota: trasformare il
fascismo in regime normale, magari un po' paternalistico ma non
repressivo. L'ulteriore corollario è la denuncia dell'età
staliniana come unica vera esperienza totalitaria. Essendosi peraltro
il fascismo proposto come antitesi frontale del bolscevismo, il
corollario ulteriore è che qualcosa di molto buono vi doveva
essere in tale "primo della classe" dell'anticomunismo.
Coronamento del ragionamento è l'attacco alla nostra costituzione
repubblicana ed ai suoi principi fondanti, per essere essa stata
scritta anche dai comunisti e comunque da uomini che comunisti
non erano ma che alcune delle istanze fondamentali del comunismo
accoglievano e apprezzavano: a cominciare dall'esordiale indicazione
(articolo 1) del lavoro come fondamento della Repubblica e dalla
implicita identificazione tra cittadino e lavoratore, a seguitare
con l'articolo 3, ed il suo impegno a "rimuovere gli ostacoli"
di ordine sociale che impedivano e tuttora impediscono l'effettiva
uguaglianza tra i cittadini.
Orbene
qui non si intende sottrarsi alla sfida. Il "velen dell'argomento"
ci è ben chiaro. Noi sappiamo che la principale battaglia
che tutti i democratici hanno da affrontare è proprio la
difesa della costituzione e in primo luogo dei suoi principi esemplarmente
delineati nel capitolo primo. E sappiamo anche che il vulnus più
profondo finora inferto alla costituzione è stata la modifica
della legge elettorale, l'abbandono del principio proporzionale,
unico istituto che rispetti davvero l'istanza del suffragio universale.
Tutto
questo ci è chiaro, e la battaglia è ardua.
Ma
il punto di partenza non ci sfugge, né intenderemo
sfuggirvi, anzi lo dobbiamo affrontare di petto. È la
questione del consenso. L'Italia sta scivolando verso un regime
reazionario fondato sul consenso. Ed è sui
modi in cui oggi, diversamente che nel 1922-1926, il consenso
si consegue che le idee non sono sempre chiare.
Ma
il processo è ormai molto avanzato. Le forme di creazione
del consenso sono molto più capillari e sofisticate e irresistibilmente
pervasive che non in passato: concomitanti con la radicale trasformazione
del reclutamento stesso del personale politico-parlamentare -
ormai prevalentemente abbiente e centrista - dovuto appunto al
meccanismo elettorale maggioritario.
Orbene
lo studio del modo in cui davvero il fascismo pervenne - in
capo a cinque lunghissimi anni dal 1921 (sua prima apparizione
in parlamento) al 1926 (leggi eccezionali e messa fuori legge
del PCI) - a dar vita ad un regime è forse
oggi il più
istruttivo dei compiti intellettuali.
Forse
la sinistra (il centro-sinistra) si fa qualche illusione sulle
prossime elezioni del 2006. A mio avviso, invece, la destra oggi
al potere non cederà facilmente il timone, non attenderà
passivamente il responso delle urne. Farà di tutto, ma
proprio di tutto, per conservare il potere. Essi pensano di avere
ormai in pugno l'Italia per un lungo tempo. Pensano di averla
riplasmata sotto ogni riguardo. Noi non possiamo chiudere gli
occhi su questa evidente verità.
Dal
1922 al 1926 il fascismo creò le premesse per restare al
timone. Per prima cosa abrogò il sistema elettorale proporzionale
poi creò un blocco, un listone unico nel quale imbarcò
pezzi di tutte le formazioni politiche liberali e cattoliche delle
più varie sfumature. Quindi ricorse alla provocazione.
E mi riferisco non solo al rapimento di Matteotti. Ma alla provocazione
imbastita contro il partito comunista (l'arresto dei "corrieri"
sorpresi alla stazione di Pisa con volantini "eversivi"
come prova della imminente "eversione comunista"): donde
l'arresto di Gramsci e degli altri dirigenti; donde la creazione
del tribunale speciale, donde il mostruoso "processone";
e alla fine l'attentato oscuro di Bologna e la sospensione degli
altri partiti.
Questo
crescendo è uno scenario che sembra arcaico ma è
un modello ancora utilizzabile.
Ben
venga l'invito a studiare come davvero il fascismo giunse al potere
e si affermò. Non ne caveremo, come si vorrebbe, la tranquillizzante
immagine di un regime tutto sommato "normale" (tenendo
conto anche dei tempi perigliosi in cui nacque), ma l'allarmante
scenario ancora ripetibile, mutati lo stile e gli strumenti, di
come si demolisce una democrazia.
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